Leggo sulla rivista «Vita» un’intervista all’amico Davide Cervellin [imprenditore, presidente della Fondazione Lucia Guderzo e persona con disabilità visiva, N.d.R.] sulla sua volontà di istituire una scuola paritaria specializzata per ciechi senza altre minorazioni aggiuntive.
Già Giovanni Merlo, direttore della LEDHA [la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.] aveva pubblicato una sua ricerca sulle scuole speciali in Lombardia [“L’attrazione speciale”, N.d.R.], criticando le posizioni positive espresse su di esse dal professor Luigi D’Alonzo dell’Università Cattolica di Milano, con una sua ricerca sulle ottime scuole speciali esistenti nella Regione.
Ma come mai tanto interesse per le scuole speciali che si credevano inesistenti nel mostro ordinamento dopo l’entrata in vigore della Legge Quadro 104/92 sull’integrazione scolastica generalizzata di tutti gli alunni con disabilità? In realtà le scuole speciali non sono mai uscite dal nostro ordinamento giuridico. Infatti, la stessa Legge 104 fa salve quelle per ciechi e sordi e l’articolo 300 del Testo Unico sulla Legislazione Scolastica, approvato con il Decreto Legislativo 297/94, prevede la possibilità di istituire anche scuole speciali paritarie.
Ma perché ci sono alcuni – docenti universitari – che le esaltano, e altri – come l’imprenditore Cervellin – che addirittura vogliono costituirle, solo però per i ciechi senza minorazioni aggiuntive?
Penso che la ragione di fondo sia la mancata attuazione della vigente normativa sull’inclusione da parte dello stesso Ministero, che consente ai propri Uffici Regionali la violazione degli articoli 4 e 5 (comma 2) del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 81/09, che vietava la formazione delle prime classi e di quelle successive con più di 20, massimo 22 persone, in presenza di alunni con disabilità. Inoltre lo stesso DPR aveva abrogato il Decreto Ministeriale 141/99, voluto dalle Associazioni e fatto proprio dall’allora ministro Luigi Berlinguer, che proibiva la presenza di più di un alunno con disabilità nella stessa classe.
Queste due norme avrebbero consentito ai docenti curricolari di poter lavorare molto meglio con i propri alunni con disabilità e invece la violazione e la soppressione di esse hanno spinto i docenti curricolari stessi a disinteressarsi di questi alunni, delegandoli ai soli colleghi per il sostegno e spingendo così i genitori a pretendere sempre più ore di sostegno, anche con migliaia di ricorsi ai Tribunali, tutti vincenti. Quando infatti mancava – e manca – il docente per il sostegno, in molti, troppi casi, gli alunni con disabilità vengono abbandonati in fondo alla classe, mandati in corridoio o nella cosiddetta “aula di sostegno” con un assistente o con un bidello.
Un’altra concausa è stata poi la mancata formazione iniziale e in servizio dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive, senza dimenticare, infine, il continuo abbassamento nei livelli formativi dei docenti per il sostegno. Qui si è passati infatti da una formazione di due anni su una sola disabilità, prima della metà degli Anni Ottanta (specializzazioni monovalenti) a una formazione di circa un anno a partire dalla metà degli Anni Novanta (specializzazioni polivalenti), sino a pervenire ai corsi di riqualificazione professionale imposti dal Ministero ai docenti curricolari soprannumerari, come scelta alternativa al licenziamento. E così si è assistito a “corsetti di specializzazione” per il sostegno di pochi giorni e per giunta in buona parte online.
A questo punto, in presenza di queste concause, i genitori di alunni con disabilità, stanchi di dover lottare per vedere realizzati i diritti dei propri figli con disabilità, stanno tentando strade nuove che purtroppo ripercorrono quelle vecchie delle scuole speciali di oltre quarant’anni fa e che credevamo di esserci lasciati alle spalle.
È questa situazione che ha spinto la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e la FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) a far presentare la Proposta di Legge n. 2444 alla Camera, che ha continuato a incrementare migliorandola e che oggi è al vaglio del Ministero come possibile contenuto dell’emanando Decreto Delegato sull’inclusione di qualità, previsto dal comma 181, lettera c della nuova Legge di riforma della scuola 107/15.
Anche chi scrive si è provato a delineare i possibili contenuti di tale emanando Decreto, proprio utilizzando la Proposta di Legge n. 2444, nell’instant book intitolato La normativa inclusiva nella nuova legge di riforma sulla “buona scuola” [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.].
Nella nostra proposta – come ulteriormente da noi stessi incrementata – si prevede:
l’obbligo di un semestre di formazione universitaria iniziale per tutti i futuri docenti curricolari;
l’obbligo di un’apposita nuova specializzazione dei futuri docenti per il sostegno di durata triennale, successiva a una laurea triennale (come avviene per tutti i futuri docenti);
l’obbligo dell’aggiornamento in servizio sia dei dirigenti scolastici, sia dei docenti curricolari e di sostegno, sia dei collaboratori scolastici e degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione;
l’obbligo di alcune ore mensili di programmazione congiunta di tutti i docenti, come da sempre avviene per i docenti della scuola dell’infanzia e di quella primaria, ma che stranamente è sino ad oggi assente per i docenti di scuola secondaria;
l’obbligo di rispetto della normativa del tetto massimo di 20, 22 alunni per classe e la reintroduzione del divieto di avere più di un alunno con disabilità nella stessa classe.
Abbiamo poi formulato una proposta innovativa, che ha suscitato un fortissimo dibattito contrario da parte dei docenti per il sostegno e cioè la costituzione di appositi ruoli per il sostegno, distinti per ordine di scuole, dai quali si possa uscire solo per passaggio di cattedra, come da sempre avviene per tutti gli altri docenti.
Ebbene, noi riteniamo che con queste proposte – tra le quali anche la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni necessarie alla buona qualità dell’inclusione e l’individuazione di indicatori per misurare il livello inclusivo nelle singole classi e nelle singole scuole, assieme ad altre che vorranno pervenire – sia possibile contrastare la deriva di ritornare alle scuole speciali o specializzate.
Invero la proposta di Davide Cervellìn è dettata a mio parere da una visione elitaria, dal momento che nella sua scuola specializzata potrebbero entrare solo i ciechi senza altre minorazioni aggiuntive, escludendo cioè proprio quelli che – come sottolineava don Milani – sono i più emarginati dalla scuola e dalla società.
In sostanza, la normativa inclusiva ha dei princìpi di inclusione generalizzata dai quali occorre far discendere una normativa pratica che garantisca gli strumenti finanziari, educativi e di risorse umane preparate, senza contraddire quei princìpi nei fatti. Solo in questo modo riteniamo possano essere fugate le tentazioni di ritorni anacronistici alle scuole speciali, garantendo veramente l’accoglienza e l’inclusione a tutti gli alunni con disabilità (e non solo ai “mejo”), con i propri compagni senza disabilità.