La notizia* riportata nell’articolo Parliamo di “testamento pedagogico”, apparso il 24 luglio scorso in «Superando.it», non può non suscitare nelle sorelle e nei fratelli di persone con disabilità un moto di solidarietà nei riguardi di chi, i genitori, intende dare continuità a un progetto educativo costruito, faticosamente e amorevolmente, nell’arco di una vita intera. È un desiderio legittimo. Di più: un diritto, che, nel caso di figli non autosufficienti, evoca l’estensione al “dopo di noi” dell’articolo 30 della Costituzione.
La proposta di un “testamento pedagogico”, nondimeno, solleva, inevitabilmente, alcuni interrogativi in ordine alla presenza e al ruolo delle sorelle e dei fratelli. Non bisogna dimenticare, infatti, che quel progetto pedagogico è sempre costruito, quando ci sono, assieme agli altri figli, che si sentono (perché sono) parte attiva nelle scelte riguardanti la vita della sorella o del fratello con disabilità.
Per i cosiddetti siblings, come è uso dire oggi in seguito a un nostro aggiornamento terminologico, quel progetto prosegue, naturalmente, nel “con o durante noi”.
In tal senso, ci preme sottolineare che le sorelle e i fratelli di persone con disabilità incarnano, per continuità familiare ed esistenziale, il proseguimento pedagogico (e non solo) dell’intera famiglia.
*Garantire alle persone con disabilità supporti che continuino anche “dopo” la vita dei genitori, in modo tale che esse abbiano le stesse possibilità di inclusione sociale e di apprendimento che le famiglie avevano saputo garantir loro durante l’arco della vita: è questo, in sintesi, il senso del “testamento pedagogico”, atto al centro del citato approfondimento da noi pubblicato il 24 luglio scorso, questione al centro di un lavoro sperimentale condotto presso l’Università di Bologna.