Ada è una mia cara amica, una grintosa donna che ha fatto del mondo la sua vera casa, e vive sempre con la valigia pronta, ora per un luogo, ora per un altro, sempre con un sogno davanti e un altro in arrivo, in un affascinante gioco al rialzo.
Matteo è un amico più recente, ma non meno caro, sportivo e anche lui sempre in cerca di nuove avventure e di nuovi stimoli nella sua vita.
Si sono incontrati in un luogo molto particolare, il diamante, ovvero il campo da baseball, sport che entrambi praticano, e con successo, in due squadre che rappresentano due città storicamente “rivali”: Roma e Milano. Più precisamente, Ada gioca negli All Blinds Roma e Matteo nei Lampi di Milano, entrambe squadre formate da non vedenti e ipovedenti, come Ada e Matteo, appunto.
Immagino che l’idea di coniugare la loro passione di globetrotter con il baseball sia nata tra un intervallo e un altro, tra un recupero e l’altro delle forze. Man mano che passava il tempo, Ada e Matteo vi hanno pensato a lungo, separatamente e insieme, e si sono creati i presupposti per realizzare il loro sogno: hanno ottenuto le investiture ufficiali dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e dell’AIBXC (Associazione Italiana Baseball Giocato da Ciechi), hanno organizzato, telefonato, inviato mail, con qualche difficoltà, il perché lo racconterò in seguito.
E poi? E poi sono partiti. Hanno preso il volo con i bagagli pieni di vestiti collezione primavera estate autunno, materiale e regolamento del baseball Italian Style, sconosciuto ai ciechi americani e hanno intrapreso la loro avventura.
Insieme alle valigie, hanno portato oltreoceano la loro personalità, la loro formazione individuale di cui la condizione di cecità è solo una parte, e alcuni interrogativi circa la cultura statunitense cui volevano darsi una risposta e certi stereotipi da sfatare o confermare. Cosa avranno scoperto?
Guardiamoli partire per il loro viaggio, dopo avere organizzato quanto era organizzabile: aver preparato il terreno per gli incontri associativi, aver trovato un appartamento, aver rinfrescato il loro discreto background linguistico*.
Le streets and avenues di New York sono diverse da quelle di Roma e Milano, ma sono sempre strade, e anche nelle case si incontrano i soliti problemi, fra manutenzione ridotta al lumicino e beghe condominiali: sulla carta c’è sempre molto, ma molto meno da fare che nella realtà.
Così Ada e Matteo hanno subito preso in mano la situazione: d’altra parte entrambi vivono da soli in Italia, e la loro esperienza in mobilità è più che buona. Ma a dire il vero, a New York è anche bello mangiare fuori, viversi la strada e il proprio quartiere, nelle piccole come nelle grandi esperienze. Perché è qui che Ada e Matteo hanno incontrato la prima differenza tra le loro città e New York: “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” è un motto davvero calzante negli States. Per i newyorkesi, infatti, agganciare qualcuno al pub e fare amicizia pare estremamente semplice. «È vero», ci ha raccontato Ada. «Basta andare in un posto un paio di volte perché ti riconoscano e ti includano nel loro giro di conoscenze», ha confermato Matteo. Il rovescio della medaglia, però, è già scritto in quel motto: per loro, cioè, è altrettanto facile dimenticarti. La comunicazione mediata, in Europa tanto diffusa, non è altrettanto amata negli States: telefonate, mail e quant’altro non vengono percepiti come mezzi per rinfocolare un rapporto e anche per prendere decisioni viene preferita la modalità de visu. A volte semplicemente non rispondono e svaniscono senza un perché.
E allora? Allora ci si rende visibili, si vive la città per le strade, nei jazz club, nei caffè, e naturalmente si prende parte ai workshop, agli eventi associativi e mondani, e ai convegni su temi d’interesse, come la mobilità autonoma e le tecnologie assistive.
A New York Ada e Matteo hanno goduto del loro piccolo studio apartment per dormire, mangiare, quando erano stufi di hamburger e cucina etnica, e in poche altre occasioni. Altrimenti sono stati in giro a passeggiare, sorseggiare caffè americano e soprattutto ad ascoltare e fare musica.
Eh sì, la musica ha avuto un ruolo importante, per Matteo, nel viaggio newyorkese, ma soprattutto per Ada. «Avevo già preso alcune lezioni di canto jazz and soul a Roma – dice – ma è qui a New York che ho avuto maggiori possibilità di mettermi alla prova. Qui fare musica è più immediato, meno complesso rispetto all’Italia: vi sono moltissimi locali downtown [in centrocittà, N.d.R.] con open mic [“microfono aperto”, N.d.R.], dove chi studia può salire sul palco e provare ad esibirsi accompagnato da una band di altissimo livello. E inoltre workshop aperti a tutti, dove imparare seriamente e divertirsi esplorando questo splendida forma d’arte che è la musica».
Tutto questo mentre portavano avanti il loro ruolo di ambasciatori del baseball e dell’UICI. La loro missione ha comportato qualche trasferta, ma New York è rimasta la base, la loro casa.
Ma non abbiamo dimenticato la natura “insolita” dei nostri esploratori? Certo che no, e allora New York è più o meno accessibile delle nostre Milano e Roma? «Sì e no – raccontano -, i mezzi di trasporto sotterranei sono più caotici e possiedono meno segnalazioni vocali e tattili rispetto a Roma e a Milano, città in cui le Associazioni di categoria rappresentano senza sosta i nostri bisogni presso le Istituzioni locali. I non vedenti newyorkesi si avvalgono spesso dei servizi di trasporto a chiamata offerti dal Comune, che funzionano bene, e quindi tendono a non domandare di più, a voler adoperare molto meno i servizi pubblici. Da qui discende l’esiguità di percorsi tattili, semafori sonori, annunci di linea e di prossima fermata, insomma di tutti gli escamotage che invece, almeno in parte, sono presenti nelle nostre città». «Ma noi – continuano – siamo venuti qui anche per questo, no? Italian Style, come per il baseball…».
«Nei primi tre mesi – sottolineano ancora – la nostra stessa presenza ha causato una maggiore attenzione attorno ai limiti di questa città, oltre che ai suoi pregi, e noi abbiamo fatto del nostro meglio per favorire questo scambio di buone prassi, vivendo e amando questa città». «A questo proposito – concludono – sottolineiamo la gentilezza e la cortesia degli americani, che sono comunque sempre disponibili all’aiuto, dal personale dei mezzi di superficie, fra l’altro tutti dotati regolarmente di pedana per le persone con disabilità motoria, al personale di musei e locali pubblici».
Ed ora, offrendovi un caffè al bar preferito di Ada e Matteo, The Chipped Cup, che ne direste di darci un appuntamento per una nuova immersione nell’avventura newyorkese di Ada e Matteo? Noi vi aspettiamo!
*Del viaggio di Ada Nardin e Matteo Briglia a New York, “per insegnare il baseball agli americani”, abbiamo già scritto a suo tempo nel nostro giornale.
Con la fattiva collaborazione di Ada Nardin e Matteo Briglia.
Articoli Correlati
- Insegnare il baseball agli americani? Perché no! «L’idea di andare a dimostrare il baseball per ciechi a chi il baseball l’ha inventato - scrive Angela Bellarte - pareva davvero un po’ folle. Ma forse vent’anni fa la…
- Obama celebra il ventennale dell'ADA Sullo stesso prato dove l'allora presidente americano George Bush aveva firmato questa storica Legge sui diritti delle persone con disabilità statunitensi, Barack Obama nei giorni scorsi ha commemorato i vent'anni…
- Sordocecità, la rivoluzione inclusiva delle donne Julia Brace, Laura Bridgman, Helen Keller, Sabina Santilli. E poi Anne Sullivan. Le prime quattro erano donne sordocieche, la quinta era “soltanto” quasi completamente cieca, ma non si può parlare…