Nonostante ritenga l’attuale legislazione italiana sull’inclusione una delle più avanzate al mondo, Libera guarda con interesse alla riforma del sostegno prevista dalla Legge 107/15 e si rende disponibile a fornire il proprio contributo in termini di proposte, per migliorare ulteriormente il processo di inclusione socio-scolastica degli alunni con disabilità.
Premessa
La Legge 107/15, cosiddetta “Buona Scuola”, prevede tra le deleghe al Governo anche quella che lo impegna a promuovere l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità attraverso diversi interventi, tra cui la ridefinizione del ruolo dell’insegnante per il sostegno, anche tramite l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria; la revisione dei criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno, per garantire una continuità didattico-educativa con lo stesso insegnante per l’intero ordine o grado di istruzione; l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali; la revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione; la formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico-didattici e organizzativi dell’integrazione scolastica. Insomma, una vera e propria riforma del sostegno.
Il contenuto della suddetta delega richiama chiaramente buona parte della Proposta di Legge alla Camera n. 2444, primo firmatario Filippo Fossati, tanto voluta e sostenuta dalle principali organizzazioni delle persone con disabilità [FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e FAND-Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità, N.d.R.].
La lettura coordinata del testo della delega all’interno della Legge “Buona Scuola” e della Proposta di Legge succitata, permette di affermare che molte delle proposte avanzate contemplano senz’altro azioni fondamentali per facilitare l’inclusione scolastica, come per esempio l’adozione del profilo di funzionamento su base ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], che va elaborato da tutte le figure della rete inclusiva (ASL, scuola ecc.), oppure la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali, al fine di garantire e rendere esigibili diritti e servizi, come quelli dell’AEC [assistente educativo culturale, N.d.R.] o dell’assistente alla comunicazione, omogeneamente e con standard di qualità certificati su tutto il territorio nazionale.
Altre disposizioni da condividere della Proposta di Legge 2444 – che si auspica vengano recepite anche nel testo definitivo del Decreto Delegato – sono quelle che riguardano la formazione iniziale (30 Crediti Formativi Universitari) e la formazione in servizio (almeno 25 ore) sulle tematiche dell’inclusione.
Meno convincente, invece, appare la proposta sulla formazione universitaria separata degli insegnanti di sostegno rispetto a quella degli insegnanti curricolari, con conseguente classe di concorso separata specifica sul sostegno (ruolo sul sostegno a vita). Se passassero queste nuove disposizioni, si produrrebbe molto probabilmente una separazione anche in classe, con un utilizzo massiccio della delega all’insegnante di sostegno perché abilitato e specializzato solo per quello («lo sai fare meglio di me», «fallo tu che io penso agli altri», ecc.). In questo modo, invece di rafforzare la presa in carico da parte dell’intero Consiglio di Classe dei bisogni educativi speciali, compresi quelli degli studenti con disabilità, si rischia di produrre nei fatti una dinamica separatoria che lega gli insegnanti curricolari a chi non ha alcun bisogno speciale e l’insegnante “speciale” a chi presenta funzionamenti bio-psico-sociali che richiedono interventi didattico-educativi individualizzati e personalizzati.
Bisogna essere consci che la scuola italiana, nonostante la normativa avanzata sull’inclusione, ha al proprio interno ancora troppi insegnanti curricolari incompetenti sulla didattica speciale. Un’incompetenza che spesso si trasforma, appunto, in tendenza a delegare. E la Proposta di Legge in questione sommerebbe all’effetto negativo di accentuare questa tendenza alla delega anche quello di misconoscere l’insegnante di sostegno nell’àmbito della contitolarità, considerandolo sempre meno insegnante specializzato per la classe e sempre più “assistente” dell’alunno con disabilità.
Inoltre, costituire una classe di concorso specifica, una sorta di “materia del sostegno”, lasciando l’insegnante in quel ruolo a vita, salvo conseguimento di altre abilitazioni, alimenterebbe ulteriormente la distanza tra insegnanti curricolari e insegnanti di sostegno, riducendo le possibilità di contaminare la didattica ordinaria di didattica speciale. Infatti, l’insegnante di sostegno – quello formato adeguatamente sia a livello disciplinare che di didattica speciale – è il mediatore e il promotore delle strategie didattiche efficaci, di sperimentazioni apprenditive che vanno incontro agli stili di tutti gli alunni, da quelli con disabilità a quelli con DSA [disturbi specifici dell’apprendimento, N.d.R.], nella consapevolezza che la scuola deve accogliere e valorizzare le diversità di ciascuno, riconoscere e rispondere adeguatamente ai bisogni educativi speciali che emergono in ogni dove e in ogni istante.
La via italiana all’inclusione è a un bivio importante e solo coinvolgendo e ascoltando attivamente tutti i soggetti interessati della rete socio-scolastica, dagli insegnanti alle famiglie, dalle associazioni agli enti locali, dalle università alle ASL, si può imboccare la giusta direzione.
Perché una riforma del sostegno? Alcuni punti critici
° Insegnanti per il sostegno precari, non specializzati e, non di rado, addirittura senza abilitazione all’insegnamento.
° Discontinuità didattico-educativa a livello scolastico nell’assegnazione di insegnanti per il sostegno e di altri operatori della rete inclusiva (assistenti educativi culturali, assistenti alla comunicazione ecc.).
° Discontinuità educativa scuola-extrascuola per la mancata pianificazione e realizzazione di interventi coordinati nel territorio nel breve, medio e lungo periodo (Progetto di Vita).
° Dirigenti scolastici, insegnanti per il sostegno e curricolari, collaboratori scolastici poco o mal formati sulla didattica inclusiva.
° Ricorso alla delega degli interventi inclusivi all’insegnante per il sostegno e conseguente mancata presa in carico da parte del Consiglio di Classe.
° Esclusioni in classe (banco isolato, attività separate da quelle comuni ecc.) e fuori (corridoi, aula del sostegno ecc.).
° Sistema di supporto degli Enti Locali frammentato e privo di garanzia sulla qualità dell’intervento, anche per una formazione non sempre adeguata del personale scelto, dall’assistenza educativa culturale all’assistenza alla comunicazione.
° Mancanza di un sistema di valutazione e autovalutazione sull’inclusività.
° Scarso coordinamento e integrazione dei servizi sociali, sanitari e scolastici territoriali, con conseguente difficoltà a definire accordi di programma.
° Assenza di livelli essenziali di servizi e prestazioni per l’inclusione socio-scolastica.
° Sistema di accertamento della disabilità ancora incentrato sulla sola patologia.
Quale riforma del sostegno? Alcuni punti di proposta
– Potenziamento della formazione in entrata degli insegnanti curriculari e per il sostegno sulla didattica inclusiva: almeno 30 Crediti Formativi Universitari su pedagogia e didattica speciale in ogni percorso universitario di abilitazione all’insegnamento.
Chi vuole specializzarsi per il sostegno alle attività didattiche agli alunni con disabilità, svolge un anno aggiuntivo con interventi formativi maggiormente focalizzati sulla pratica concreta, dai laboratori al tirocinio, sia diretto che indiretto, e percorsi di approfondimento sulle metodologie e le strategie più appropriate alle principali disabilità.
I corsi di specializzazione delle Università, nel rispetto dell’autonomia di ciascun ente, sono coordinati centralmente dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, e monitorati dall’Osservatorio per l’Inclusione Scolastica del Ministero stesso e dall’Osservatorio sulla Condizione delle Persone con Disabilità (Ministero del lavoro e delle politiche sociali), che producono congiuntamente un rapporto sulla verifica della qualità della proposta didattica. Alla fine del percorso l’insegnante specializzato dev’essere un professionista dell’inclusione, saper leggere il profilo di funzionamento dell’alunno con disabilità, coprogettare il PEI-Progetto di Vita [il PEI è il Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.], applicare le strategie di apprendimento efficaci come il cooperative learning* e il peer tutoring*, costruire e rafforzare la rete inclusiva socio-scolastica ecc.
– Obbligo della formazione in servizio per dirigenti scolastici, insegnanti, sia curriculari che per il sostegno, e personale ATA [amministrativo, tecnico e ausiliario, N.d.R.]: annualmente si deve svolgere obbligatoriamente un monte ore minimo di formazione affinché ognuno nel suo ruolo assolve le responsabilità previste dalla legge per garantire il pieno diritto all’inclusione degli alunni con disabilità.
– Cattedra mista: il vincolo quinquennale diventa decennale con l’introduzione della cattedra mista sostegno-disciplina: l’insegnante resta per almeno dieci anni sul posto del sostegno, ma può scegliere se svolgere tutte le ore sul sostegno o una metà di ore sul sostegno e l’altra sulla disciplina di abilitazione.
– Definizione dei profili professionali e albi degli assistenti ad personam: vanno definiti a livello nazionale i profili professionali, attivando anche specifici percorsi formativi universitari, e istituendo albi pubblici territoriali – gestiti direttamente dagli Enti Locali – degli assistenti educativi culturali e degli assistenti alla comunicazione, stabilendo anche l’obbligo di garantire la continuità educativa nelle assegnazioni del personale.
– Rivisitazione del sistema di accertamento della disabilità e predisposizione del profilo di funzionamento su base ICF: la valutazione dei bisogni deve tener conto del funzionamento della persona in tutte le sue dimensioni bio-psico-sociali e non essere legata alla sola patologia. Di conseguenza la Diagnosi Funzionale e il Profilo Dinamico Funzionale, documenti spesso “compilati” con un approccio prettamente medico, vengono sostituiti dal profilo di funzionamento su base ICF-CY [per CY si intende l’ICF riguardante ragazzi e giovani, N.d.R.], che va redatto da tutti i soggetti della rete inclusiva (operatori sanitari e sociali, scuola, famiglia ecc.).
– Garantire una reale presa in carico globale (Consiglio di Classe, ASL, Comune, Terzo Settore, Famiglia ecc.), soprattutto nelle fasi di coprogettazione e verifica del PEI-Progetto di vita, individuando responsabilità e sanzioni in caso di inadempienza.
– Adozione di indicatori di qualità per la valutazione e l’autovalutazione dell’inclusività: la valutazione del singolo insegnante, del Consiglio di Classe e dell’intero istituto deve tener conto della qualità dell’organizzazione, della formazione e degli interventi didattico-educativi inclusivi progettati e realizzati.
– Definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, sanitarie e scolastiche: i livelli essenziali devono coincidere con i punti di proposta avanzati per rendere esigibile omogeneamente su tutto il territorio nazionale il diritto all’inclusione socio-scolastica e, di conseguenza, tutte le prestazioni e i servizi ad esso connessi. Per esempio, devono far parte dei livelli essenziali: numero appropriato di ore di sostegno; continuità didattico-educativa con assegnazione dello stesso insegnante specializzato e dello stesso assistente ad personam (con il profilo professionale adeguato); redazione del profilo di funzionamento su base bio-psico-sociale; presenza dei rappresentati ASL ai GLH [Gruppi Lavoro Handicap, N.d.R.] operativi e coprogettazione del PEI-Progetto di Vita; presa in carico del Consiglio di Classe; numero massimo di alunni per classe in presenza di alunni con disabilità grave.
*Il cooperative learning costituisce una specifica metodologia di insegnamento attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. Dal canto suo, l’insegnante assume un ruolo di facilitatore e organizzatore delle attività, strutturando “ambienti di apprendimento” che portano gli studenti a vivere in un clima relazionale positivo, conseguendo una serie di obiettivi che richiedono il contributo personale di tutti. Si parla invece di peer tutoring, quando vi è un reciproco ruolo di auto tra due allievi, che svolgono alternativamente il ruolo di tutor e quello di tutee.