«Parole dentro racconta la paura di dire e la ricerca delle parole giuste per farsi ascoltare e trovare dagli altri. Quante parole non abbiamo pronunciato, quante frasi ci attraversano quotidianamente, quanti non detti? Queste le domande su cui ha lavorato il gruppo, incontrando persone accolte in un workshop teatrale e coinvolte dagli stessi attori afasici nell’esplorare il proprio silenzio, la propria fatica di esprimersi verbalmente. Un percorso teatrale e drammaturgico in cui si cerca, nel quotidiano, un’afasia emotiva comprensibile a tutti, perché il pubblico possa riconoscersi in quella fatica di dire con le parole, vissuta ogni giorno dalle persone afasiche».
Viene presentato così Parole dentro, il nuovo spettacolo liberamente ispirato all’Ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, che andrà in scena martedì 12 gennaio a Torino (Teatro Astra, Via Rosolino Pilo, 6, ore 21).
Si tratta della più recente realizzazione del Teatro Babel, esperienza nata nel 2013 come gruppo teatrale aperto ad attori afasici e studenti-attori in formazione, nell’àmbito del Laboratorio Teatrale Permanente del CIRP (Centro Intervento e Ricerca in Psicologia) della Fondazione Carlo Molo, impegnata anche nel settore delle ricerche neuroscientifiche, oltreché sulle tematiche legate all’identità di genere.
«Quando la dimensione artistica e la disabilità si incontrano – avevamo scritto qualche tempo fa, a proposito di Come guerrieri senza spada, precedente spettacolo del Teatro Babel – a volte (spesso) nascono dei paradossi. Che poi scompaiono. Perché affiora altro. Vale per lo sport, per l’arte, per lo spettacolo. Anche per il teatro. E vale per tutti e sempre. Ci sono condizioni di disabilità sensoriale che vengono lasciate più ai margini di altre, vittime ancor più di stigma e paure. L’afasia si distingue fra queste. Evoca la solitudine e la non comunicabilità. Non sono molti coloro che hanno a cuore chi ha perso e vuole e sta per recuperare il linguaggio. Eppure non c’è virus, non c’è contagio».
«È un teatro senza parole – aveva spiegato Lorena La Rocca, ideatrice e regista di tutte le produzioni di Babel (ConversAzioni, Come guerrieri senza spada e ora appunto Parole dentro) – anche se dire questo è riduttivo, perché le parole ci sono. Nasce un ascolto fatto non solo di parole, ma anche di parole».
La Rocca è una regista che da anni ha scelto la strada, difficile e affascinante, del teatro sociale e qui porta in scena, come detto, attori che vivono la condizione di afasia, insieme a studenti del Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche e Logopedia dell’Università di Torino, ovvero i futuri “professionisti della cura”.
Le persone afasiche, è opportuno ricordarlo, hanno un problema a convertire le rappresentazione mentali in qualcosa di fisico, attraverso una parola che non arriva. Si vede un tavolo, si sa che è un tavolo, non si associa la parola tavolo a quello che si vede. «L’afasia – si legge nel sito della Fondazione Molo – è una parola che deriva dal greco afasia, “mutismo”, e connota un’alterazione del linguaggio dovuta a lesioni alle aree del cervello deputate alla sua elaborazione. Le alterazioni possono riguardare vari aspetti del linguaggio: comprensione, produzione, ripetizione, strutturazione. Tra le cause più frequenti dell’insorgere dell’afasia: ictus, ischemia transitoria, emorragia cerebrale, processi espansivi (tumori), processi degenerativi (atrofie cerebrali). La disabilità che ne consegue intacca la sfera sociale e relazionale, ponendo molto spesso la persona afasica in una situazione di disagio, depressione e isolamento». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa Fondazione Carlo Molo (Daniela Trunfio), daniela.trunfio@fastwebnet.it.
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