Come si scrive in un ampio approfondimento da noi recentemente pubblicato, «Empowerment (pronuncia italiana: empauerment) è un termine con due significati: il primo legato al rafforzamento delle capacità e delle competenze della persona, il secondo, invece, di tipo sociale, legato cioè all’acquisizione di potere attraverso la partecipazione alla vita della comunità. Le persone con disabilità hanno bisogno di ambedue i sostegni. Questi, insieme, producono una dinamica virtuosa: il rafforzamento delle capacità individuali, infatti, permette l’acquisizione di maggior potere per farsi includere nella società, promuovendo i propri diritti in prima persona e attraverso le organizzazioni di persone con disabilità e dei loro familiari».
Cosa vuol dire, dunque, creare empowerment, per un giornale on line come «Superando.it», nato per volontà di una Federazione di Associazioni, come la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)? Significa cercare un modo diverso e nuovo di comunicare la disabilità e tutto quello che ruota attorno ad essa.
Ma perché un modo diverso? Innanzitutto perché “comunicare” non è solo informare.
Partiamo dall’informazione, definibile come un passaggio unidirezionale di un insieme di dati, considerati utili da chi se ne serve. Negli ultimi anni lo sviluppo della tecnologia ha reso possibile uno scambio sempre più ampio e veloce dell’informazione, soprattutto grazie alla grande varietà di mezzi a disposizione per il passaggio e la condivisione di dati di ogni genere. Televisione, giornali, radio e soprattutto internet hanno fatto sì che si sviluppasse una sorta di “cultura di massa”, accessibile a tutti in ogni momento. E tuttavia, avere a disposizione molte informazioni non garantisce il fatto di essere informati. L’informazione, infatti, non consiste in un agglomerato indistinto dei “dati”, anche perché – come sottolineato ad esempio dall’antropologo, sociologo e psicologo Gregory Bateson – «i dati non sono dati, ma sono presi», e in questo “prendere”, chi informa si ritrova ad esercitare un considerevole potere sul ricevente.
Per essere tale, dunque, l’informazione deve apportare una conoscenza effettivamente utile e utilizzabile per chi la riceve, una sorta di valore aggiunto al dato, che di per sé è privo di utilità.
Perché ciò si realizzi, quando si parla di informazione bisogna sempre tenere conto del contesto di riferimento a cui i dati/fatti si riferiscono e solo in base a tale contesto è possibile decodificarli e assegnare loro un particolare significato.
La comunicazione, invece, non è solamente uno scambio oggettivo e impersonale di informazioni. Al contrario, può essere considerata come una forma di relazione che si instaura tra gli individui, i quali costruiscono attivamente nel discorso i significati con cui si muovono nell’ambiente sociale.
Il processo comunicativo è sempre un processo di cooperazione, in cui due o più persone negoziano una certa visione della realtà, attribuendo dei significati soggettivi ai contenuti della comunicazione stessa; un processo circolare in cui gli attori coinvolti si influenzano a vicenda e rinegoziano continuamente i contenuti e la forma della propria comunicazione, in base alle risposte esplicite o implicite del proprio interlocutore.
Tutto ciò premesso, si può con convinzione affermare che «Superando.it» cerca di informare e comunicare. Ma come tenta di farlo?
Innanzitutto raccontando i fatti, tramite le cosiddette “prime fonti”. Un buon esempio, in tal senso, sono state le “Cronache da New York”, negli anni 2004-2006, dei lavori che hanno portato all’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, grazie alla testimonianza diretta di “chi c’era”, come Giampiero Griffo, considerato a ragione come uno dei “padri italiani” della Convnzione stessa.
Facendo poi parlare direttamente le persone con disabilità e, se necessario, rendendo “giornalistiche” le loro testimonianze, attraverso un supporto redazionale.
Combattendo, inoltre, ogni cliché e stereotipo riguardante le persone con disabilità, con uno sguardo attento in particolare a tutto ciò che viene pubblicato e diffuso dai mass-media, ma anche nei documenti istituzionali prodotti da enti pubblici, e nelle comunicazioni pubbliche provenienti da enti privati. Una vera e propria “battaglia di cultura”, per diffondere capillarmente il nuovo paradigma della disabilità, fissato proprio dalla Convenzione ONU e basato sul rispetto dei diritti umani delle persone con disabilità.
E ancora, cercando di usare il linguaggio “giusto”, nel parlare delle persone e dei fatti – questione collegata strettamente a quella precedente – ciò che non è un aspetto formale, ma che diventa sostanziale, quando si tratta di dare dignità anche identitaria alle persone con disabilità e alle loro famiglie.
Approfondendo, quindi, temi e storie ritenuti “di nicchia”, che pochi altri organi d’informazione trattano, sempre muovendosi contro ogni stereotipo, dando la voce “in prima persona” a chi quelle storie vive e usando il “giusto” linguaggio.
Da ultimo, ma non certo ultimo, trattando argomenti che in apparenza non riguardano strettamente la disabilità (pace, minori, donne, anziani, calamità naturali ecc.), ma in cui è la disabilità stessa a diventare “l’angolo visuale”. Un buon esempio è quello dei rapporti nazionali e internazionali sulla situazione sociale, culturale, economica dei minori: quando se ne parla in «Superando.it», si cerca sempre di ricordare che i minori con disabilità sono “i più vulnerabili tra i vulnerabili”. Oppure quando si affronta un tema come la violenza sulle donne, ricordando che le donne con disabilità sono statisticamente le più esposte ad abusi e violenze. O infine, quando si parla di calamità e disastri naturali o indotti dall’azione dell’uomo, sottolineando sempre che in questi casi sono le persone con disabilità a trovarsi nella situazione più precaria.
Quest’ultimo punto, in realtà, è centrale, perché caratterizza il cosiddetto “mainstreaming della comunicazione”, pensando al significato del termine mainstreaming (letteralmente “flusso principale”) in àmbito di politiche per la disabilità: quest’ultimo, infatti, pone in evidenza proprio la necessità di non procedere per politiche settoriali, ma di considerare la disabilità un tema trasversale a tutte le politiche pubbliche.
Ma perché riteniamo che questo tipo di informazione e comunicazione possa essere un valido strumento di empowerment per le persone con disabilità?
Certamente rafforza la conoscenza e tuttavia – pensando ad esempio a quanto sosteneva il filosofo apolide di origine indiana Jiddu Krishnamurti – «la conoscenza non è consapevolezza». In altre parole, è sufficiente questo per promuovere comprensione e consapevolezza di sé a tal punto da adoperarsi perché la conoscenza si traduca in azione, modus vivendi, cambiamento culturale?
Il modo in cui una persona può ampliare le proprie conoscenze è infinito: leggere un libro, una rivista, guardare un film, parlare con un amico… Comprensione e consapevolezza, invece, sono intese come contatto con la propria esperienza, fare esperienza di se stessi, diventare consapevoli dei propri bisogni, delle proprie paure e ambiguità: solo quando si è compreso qualcosa su noi stessi, le cose possono cambiare. Spesso poi, anche quando non ce n’è più bisogno, si continua a fare e a vivere in un determinato modo perché ciò dà sicurezza e spaventa meno del nuovo che non si conosce. Sono la fiducia, l’atteggiamento di apertura, insieme alla conoscenza e alla consapevolezza, che ci portano a sperimentare “un nuovo” più vicino alle nostre reali esigenze.
Nel corso di questi dieci anni, «Superando.it» ha tentato di fare proprio questo: promuovere conoscenza attraverso una costante attività di informazione e comunicazione, infondendo fiducia nei suoi Lettori sul fatto che un nuovo modo di concepire la disabilità esiste e che migliaia di persone si adoperano ogni giorno per renderlo concreto.