Quando è scoppiato il “caso Volkswagen”, nessuno ha pensato di usare il calesse al posto delle auto. Le notizie sulla malasanità non hanno fatto tornare in voga purghe, salassi e altri rimedi ancora in uso nella medicina dell’Ottocento. Càpita invece che quando si evidenziano problemi (veri e presunti) dell’inclusione scolastica dei bambini e ragazzi con disabilità, ci sia spesso qualcuno che invochi il ritorno alle scuole speciali.
Ma quali sono oggi le condizioni che rendono ancora proponibile una proposta educativa che affonda le radici nella fine dell’Ottocento e che in Italia non è praticamente più praticata da ormai quasi quarant’anni?
I motivi e le condizioni che portano le famiglie a scegliere per i loro figli una scuola “speciale”, iniziano ad essere noti. La scelta della scuola speciale appare interessante a quelle famiglie che vengono lasciate sole ad affrontare le fatiche della disabilità. A causa di un sistema che riesce a garantire, e solo in parte, gli interventi sanitari o al massimo riabilitativi. Fatiche che crescono e che quindi rendono la proposta speciale “tutto incluso” molto attraente e rispondente ai bisogni delle famiglie stesse.
Quello che tuttavia fa riflettere è che oggi, nonostante tutto, la proposta della scuola speciale possa apparire ancora interessante, seducente e conveniente, non solo alle famiglie, ma anche ad alcuni addetti ai lavori, così come all’opinione pubblica.
Ebbene, le scuole speciali sono interessanti perché corrispondono agli interessi di chi le propone e di chi sarà chiamato a realizzarle. Si parla certamente di interessi materiali: una scuola diversa da quella per tutti, diventa infatti un luogo fisico che dev’essere costruito e allestito, con i suoi dirigenti, operatori, insegnanti che vi lavoreranno. Una struttura che avrà quindi bisogno di risorse.
Ma molto più forte appare l’interesse “reputazionale”: in altre parole, la scuola speciale, al contrario dell’inclusione scolastica, fa sempre e comunque notizia. Portare avanti una struttura ad hoc per le persone con disabilità è considerato ancora (e forse ancora di più che nel recente passato) una “cosa buona e giusta”. Il lavoro per l’inclusione, al contrario, è sempre un lavoro che si attua nell’ombra e che viene spesso misconosciuto, come dimostra la fama, non certa buona, di cui godono oggi gli insegnanti di sostegno, gli educatori che lavorano nella scuola, così come gli assistenti sociali e gli specialisti del settore.
In un contesto sociale che, forse per troppe aspettative, non fa sconti e non risparmia critiche a chi dovrebbe garantire l’inclusione scolastica, la scuola speciale diviene una proposta seducente. Un luogo dove tutte le tensioni si stemperano, e che sembra capace di garantire tutto ciò di cui un bambino e un ragazzo con disabilità abbia bisogno. Senza bisogno di dimostrare alcunché, nonostante non vi sia alcuna evidenza che l’educazione separata sia capace di garantire percorsi educativi personalizzati meglio della scuola di tutti (anzi…), mentre è quasi certo che un bambino che passa dalla scuola speciale passerà il resto della sua vita in contesti “protetti”, come i centri diurni e le comunità e le residenze sociosanitarie.
E così la scuola speciale diviene una proposta semplicemente conveniente.
Conviene agli specialisti del settore che potranno lavorare in santa pace, in un luogo dedicato alla cura, anziché dover fare i conti con le fatiche e i problemi del contesto sociale.
Conviene ai dirigenti scolastici e agli insegnanti che potranno occuparsi di un problema in meno, per il quale non si sentono preparati e che mette in discussione le scelte educative e organizzative delle loro scuole e delle loro classi.
Conviene anche alle famiglie che, stremate, trovano finalmente un posto dove appoggiare la testa.
Perché, alla fine, conviene a tutti che questi bambini e ragazzi “speciali” se ne stiano al loro posto: il posto degli handicappati, oggi nelle scuole speciali, domani negli istituti.
Per fortuna ci sono ancora molte persone che non cedono a queste sirene e continuano ad impegnarsi e a spendersi perché a scuola, così come nel resto della società, questi bambini e questi ragazzi possano stare al loro posto, insieme a tutti gli altri bambini e ragazzi. Perché crescere tutti insieme è una bellissima avventura, ed è un diritto che nessuno può arrogarsi di mettere in discussione.