«Separare, dividere, classificare, identificare: a seconda della tipologia e dell’intensità della disabilità vengono erogati servizi sempre più specializzati in base alla “tipologia” e alle condizioni di salute della persona. Una visione segmentata della persona con disabilità, che punta sempre più all’assistenza ed è sempre meno orientata all’inclusione. Quello che stiamo vivendo negli ultimi anni è un processo culturale e organizzativo che non riguarda solo i servizi sociali, ma che rischia di investire anche il mondo della scuola italiana che sperimenta (spesso con successo) da quasi quarant’anni anni un modello inclusivo. Perché anche nel mondo della scuola continuano a persistere le scuole speciali: oggi, solo in Lombardia, sono attivi 16 plessi (per un totale di 24 scuole) frequentati da quasi 900 tra bambini e ragazzi».
Vengono esposti così, dagli organizzatori, i concetti attorno ai quali si terrà giovedì 1° ottobre a Milano (Aula Pagani, Edificio U7 dell’Università Milano Bicocca, Via Bicocca degli Arcimboldi, 8, ore 14-18) il convegno significativamente intitolato Disabilità: separare fa male?… anche a scuola?, appuntamento promosso dalla LEDHA – la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – in collaborazione con il Corso di Laurea in Servizio Sociale Sanitario (Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale) dell’Ateneo ospitante.
Punto di partenza del dibattito sarà un saggio già ampiamente presentato a suo tempo dal nostro giornale, vale a dire L’attrazione speciale. Minori con disabilità: integrazione scolastica, scuole speciali, presa in carico, welfare locale (Maggioli Editore), pubblicata da Giovanni Merlo, direttore della LEDHA.
In tale volume, senz’altro degno della maggior diffusione possibile (se ne legga anche nel nostro box in calce), si ripercorrono le strade che a tutt’oggi portano alla separazione della vita dei bambini e dei ragazzi con disabilità da quella del resto dei coetanei e a fare da guida al Lettore sono proprio le parole dei genitori che hanno scelto per i loro figli la scuola speciale, permettendo di osservare in controluce il peso che la mancata presa in carico globale della famiglia, l’inerzia dei servizi specialistici e la fatica della scuola a mettersi in discussione, hanno nell’orientare e giustificare le loro scelte.
Aperto da Mara Tognetti, presidente del Corso di Laurea in Servizio Sociale al Dipartimento di Sociologia, dell’Università Milano Bicocca, l’incontro del 1° ottobre prevede poi gli interventi di Roberta Garbo, delegata alla Disabilità dell’Università Milano Bicocca, Gianluca Argentin dell’Università Cattolica, il citato Giovanni Merlo, Roberta Ghidelli dell’USSM Milano (ufficio Servizio Sociale Minorenni) e Antonella Costantino della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza).
I lavori saranno moderati da Maurizio Trezzi, giornalista e le conclusioni affidate a Umberto Zandrini di Federsolidarietà) e ad Alberto Fontana, presidente della LEDHA. (S.B.)
La partecipazione all’incontro è libera e gratuita, ma per ragioni organizzative si chiede di confermare la partecipazione, inviando un messaggio a info@ledha.it (o iscrivendosi direttamente nel sito della LEDHA). È previsto il srevizio di sottotiloazione, a cura dell’Associazione CulturAbile. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it.
L’attrazione speciale: un volume rivelatore
La risposta alla prima domanda è già una sorpresa: «Esistono ancora le scuole speciali?». Sì. E non si tratta nemmeno di un fenomeno così residuale, come si potrebbe pensare. Solo in Lombardia, ad esempio, sono attivi 16 plessi, all’interno dei quali sono presenti 24 scuole speciali di cui cinque dell’infanzia, 17 primarie e 2 secondarie di primo grado. Esse sono frequentate, in totale, da quasi 900 tra bambini e ragazzi e nella maggior parte dei casi si tratta di scuole annesse a Centri di Riabilitazione, con la sola eccezione di un Istituto di Seregno, in provincia di Monza e Brianza. In totale, sempre parlando della Lombardia, si tratta del 3,8% del totale degli alunni con certificazione.
Sono questi alcuni dei dati che emergono dal libro L’attrazione speciale. Minori con disabilità: integrazione scolastica, scuole speciali, presa in carico, welfare locale (Maggioli Editore), pubblicato da Giovanni Merlo, direttore della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Al centro del racconto – una storia fatta di assenze e presenze, di frustrazioni e speranze – vi sono i bambini che (ancora oggi) frequentano le scuole speciali in Lombardia e anche i loro genitori che, nella maggior parte dei casi, valutano questa decisione come “la scelta migliore” per i propri figli, e non come “il male minore”. Una storia in cui lo sfondo risulta avere la stessa importanza dei personaggi in primo piano: a partire dall’immagine di quella “scuola per tutti” prevista ormai da quarant’anni dalla normativa italiana, che evidentemente così “per tutti” non è.
Il saggio – arricchito da diversi contributi, tra cui quelli di Salvatore Nocera, già vicepresidente nazionale della FISH della quale è oggi il presidente del Comitato dei Garanti, dello storico Matteo Schianchi e di Pietro Barbieri, già a lungo presidente nazionale della FISH e attuale portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, che ne cura la prefazione – racconta un mondo poco conosciuto e dai contorni sfuggenti, quello appunto delle scuole speciali, fenomeno opaco di cui si fatica a conoscere i contorni, anche legislativi, a partire dal fatto che non esiste una norma chiara e precisa che ne definisca obiettivi e finalità. Le scuole speciali, infatti, sono in un certo senso “fuori dalla legge”.
C’è poi una seconda domanda, attorno a cui ruota la costruzione stessa del libro: perché i genitori scelgono la scuola speciale per i propri figli? Una scelta che contrasta con quell’idea di “scuola per tutti” prevista dalla normativa italiana, una scuola in cui i bambini e i ragazzi con disabilità hanno il diritto di sedersi nelle stesse classi frequentate da tutti i loro coetanei. Una scuola che sperimenta con successo un modello inclusivo che ha anticipato quanto poi previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, mettendo al centro il tema dell’inclusione e della partecipazione piena alla vita sociale.
Parole cui, però, non seguono sempre i fatti. Attraverso il racconto e le testimonianze dei genitori che hanno scelto la scuola speciale, intervistati da Merlo, emergono come elementi cruciali che determinano la “scelta speciale” fattori quali il peso della mancata presa in carico globale della famiglia, l’inerzia dei servizi specialistici, la fatica della scuola a mettersi in discussione. In altre parole, si sceglie la scuola speciale perché viene percepita come la miglior soluzione possibile per rispondere alle esigenze del proprio figlio. La presunta inadeguatezza del sistema scolastico ordinario rispetto alle esigenze dei bambini e dei ragazzi con disabilità – oggi giustificata anche dai tagli alle risorse – rappresenta un’ulteriore spinta a scegliere questo tipo di istituti. Che, per altro, registrano regolarmente liste d’attesa.
«Il crescente successo e suggestione dei percorsi di educazione separata – spiega Merlo – sta mettendo a rischio alcuni diritti umani fondamentali dei bambini e ragazzi con disabilità. Certifica una graduale regressione della capacità della nostra comunità e del nostro sistema sociale di garantire a tutte le persone con disabilità la loro piena inclusione e partecipazione nella società. Si tratta di una regressione che è importante fare emergere, di cui prendere atto. Non per accettarla come un fatto ineluttabile, ma per poterla definire come un’inaccettabile lesione di quel principio di progressività, tipico della dottrina dei diritti umani, che ci vincola a far sì che nel nostro contesto, sociale e professionale, vi siano solo “passi in avanti” nel rispetto e nella promozione dei diritti delle persone con disabilità. Una lesione dei diritti che riguarda tanto il presente, quanto il futuro di questi bambini e ragazzi, per i quali è stato preparato un percorso di vita “separato”, all’interno di contesti speciali dedicati esclusivamente alla loro assistenza e custodia».
Attenzione però, avverte Merlo, a «non confondere il sintomo con la malattia». Le scuole speciali, cioè, rappresentano un tentativo di risposta «seppure distorta e con effetti negativi sull’intero sistema sociale» a una situazione di lesione dei diritti dei bambini e ragazzi con disabilità che riguarda una platea di persone molto più ampia di quelle che ricorrono alle scuole speciali o ad altre forme di educazione separata. (I.S.)