Noria Nalli, che cura il blog La stampella di Cenerentola su «La Stampa.it», ha recentemente pubblicato un articolo dove smentisce una notizia circolata tempo fa e relativa all’ingaggio della modella curvy Clémentine Desseaux come testimonial del rossetto Louboutin [per “curvy” si intendono donne che si sentono a proprio agio con forme prorompenti e non con il fisico classico “da modella”, N.d.R.]. «La Louboutin mi aveva mandato il rossetto da provare, in qualità di blogger ed io ho realizzato un video, tra l’altro molto carino, che ho pubblicato sulla pagina social della griffe. A loro è piaciuto e l’hanno condiviso. Non è successo altro», ha scritto la modella attraverso la sua pagina Facebook alla stessa Nalli.
L’articolo della Stampella di Cenerentola, però, ha un tono tutt’altro che negativo, a partire dal titolo (Il mondo della moda non avrà più barriere), fino ad arrivare alla frase emblematica «Non era ancora il momento giusto». Nalli pone l’accento sul fattore della tempistica, evidentemente sbagliata, che non ha favorito quella spinta verso una maggiore apertura mentale che abbracciasse la concezione che sì, anche una modella curvy sarebbe potuta essere la testimonial di un rossetto.
E, in effetti, ha pure ragione, perché Desseaux ha osservato che il video da lei realizzato è stato apprezzato e condiviso dalla pagina social della griffe. Qualcosa è stato fatto, dunque. Forse Clémentine Desseaux, in quanto modella curvy, non era abbastanza per poter diventare testimonial del rossetto Louboutin, ma sicuramente ha mostrato delle qualità che hanno colpito e che, in ogni caso, sono state riconosciute. Un piccolo passo in avanti, no?
Mi viene in mente un’esperienza simile che ho vissuto in prima persona [se ne accenna anche in un’intervista a Silvia Lisena da noi pubblicata, N.d.R.], l’audizione per un cameo nel musical Ghost.
Un giorno, verso la fine del 2013, mi arrivò una mail dalla newsletter di Radio Italia, che informava della possibilità di partecipare a un’audizione per un cameo nel riadattamento a musical del famoso film Ghost, semplicemente scrivendo una frase che rappresentasse ciò che era per ognuno la recitazione. Lo ammetto, partecipai con un misto di leggerezza e di scetticismo, perché conoscevo bene la proverbiale sfortuna che avevo nei concorsi a premi, e, ripensando al mio percorso di attrice amatoriale, scrissi «Recitando si capisce la vita».
Poco tempo dopo ebbi una sorpresa enorme nello scoprire che sì, io, proprio io, ero stata selezionata per partecipare all’audizione! Avendo realizzato che la cosa si stava facendo seria, decisi di scoprire tutte le carte in tavola, rivelando di essere in carrozzina e chiedendo se ci fossero problemi di barriere architettoniche – l’audizione si sarebbe svolta nientemeno che negli studi di Radio Italia a Cologno Monzese – e non solo. Non mi sfiorò nemmeno per un secondo l’idea di rinunciare soltanto a causa della mia disabilità, semplicemente perché non è nel mio carattere darla vinta ai pregiudizi che gli altri potrebbero avere nei miei confronti: io sarei andata e paranoie non ne avevo, se qualcuno se le fosse fatte, sarebbe stato un problema solo ed esclusivamente suo.
Mi risposero che non c’era alcun problema e anzi mi fecero esplicitamente sapere che si sarebbero premuniti di verificare l’accessibilità del teatro in caso di mia vittoria; insomma, mi presentai all’audizione non senza emozione, anche perché avrei visto per la prima volta gli studi della radio che ascolto ogni mattina.
Eravamo una ventina fra ragazzi e ragazze, e subito ci divisero in coppia per interpretare la famosa scena del vaso di creta al tornio: riuscii subito a immedesimarmi nella protagonista femminile e così mi trasformai in un’originalissima Molly in carrozzina intenta a modellare il mio vaso di creta, mentre A. – il ragazzo che mi era stato affiancato e che doveva impersonare Sam – veniva verso di me iniziando a punzecchiarmi affettuosamente.
Fu molto divertente, in primis perché eravamo riusciti a superare l’imbarazzo iniziale di due perfetti sconosciuti che dovevano improvvisare una scena densamente carica di malizia, e avevamo quindi cercato di essere il più credibili possibile nella nostra interpretazione, tanto che addirittura a un certo punto io – che come da copione, dovevo fingere di scansarlo, sempre in modo affettuoso – esplosi in un’esclamazione scherzosamente piccata che non era assolutamente scritta nel copione.
Risultato? Suscitai le risa di tutti, a partire da quelle di A., fino ad arrivare al regista stesso che mi comunicò compiaciuto che avrebbe inserito quella mia battuta nel copione perché l’aveva apprezzata molto. Fu il mio piccolo momento di gloria e mi scoprii orgogliosa di aver fatto fruttare uno degli insegnamenti che i miei professori di teatro mi avevano impartito, ossia quello di rendere proprio il copione, giocandoci e modificandolo in tutta libertà.
Al termine della mia interpretazione, dopo i complimenti, arrivò la sentenza che mi riportò “bruscamente” alla realtà e che, in cuor mio, non mi colse così impreparata: il regista mi disse che purtroppo il musical prevedeva tante scene di movimento e che quindi non sarebbe stato adatto a me che, essendo in carrozzina, inevitabilmente avevo una capacità di movimento limitata.
Lo sapevo, dopo quasi dieci anni di teatro e soprattutto dopo avere recitato in un musical, capivo benissimo che l’impostazione di questo genere ruota attorno a un dinamismo scenografico che potrebbe risultare un impedimento per una persona con disabilità – a maggior ragione se non lo si studia dall’inizio, quando eventualmente si decide per un suo coinvolgimento.
Annuii, ringraziai comunque per la possibilità datami e tornai a casa. Delusa? No, per quanto possa sembrare strano. Perché avevo comunque ottenuto una vittoria personale: avevo dimostrato al regista, e a tutti coloro che erano là, che una ragazza con disabilità si era presentata a una comune audizione e che aveva fatto pure una bella performance. Senza la pretesa di vincere, ma almeno con quella di dimostrare che la disabilità può e ha tutto il diritto di rompere gli schemi e di sfidare gli altri.
Penso che non sarà una singola persona a fare la differenza, ma una singola persona può innescare e rendersi partecipe del meccanismo che, pian piano, cercherà di portare a un cambiamento di mentalità e a un più ampio orizzonte di vedute. Ci saranno mille tentativi che saranno comunque delle vittorie personali di chi li fa. Come quello di Clémentine Dessaux. Come quello mio.
[…] la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato,
la paura e il coraggio di dire: «Io ho sempre tentato, io ho sempre tentato…».