Fino a quando il mio sogno diventerà realtà

di Salvatore Cimmino*
«Sogno un mondo - scrive Salvatore Cimmino, nuotatore amputato della gamba destra, impegnato ormai da anni nel suo “giro del mondo a nuoto” - cui alla persona con disabilità venga garantita la tecnologia più avanzata, per aiutarla a superare i suoi limiti, un mondo dove disabilità non sia sinonimo di malattia, dove l’inclusione rappresenti la norma e non più l’eccezione, un mondo dove le barriere architettoniche e mentali rappresentino solo un lontano ricordo, un mondo solidale e aperto a tutti. E non smetterò di nuotare fino a quando il mio sogno non diventerà realtà»
Febbraio 2013: Salvatore Cimmino inAustralia
Febbraio 2013: Salvatore Cimmino conclude una delle sue grandi “sfide” nei mari del mondo, in Australia, nei pressi di Perth

Il bene comune è un principio al di sopra di noi, al di sopra della nostra esperienza e della nostra vita. È possibile quindi, e soprattutto ha senso, parlare di disabilità in termini di bene comune?
Nel linguaggio tradizionale, il “bene comune” viene associato a parole come “acqua”, oppure “ambiente” o “cultura”, per rimarcare la necessità di azioni politiche e di cittadinanza attiva volte a garantire a tutti, in egual misura, la possibilità di usufruire di questi beni. La domanda di fondo, quando si ragiona di questi temi, è: «A chi appartiene l’acqua, e come e da chi deve essere gestita?». «A chi appartiene la cultura, e come e da chi deve essere gestita?». Proviamo allora a chiederci: «A chi appartiene la disabilità, e chi se ne deve prendere cura?».
Le storie di chi racconta la propria disabilità sono sempre storie individuali, personali, racchiuse nel privato della propria quotidianità. Eppure, modificando solo i nomi o i generi, ecco che queste storie si sovrappongono, si intrecciano, fino a divenire un’unica storia comune, una storia collettiva, in cui ogni variante narrativa – come nella tradizione popolare dei racconti e delle favole – non fa altro che dare forza e spessore alla trama, all’intreccio comune. Questa traccia comune, però, fa fatica ad emergere, si nasconde con tristezza nelle proprie mura domestiche, si perde nelle difficoltà quotidiane, si affatica nelle risposte sempre più incerte del “dopo di noi”.
E così di comune resta solo la quotidianità della solitudine, accerchiata da uno stigma sociale che ancora oggi, nel silenzio degli sguardi, continua ad additare e a segnare, come se la disabilità fosse una “colpa” e non una condizione.

A chi appartiene, dunque, la disabilità e chi se ne deve prendere cura? La risposta di chi non vive la disabilità è abbastanza comune, quasi sempre senza incertezze: «La disabilità non è un problema nostro, è un problema loro, delle famiglie e, grazie a Dio, non ci riguarda». Come ribaltare, allora, questo punto di vista, come riuscire a scardinare questo immaginario così radicato? Come arrivare a dire «mi riguarda», senza dover necessariamente passare per sentimenti come la pietà, la compassione, il buonismo, magari retorico e da indossare solo nelle belle occasioni?
Il problema di fondo, com’è ovvio, è che la disabilità non rappresenta certo un bene necessario come l’acqua, o piacevole come andare a vedere una partita di calcio allo stadio o andare al teatro. Anzi, diciamoci la verità, la disabilità non vogliamo proprio che ci riguardi, è meglio che stia il più possibile lontana da noi, e dunque, a queste condizioni, si fa fatica a pensarla come bene comune.
Allora, con umiltà, provo a dimostrare che le diversità – e quindi anche la disabilità – possono rappresentare invece addirittura una risorsa per la società e che questo può realizzarsi attraverso un processo d’inclusione.
La piena integrazione nella società delle persone con disabilità in tutte le sfere delle vita quotidiana, dalla scuola al lavoro fino ai servizi, è una sfida che può però essere vinta solo grazie al contributo di tutti e alla partecipazione responsabile al percorso di inclusione. Sottrarre le persone con disabilità da un circuito di assistenza, inserendole invece in uno virtuoso di formazione e di lavoro, può diventare un valore aggiunto, una risorsa per la società, proprio a partire dal risparmio economico che comporterebbe sia per le imprese che per lo Stato e quindi per l’economia di tutto il Paese.
Gli àmbiti di azione e gli obiettivi possono essere valutati anche sulla base delle diverse disabilità, considerando e potenziando le abilità residue, e possono quindi spaziare su diversi campi, in un percorso di istruzione della persona che ne faccia crescere le competenze e ne valorizzi le capacità, in settori che vanno dalla domotica al supporto alle Amministrazioni nell’analisi e nella scelta delle tecnologie più idonee, tanto per fare un esempio.
Non è più ammissibile relegare il non vedente al centralino solamente perché ci sente e non vede. Diamogli gli strumenti di formazione e studio, da subito, per poter essere attore della vita lavorativa.
Insisto molto su questo tema, sul fatto cioè che il mondo della disabilità venga visto come una risorsa e non più come un costo: se forniamo soluzioni utili, innovative, possiamo aprire un mercato alle imprese, come può accadere per il turismo accessibile, il commercio elettronico accessibile, la residenzialità accessibile, la digitalizzazione. Il futuro dev’essere in un mondo che comprenda tutti, senza esclusioni. Dev’essere un diritto di tutti poter girare liberamente, organizzarsi viaggi, scegliersi in libertà un ristorante, un cinema o un teatro, senza il rischio di trovarsi di fronte barriere architettoniche. È un fatto di civiltà, che qualifica una società, un Paese.
Sono profondamente convinto della necessità di dover raggiungere prima che il cuore le coscienze di chi ha il potere di rendere accessibili le nuove tecnologie a tutte le persone con disabilità, al fine di accorciare quell’enorme distanza con la società che ancora oggi preclude un pieno diritto di cittadinanza: il diritto di partecipazione attiva.
Questo significa creare una sinergia tra le realtà più importanti nelle rispettive sfere di competenza, per il raggiungimento di un obiettivo comune, cosa non facile, se pensiamo che si tratta di soggetti che per storia e successi conseguiti negli anni hanno la possibilità e le competenze per influire significativamente nella storia della scienza, ma, soprattutto, nella vita quotidiana delle persone.

Sono infiniti i temi che vorrei portare all’attenzione, soffermandomi ad esempio sulle esigenze di un mondo che ogni giorno combatte, quasi in solitudine, per obiettivi a volte così minimi che per altri rappresentano solo uno scontato punto di partenza. Potrei parlare delle famiglie sulle cui spalle grava il peso di una gestione così complicata che l’amore, da solo, non basta a sostenere serenamente, o di quei bambini che possono frequentare la scuola solo episodicamente, perché non trovano adeguate strutture di sostegno all’interno degli edifici, mentre tutti sanno quanto sia determinante, per i ragazzi, poter avere una vita felice, la socializzazione, la condivisione, l’amicizia.
E potrei però parlare anche di quante splendide persone ho incontrato girando l’Italia e il mondo, persone che nelle istituzioni o nella società civile da sempre lavorano con competenza per trasformare il mondo in un luogo accessibile a tutti.
E poi naturalmente c’è il mondo della scienza, che mi ha veramente colpito e quasi commosso per la passione e l’abnegazione con cui lavora quotidianamente: il calore, l’affetto, l’accoglienza e l’attenzione degli studiosi, dei professori, dei medici che ho incontrato rappresentano secondo me un valore aggiunto ai risultati che in campo tecnologico, medico e scientifico vengono quotidianamente raggiunti e che rappresentano davvero un determinante sostegno.

Io ho moltissimi sogni, sogni che – ne sono certo – condivido con tante donne, tanti uomini e tanti bambini nel mondo: sogno un mondo in cui alla persona con disabilità venga garantita la tecnologia più avanzata, per aiutarla a superare i suoi limiti, un mondo dove disabilità non sia sinonimo di malattia, dove l’inclusione rappresenti la norma e non più l’eccezione, un mondo dove le barriere, architettoniche e mentali rappresentino solo un lontano ricordo, un mondo solidale e aperto a tutti.
E come ormai ben sanno anche i Lettori di «Superando.it», non smetterò di nuotare fino a quando il mio sogno non diventerà realtà.

Nuotatore del Circolo Canottieri Aniene di Roma, amputato della gamba destra, sta portando avanti, da molti anni, un vero e proprio giro del mondo a nuoto, seguito anche dal nostro giornale e denominato “A nuoto nei mari del globo”, per dare visibilità al suo progetto “Un mondo senza barriere e senza frontiere”. L’iniziativa – patrocinata dal CIP (Comitato Italiano Paralimpico) – ha portato Cimmino a compiere numerose imprese natatorie ritenute “impossibili”, soprattutto in Africa, nelle Americhe e in Oceania. La prossima “incredibile tappa” (168,94 chilometri da Cuba alla Florida) sarà nel 2016.

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