Giorni fa ha visto la luce PASSin, spazio web con l’ambizione di raccogliere in particolare informazioni sulle iniziative culturali del Milanese, accessibili alle persone con disabilità sensoriali [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.]. Giorni dopo, presso il nuovo Centro Polifunzionale Spazio Vita Niguarda dell’omonimo Ospedale di Milano, ha aperto la mostra d’arte L’emozione del colore. Gioia e Rabbia nei percorsi cromatici, un’esperienza di soli tre giorni, ma che si ritrova nei laboratori artistici del centro aperti tutto l’anno. E tuttavia, ciò che più mi ha spinto a questa riflessione è stato il curioso pezzo di Roberta Scorranese in «Corriere della Sera.it», intitolato Annibale Carracci, il genio che morì di tristezza.
Forse non tutti sanno che… che la disabilità nel mondo della pittura è tutt’altro che un’eccezione. A prescindere da quelle difficoltà mentali che nel pensare comune vanno sotto la locuzione di “follia”, intesa come sinonimo di genialità e di cui il massimo esponente è probabilmente considerato Vincent Van Gogh, esiste tutta una serie di celebrità del pennello con deficit fra i più impensabili. Non che necessariamente la disabilità dia luogo al capolavoro, ma il capolavoro non sfugge all’abilità della persona disabile.
Partiamo proprio dal Carracci (1560-1609). Annibale, secondo quanto scrive Scorranese, soffriva di melanconia. Diciamo di depressione, ovvero non riusciva a reggere la competizione con Michelangelo Merisi (1571-1610), detto il Caravaggio, che incarnava il non plus ultra dell’arte primo secentesca. Un limite alto con cui confrontarsi e di fronte al quale l’indiscussa bravura del Carracci nel profondo della sua intimità probabilmente soccombeva. Ma Carracci era tutt’altro che un pittore da quattro soldi, infatti il suo nome viene ricordato come quello di uno dei più grandi restauratori del precedente classicismo.
Ma il dualismo fra Carracci e Caravaggio non si riduce a una pura questione di storia dell’arte. Secondo alcune fonti, infatti, Annibale avrebbe sofferto di epilessia, come pure il più celebre antagonista Caravaggio. Di questi si sa per certo che si interessò tantissimo all’epilessia, come dimostra l’analisi di alcune sue opere, fatto che induce appunto a pensare che ne soffrisse.
Spostiamo l’asticella ancor più in alto nell’albo delle notorietà e passiamo da Michelangelo a Michelangelo. Al Buonarroti (1475-1564), il Michelangelo per definizione. Quello della Cappella Sistina e del Mosè. Si sa che fosse di carattere non facile e se anche in questo caso è stata avanzata l’ipotesi della depressione, un’altra teoria lo vuole vittima della sindrome di Asperger, la nota forma di autismo “ad alto funzionamento”, disturbo che comporta problematiche nell’interazione sociale.
Il Buonarroti, sindrome o non sindrome, in considerazione della disabilità come rapporto fra condizioni di salute e ambiente circostante, non possiamo dire se la passasse benissimo. Non è una forzatura di parte, pertanto, volerlo considerare artista, e che artista, con disabilità.
Torniamo al Seicento, il secolo del Barocco e del celebre maestro olandese Rembrandt (1606-1669), anche lui ascrivibile alla lunga lista degli artisti con deficit. Avrebbe sofferto infatti di strabismo, secondo una teoria della Harvard Medical School, che parte dall’analisi di trentasei suoi dipinti. Dallo studio risulterebbe che egli non fosse in grado di percepire la profondità del veduto, ovvero che, appunto, fosse strabico. Caratteristica alla quale, se così fosse, dovremmo l’esclusività della sua arte.
È invece certo che il secolo dopo Francisco Goya (1746-1828) abbia sofferto, a partire dal 1792, di sordità, per una causa non meglio identificata. Stiamo parlando di una delle massime espressioni della pittura spagnola di ogni tempo. L’autore della Maja desnuda, per intenderci. Il primo nudo prodotto per il gusto del nudo. Un capolavoro di rottura col passato, dipinto dopo la malattia, con tutto il senso di solitudine che essa aveva scatenato in lui.
Meno di cento anni e approdiamo all’impressionismo, di cui è aperta la diatriba sui presunti difetti di vista dei suoi maggiori interpreti, che secondo un neurologo australiano sarebbero stati miopi.
Lasciando agli studiosi la questione, è invece appurato che Claude Monet, padre del movimento, negli ultimi anni di vita avesse problemi di cataratta e, dunque, la sua produzione finale è conseguente a uno stato di disabilità. Disabilità che, sotto forma di artrite reumatoide, interessò pure l’altrettanto illustre collega Pierre-Auguste Renoir, che iniziò a soffrirne nel 1897, riportando una deformazione degli arti che lo accompagnò per il resto dei suoi anni e ne caratterizzò la pennellata, corta e rapida.
Altri problemi fisici riguardarono Paul Klee (1879-1940), caposaldo dell’arte tedesca del Novecento, colpito da sclerodermia nel 1933, malattia forse scatenata dallo stress per essere stato rimosso dal ruolo di professore all’accademia d’arte di Düsseldorf dal Partito Nazionalsocialista. Questa malattia – che tra le sue conseguenze indurisce gravemente i tessuti – ne caratterizzò la produzione, portandolo a trattare il dolore, la morte, l’ignoto.
Contemporaneo di Klee fu Antonio Ligabue (1899-1965), il “matto per eccellenza”, dalla vita travagliata e dai numerosi ricoveri in istituto psichiatrico. Eminente naïf, soffrì moltissimo e produsse opere meravigliose. Ma sopra la sua follia non può che ergersi quella del già citato Vincent Van Gogh (1853-1890), eccelso artista dalla cui mente perturbata nacquero i capolavori che tutti conosciamo.
E ancora, Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec (1864-1901) riporta alla disabilità motoria per via del disagio genetico alle gambe che si suppone fosse picnodisostosi, malattia più nota come – in sua memoria – “sindrome di Toulouse-Lautrec”. Il pittore che più di ogni altro esaltò la vita notturna parigina dell’epoca fu anche dedito all’alcol e per questo venne ricoverato in clinica psichiatrica. È assai probabile che il suo interesse per gli emarginati derivasse proprio dalla sua condizione fisica.
Frida Kahlo (1907-1954) è probabilmente l’artista cui più facilmente viene accostata la disabilità. Affetta da spina bifida o poliomielite, a seconda delle fonti, fu vittima di un incidente mentre si trovava su un autobus che le devastò il corpo, costringendola a letto per molto tempo e provocandole dolori fortissimi per tutta la vita. Ciò non le impedì di dipingere e di diventare uno dei maggiori artisti del suo Paese, il Messico, nonché di portata internazionale.
Altra donna imprescindibile nello scenario dell’arte pittorica è Yayoi Kusama (1929), uno dei più influenti (e pagati) artisti contemporanei. Vive in un ospedale psichiatrico a Tokio e la sua produzione visionaria, colorata e massimamente introspettiva, non riesce a lasciare indifferenti.
Siamo così ai giorni nostri, in questo viaggio che sicuramente ha tralasciato più di qualcuno perché il campo è davvero vastissimo e in evoluzione, via via che gli studi sugli autori si raffinano agli occhi della nuova concezione di disabilità.
Tuttavia una citazione deve andare a Jackson Pollock (1912-1956), l’inventore dell’arte in movimento, il padre dell’arte moderna, e un’altra a Jean-Michel Basquiat (1960-1988), “artista maledetto” le cui opere oggi costano fior di milioni. Il primo era alcolista e faceva ricorso a psicofarmaci, il secondo tossicodipendente con decisi problemi relazionali. Ambedue accomunati da un deficit. Probabilmente dall’incapacità di gestire il genio.
Genio che illuminò Keith Haring (1958-1990), tanto da portarlo dai graffiti in metropolitana a quelli per i muri di mezzo mondo, rendendolo celebre come il primo, e forse il maggiore, grande writer della storia. Morì di AIDS, malattia all’epoca assai pregiudizievole e per questo annoverabile fra le cause di disabilità.
E qui concludo il mio passeggio nel mondo dell’arte, ribadendo che l’uomo, con disabilità o meno, ha bisogno di cultura. Lo sanno bene gli estremisti che cercano di cancellarla in ogni modo. E chi ancora crede che le persone con disabilità siano inferiori se ne faccia una ragione: fra i più grandi artisti di ogni tempo molti erano “diversi”!