Il 19 dicembre scorso la Camera è stata teatro di un confronto dai tratti paradossali, ma al contempo illuminanti di quale sia ancora, nonostante tutto, la conoscenza della disabilità e delle questioni aperte in tema di politiche inclusive. Un “confronto” che ha relegato la disabilità a occasione di mero scontro politico, di casus belli, di arnese per populismi prodromici di future campagne elettorali. Uno scontro in cui i Parlamentari che davvero conoscono lo strumento ISEE (Indicatore della Situazione Economica equivalente) e prima ancora le emergenze sociali derivanti dalla disabilità, sono davvero pochissimi.
L’arena è quella del dibattito sulla Legge di Stabilità per il 2016. È l’Aula di Montecitorio che ne approva i contenuti dopo la prima lettura alla Senato e dopo che il testo è stato ampiamente discusso nelle Commissioni Parlamentari. È in Aula, infatti, che viene presentato un emendamento che riguarda l’ISEE, non già al Senato e nemmeno nelle Commissioni. Forse perché in Aula c’è più probabilità di andare sotto i riflettori.
L’emendamento è a firma degli onorevoli Fabio Rampelli e Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e vi si chiede l’inserimento di un nuovo comma nella Legge di Stabilità in discussione. Lo citiamo per intero: «A decorrere dal 1° gennaio 2016 sono in ogni caso escluse dal computo dei redditi per la determinazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento».
Un testo che lascerebbe perplesso chiunque si sia occupato seriamente (al di là delle posizioni) dell’ISEE e di come questo impatta sulle persone con disabilità e le loro famiglie.
In sostanza, l’emendamento vorrebbe intervenire su un Regolamento – il citato Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 159/13 – anziché sulla norma originaria che lo prevede e cioè sulla cosiddetta “Legge Salva Italia” (Legge 22 dicembre 2011, n. 214, articolo 5). Forse questa bizzarria tecnica è necessaria a far dimenticare che l’allora partito di Giorgia Meloni e di molti dei Parlamentari presenti in aula – inclusi alcuni intervenuti – votò compattamente a favore della conversione in legge di quel Decreto ai tempi del Governo Monti, salvo ora scandalizzarsi per aspetti evidenziati da anni. Ma tant’è.
L’emendamento brilla poi per approssimazione, confermata in sede di presentazione e dibattito: a dar retta infatti agli onorevoli Rampelli e Meloni sarebbero esclusi dal computo ISEE indennità di accompagnamento e pensione di invalidità (civile si suppone). Al contempo rimarrebbero sciattamente computate le indennità di frequenza (riconosciute a molti minori con disabilità), gli assegni agli invalidi parziali, le pensioni sociali, le indennità e le pensioni agli invalidi per lavoro. “Figli e figliastri”, insomma.
Il viceministro all’economia Enrico Morando esprime il parere negativo del Governo, sostenendo che non è quello «il contesto giusto» e che – eventualmente – si tratterà di ISEE in sede di discussione dell’imminente Legge Delega sul Sociale.
Non una parola sulla pendente Sentenza presso il Consiglio di Stato, non una frase su ciò che tecnicamente comporterebbe tale modificazione e sui tempi di reale applicazione. Non una parola sui reali intenti del Governo ché forse non gli sono chiari.
Una modificazione del Regolamento, infatti – quand’anche discendesse da una Sentenza – comporterebbe comunque l’iter “di garanzia” già seguito per il primo DPCM: pareri di Conferenza Stato-Regioni, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, delle Commissioni di Camera e Senato, del Garante per la Privacy. Dopodiché approvazione dei nuovi modelli per la DSU (Dichiarazione Sostitutiva Unica), correzione del sofware INPS… altro che primo gennaio 2016!
Su tutto questo il Governo tace. Non sarebbe «il contesto giusto». Ma tant’è.
Ma torniamo nell’Aula di Montecitorio. L’emendamento, oltre al testo riportato, prevede anche la copertura finanziaria che non è dato sapere come sia stata calcolata: gli onorevoli Rampelli e Meloni la trovano con un rapido «Conseguentemente, sopprimere il comma 339», comma che vale 3 milioni di euro.
Ma cosa prevede il comma 339? Sono 3 milioni che lo Stato restituisce ai Comuni siciliani che si sono pesantemente fatti carico dell’accoglienza dei migranti (profughi, richiedenti asilo, rifugiati), facendo fronte al lacunoso e tardivo intervento delle Istituzioni centrali. Uno spostamento di risorse che non stupisce se proposto da Fratelli d’Italia (e appoggiato dalla Lega Nord), ma che lascia perplessi se pedissequamente adottato da SEL (Sinistra Ecologia e Libertà) e dal Movimento 5 Stelle, solitamente più sensibili a questi temi. Ma tant’è.
Nella presentazione del bislacco emendamento, Giorgia Meloni – legittimamente e a beneficio delle telecamere – fa “il suo mestiere”, tacendo ancora una volta sulla stima della copertura finanziaria. Timidamente qualcuno aveva fatto notare che 3 milioni sarebbero stati insufficienti a coprire la mancata partecipazione alla spesa (contraddizione: allora è un problema solo di copertura?). In realtà nessuno può al momento avere la più pallida idea di quale sia la cifra, il differenziale di spesa, e questo la dice lunga sulla qualità dei dati che abbiamo a disposizione.
L’ultimo dato ISTAT, ad esempio, ci dice che l’importo della partecipazione alla spesa per i servizi sociali e sociosanitari erogati dai Comuni è stato pari a 993 milioni. Non tutti riguardano ovviamente i servizi per la disabilità, ma tutti potenzialmente sono sottoposti ad ISEE.
Il “mancato introito” è tutto da stabilire: dipende dalle soglie di accesso e di partecipazione alla spesa che fissano gli enti erogatori. Questo dato non c’è e non ci può essere, prova ne sia il disorientamento degli stessi Comuni nel fissare nuove soglie: eccedere significherebbe creare disequità, conflitto, scontento; fissare soglie molto basse comporterebbe un rischio per i bilanci comunali oppure generare liste d’attesa ancora più lunghe. Una complessità notevole che la Camera riduce a un battibecco nel quale si parla di “bisogni”, ma mai di diritti.
Donata Lenzi del Partito Democratico tenta un’attività divulgativa – forse anche un po’ troppo – sugli elementi essenziali che caratterizzano l’attuale ISEE, ma serve a poco all’Aula. Ma tant’è.
Seguono una serie di interventi – alcuni secchi, altri più articolati – per appoggiare l’emendamento. Lo fa il capogruppo alla Camera di Forza Italia Renato Brunetta, lo fa Paola Binetti di Area Popolare, lo fa Marisa Nicchi di SEL, l’unica per altro a ricordare “una” Sentenza del TAR del Lazio, ma non quella imminente del Consiglio di Stato [erano state infatti tre le Sentenze del TAR del Lazio, la n. 2454/15, la n. 2458/15 e la n. 2459/15 a modificare parzialmente di fatto l’impianto di calcolo dell’Indicatore della Situazione Reddituale (ISR), cioè di una delle due componenti dell’ISEE, N.d.R.].
Interviene anche l’onorevole Ileana Argentin del Partito Democratico, rassicurando sul fatto che l’ISEE ha comunque natura sperimentale «di circa dieci mesi». Da quale atto o norma le risulti questa affermazione non è dato sapere, visto che così non è. Ma Argentin rileva anche i presunti meriti antielusivi dell’ISEE: avrebbe – a sua detta – contrastato il fenomeno dei “falsi invalidi”. «Questa forma di ISEE – dichiara – ha permesso di tagliare sui falsi invalidi in un grande numero per quelli che si iscrivevano soprattutto nel Meridione al 40% – ora non so dire con esattezza la percentuale – ma hanno creato diciamo un grande risparmio che ha permesso di ridurre gli sprechi in questo settore».
Anche su queste gravi affermazioni, piuttosto abborracciate, non è dato conoscere le fonti. In quelle ufficiali non se ne trova traccia.
Seguono ulteriori e numerosi interventi, tra il filosofico, il demagogico, il fuori luogo, l’esistenziale, il generico, il disinformato… Finisce che l’emendamento viene respinto (131 voti contro 278). Non ce ne stracceremo le vesti e lungi da noi ritenerla un’“occasione persa”.
Un tema rilevante come quello dell’ISEE – a parere di chi scrive – meritava di essere affrontato prima di adesso e occasioni ce ne sono state. Ma anche con altre premesse, strumenti e proposte. E forse prima ancora che sull’ISEE – di cui per altro, come più volte ricordato, si sta occupando il Consiglio di Stato – è opportuno intervenire sulle risorse e sulle politiche stesse per la disabilità. Con il timone dei diritti, non certo con quello del “bisogno” e della “beneficenza”. Il resto è fuffa.