Ce la stanno mettendo proprio tutta, ragazzi e tecnici dell’AIBXC, l’Associazione Italiana Baseball Giocato da Ciechi! Ci credono fortemente che il loro, il nostro baseball, così dinamico e simile all’originale, sia uno sport bellissimo, intrigante, pieno di tecnica e di cose da imparare, affascinante e liberatorio.
E in Italia, un Paese dove il baseball è purtroppo sottostimato come qualsiasi sport che non sia Quello Nazionale, che ci siano persone che continuano a pensare che il baseball per ciechi sia una grande risposta alla voglia di sport e di autonomia per i non vedenti, scusate, ma non è poco.
Però l’idea che si possa andare a dimostrarlo a chi il baseball l’ha inventato, pare davvero un po’ folle… Ma forse vent’anni fa la gente asseriva che anche far giocare con mazza e pallina un cieco fosse da folli, quindi, perché non provare anche questa?
Ci credono, quelli dell’AIBXC, tanto che, fai e briga e disfa, nel maggio scorso due giocatori, il nostro Matteo Briglia dei Lampi di Milano e Ada Nardin della All Blinds Roma, con il supporto della Federazione, partono per gli States, anzi, per New York, e ci provano: cercano associazioni di non vedenti, cercano giocatori, ci parlano: «Sappiamo che voi avete già la vostra versione di baseball, ma perché non vedere anche la nostra?». La “base della pizza” è così impostata… Vediamo di metterci su un po’ di condimento!
Nel mese di luglio successivo tutto è predisposto e due allenatori di Milano, Fabio Giurleo dei Lampi e Daniele (Lele) Crippa dei Thunder’s Five, raggiungono tra i grattacieli i due “ambasciatori”.
Rapisce, New York, chi c’è già stato e chi non c’è stato mai. Conquistati già nella fase “esplorativa” dalla gentilezza e dalla disponibilità dei newyorkesi, sperano davvero di essere adesso loro a conquistarne un po’ il cuore.
Chiedo a Fabio e Lele di raccontarmi un po’ di colore… «Colore? Il nostro albergo è ad Harlem, lì la cosa meno colorata che c’è è un cappuccino… Scuro!». Persone di ogni razza e pelle, in un miscuglio assolutamente fantastico, li introducono nell’atmosfera cosmopolita della città.
Ma è ora di mettersi al lavoro, di incontrare i ragazzi contattati dai due “ambasciatori”. Hanno due “vetrine”, i nostri, a disposizione: un campo a Brooklyn e il campo numero 4 nel fantastico e grandioso Central Park. Una quindicina i ragazzi che aderiscono all’invito per “mostrare agli americani” il baseball. «Siamo qui per insegnare a giocare a baseball…»: persino gli autisti degli autobus li guardano male, fino a quando non scoprono che è per i non vedenti e allora si accende la curiosità.
Ecco sul campo i ragazzi, pronti, effervescenti. Non c’è neanche bisogno di spiegargliele, a loro, le regole del gioco, ovviamente le sanno benissimo. Assimilano in un attimo le differenze, acquisiscono subito il meccanismo. I nostri insegnano loro la battuta (che va effettuata in autonomia, tenendo in una mano la pallina e nell’altra la mazza), la difesa (intercettando le traiettorie delle palline con i loro sonagli) e la corsa sulle basi verso i suoni di riconoscimento.
Fremono: «Sì, va bene, ma quando facciamo partita?». Se non facesse già così caldo, il cuore si scalderebbe davvero, a vedere l’entusiasmo di questi ragazzi! «Ok, tra un’ora facciamo partita!».
Un po’ del cuore di New York è conquistato davvero. Ed, ex cameraman della Major League, diventato cieco da adulto, ritrova il gioco che tanto ha fatto parte di lui e che pensava di avere perso; Pasquale, che dal nome si capisce da dove arriva, parla l’americano come “il Padrino”; Alan, con il suo cane a cui è talmente attaccato, da volerlo forse portare a correre con lui sulle basi; e a Brooklyn c’è Frank senior, un nero gigantesco che potrebbe spaccare il campo con un’infilata di home run [“fuori campo”, ovvero una giocata particolarmente vincente del baseball, N.d.R.]. E infine Alex, che non ride mai perché è un duro…, che non ha fatto in tempo a partecipare agli allenamenti, e che i nostri “quattro moschettieri” incontrano a tavola: chiarisce subito che lui non vuole mica partecipare a una scampagnata, che vuole fare sul serio e sapere in quanto tempo deve arrivare in seconda! [in seconda base, N.d.R.].
Alcuni di loro giocano già a beep ball, il baseball adattato degli Stati Uniti, ma pare che questa cosa che hanno provato oggi gli piaccia di più: «That’s Baseball!», urlano alla fine della partita.
Ma possiamo davvero insegnare agli americani a giocare al loro sport nazionale? Forse, se è bello, perché no?
Ora il lavoro continua: Ed conserva il materiale lasciato, si è impegnato intanto a divulgare ulteriormente la cosa. Il responsabile dei parchi ci offre collaborazione per quando torneremo, forse già nel prossimo mese di ottobre, per un altro pezzo di questa avventura!
Ci piacerebbe pensare a volantini sparsi per la città, che dicano a tutti: «Ragazzi, a Central Park facciamo una partita di baseball per ciechi, venite a vedere? Servono allenatori, tecnici, giocatori vedenti». In un Paese dove ogni papà e ogni nonno ha lanciato palline per il figlio o il nipote, ci piacerebbe pensare che non sia difficile coinvolgere la gente, i curiosi, meravigliosi newyorkesi che corrono attraverso il Park e che potrebbero fermarsi a guardare cosa succede su quel diamante [il campo di gioco del baseball, N.d.R.], dove ragazzi con una mascherina corrono verso basi sonore, o si tuffano su palline che suonano “viste con le orecchie”: uno spettacolo inconsueto che speriamo possa attirare e coinvolgere abbastanza persone da cominciare a formare una squadra, magari due, e poi chissà.
Qualche anno fa era solo un sogno, ma il lavoro di questi anni potrebbe farlo diventare realtà!