A dispetto della melassa buonista del Natale e della speranza sbandierata in tutte le salse a Capodanno, il 2016 è iniziato nel peggiore dei modi, con un piccolo gesto di ordinaria burocrazia, che ha rivelato, ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’indifferenza ottusa e miope dimostrata davanti alle cosiddette “fasce deboli” della popolazione da parte del sistema, della società, dello stato (ciascuno usi il termine che meglio gli aggrada, tutti quanti ne escono con le ossa rotte, e rotte di brutto: quindi, l’uso della minuscola è d’obbligo). Nonostante non si perda occasione di fare ripetute e plateali attestazioni di attenzione, sensibilità e volontà di aiuto proprio nei confronti di queste “fasce deboli”.
Ma che cosa è successo? Nulla. Le pensioni, con un minuscolo, insignificante ritardo, comunicato in una nota di routine nel sito internet dell’INP tre giorni prima della fine dell’anno, sono state pagate il cinque del mese di gennaio. Comprese le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento.
Ora, ci sono persone, tantissime e “normalissime”, che aspettano come l’aria quella scadenza di pagamento e quella cifra “erogata”. Con “normalissime” intendo dire che non si trovano con clamore ai margini e alle periferie dei senzatetto, che pure oggi sono popolate da una folla che è indecente che ci sia e che cresce ogni giorno di più. Queste tantissime e “normalissime” persone – e le loro famiglie – su quella scadenza di pagamento e su quella cifra fanno i conti della sopravvivenza. Programmano. Calcolano. Rinunciano e rimandano. Su quella data e con quella cifra “ campano”: specie quando “campare “ significa viverci appena appena appena; significa mandar giù lo scandalo mensile che una persona invalida e completamente inabile alla vita autonoma sia ritenuta degna di vivere con una somma ridicola, con la quale, non si sa bene come, dovrebbe pagarsi vitto, alloggio, accompagnamento sulle ventiquattr’ore, e, scusate se lo si fa presente, salvaguardare uno straccio di dignità del vivere.
Sono le stesse tantissime e normalissime persone che, con grande senso del decoro e con immenso senso civico, accettano di subire tutta una trafila di accertamenti ripetuti, certificazioni richieste, dichiarazioni rilasciate ecc. ecc. ecc., la cui mancanza comporta ipso facto la perdita al “ diritto alla prestazione”.
Sono le stesse persone, e le loro famiglie, che si fanno ogni giorno carico di una serie mostruosa di tempi, costi, oneri che vengono fatti risparmiare al sistema, alla collettività, agli altri concittadini. Sono le stesse persone che avrebbero tutto il diritto, quando vengono definite “fasce deboli”, di prendere a pedate nel sedere chi utilizza questo termine, perché se proprio un attributo si deve spendere, dovrebbe essere quello di forti, di fortissime, di generose e persino di eroiche. Se non fosse per loro, infatti, e per il loro atteggiamento, il nostro sistema pubblico di assistenza, di welfare, ma anche semplicemente di conti e di contabilità, sarebbe andato a rotoli da un pezzo. E se quel loro atteggiamento lo cambiassero, tutto il sistema andrebbe a rotoli nel giro di un weekend.
Con questo “ ponte” di inizio anno, comunicato con freddezza indifferente su un sito internet a pochi giorni dalla scadenza, si è dato uno schiaffo in piena faccia a tutte queste tantissime e normalissime persone, alle loro tantissime e normalissime famiglie. E non mi si venga a parlare di “società civile”, in casi come questi, né di cultura o tanto meno di civiltà. E che qualcuno si svegli, una buona volta!