Si è conclusa con un’importante Sentenza del Consiglio di Stato la lunga battaglia legale che ha visto coinvolta da una parte l’Azienda Consortile Insieme per il Sociale, che gestisce i Centri Diurni Disabili (CDD) nei Comuni dell’hinterland milanese di Cinisello Balsamo e Cusano Milanino, e dall’altra l’Associazione Senza Limiti.
Oggetto del contendere è stato il bando di gara per l’affidamento dei servizi a carattere educativo, socioassistenziale e di supervisione nei CDD dei due Comuni milanesi. Il bando, infatti, era stato contestato dall’Associazione Senza Limiti, che aveva chiesto, come requisito essenziale per le figure del coordinatore e dell’educatore, il possesso del titolo di “Educatore Professionale”, rilasciato dalle Facoltà di Medicina e Chirurgia. Tale richiesta, oltre che dai Comuni, era stata criticata anche dalla LEDHA (la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), schieratasi a fianco di Insieme per il Sociale, sostenendo l’azione del ricorso legale, come aveva ampiamente motivato anche su queste pagine Giovanni Merlo, direttore della LEDHA stessa.
In un primo momento, dunque, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Lombardia aveva accolto il ricorso dell’Associazione Senza Limiti e annullato il bando di gara. Il Consorzio dei Comuni ha successivamente impugnato quella decisione in appello davanti al Consiglio di Stato che, come detto, ha messo definitivamente la parola “fine” alla vicenda. I giudici hanno affermato infatti che non può essere sostenuta la posizione di Senza Limiti, «tesa ad assegnare ai Centri Diurni una prevalente e pressoché esclusiva funzione di cura e assistenza sul piano terapeutico ed infermieristico/medicale dei soggetti in condizione di disabilità» che frequentano tali strutture.
In altre parole, il Consiglio di Stato ha confermato quanto sostenuto dai legali della LEDHA, ovvero che i Centri Diurni Disabili non sono servizi sanitari e che le persone con disabilità non sono malati.
«Riteniamo – commenta l’avvocato Laura Abet del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi – che le persone che frequentano i CDD abbiano certamente in molti casi anche necessità di tipo sanitario, ma che non possano e non debbano essere confuse con quelle di tipo ospedaliero. Le persone con disabilità sono persone, secondo la definizione universale della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Legge dello Stato Italiano 18/09) e non dei malati, tesi che invece il ricorrente era riuscito a far passare e che era stata accolta dal TAR».
«Siamo soddisfatti – dichiara dal canto suo Gianfranca Duca, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Cinisello Balsamo – per l’esito positivo di questa battaglia legale. Da un lato per la tutela dei diritti dei lavoratori, ma soprattutto perché le Amministrazioni Comunali del nostro Ambito hanno sempre sostenuto la necessità di pensare ai Centri Diurni come luoghi educativi e di socializzazione. La LEDHA ci ha supportato in questa battaglia culturale, fornendoci una preziosa consulenza e supporto nella definizione della linea difensiva».
«La pronuncia del Consiglio di Stato – spiega poi l’avvocato Massimiliano Gioncada, che ha patrocinato l’appello presso il Supremo Consesso Amministrativo – ha espressamente ribaltato la sentenza del TAR, che si inseriva all’interno di una consolidata interpretazione dello stesso TAR lombardo (Sezione di Milano), confermando anche l’impostazione che la Regione Lombardia dà, nei propri atti, dei CDD, sia dal punto di vista della natura della prestazione – certamente socio-sanitaria – sia da quello organizzativo-funzionale».
Il fine di questi servizi, va sottolineato infatti con forza, è quello di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità, di individuare i bisogni assistenziali ed educativi, valorizzando le risorse della comunità e tutti gli interventi di carattere realmente abilitativo.
«Abbiamo intrapreso questa battaglia legale – conclude il presidente della LEDHA Alberto Fontana – schierandoci fin da subito a fianco dei Comuni, perché siamo profondamente convinti che il fine ultimo di questi servizi sia quello di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità. Chiaramente non si tratta di negare o sottovalutare le esigenze di cura delle persone con disabilità, ma ridurre il tutto di una persona ai suoi problemi di salute, più o meno connessi alla sua menomazione, è per noi sbagliato». (I.S. e S.B.)
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