Roberto Guerri è stato trovato in casa sua, in carrozzina, morto da qualche giorno. Trovo tutto questo vergognoso.
Avevo conosciuto Roberto nel 1959 all’Istituto Anna Torrigiani di Firenze, fondato e diretto da Adriano Milani Comparetti*. A quei tempi su questo pianeta non si parlava ancora di vita indipendente per i disabili. Ma Adriano Milani Comparetti ne aveva anticipato il succo, sia nella pratica (sebbene fosse un istituto ad internato di fine Anni Cinquanta, c’era molta autodeterminazione per i singoli) e sia con le parole (per gli assistenti ai disabili Milani parlava di “protesi umana”, anticipando così il concetto di “assistenti personali”, rivelatosi poi centrale per la vita indipendente).
Roberto aveva capito benissimo come pochi altri l’importanza di tutto ciò. E forse è anche per questo che alla fine degli Anni Sessanta, inizio Anni Settanta partecipò alle esperienze del Gruppo Spastici Adulti, lasciò la famiglia di origine e partecipò alla Casa Famiglia di Via Galliano a Firenze.
Nella seconda metà degli Anni Ottanta con Roberto gestivamo un Servizio Consulenza Disabili. In quegli anni, quando con il sostegno della Provincia di Firenze fu invitata a Firenze Judy Heumann, leader del movimento USA per la vita indipendente, Roberto partecipò in prima persona alla presidenza del convegno che facemmo a Palazzo Medici Riccardi. E ricordo molto bene il suo viso interessatissimo la sera a cena con Judy, che aveva capito molto bene l’importanza della vita che faceva Roberto. Insomma, una mente viva e intelligente, che lo faceva essere pioniere.
Quando Teresa Serra** venne a Firenze per proporre una stretta collaborazione sulla vita indipendente, Roberto fu molto interessato alla cosa. Fra l’altro partecipò a Roma sia nel 1989 alla prima Conferenza Europea (a livello CEE) sulla vita indipendente, che nel 1991 all’Assemblea di fondazione di ENIL Italia [European Network on Independent Living, N.d.R.].
In quegli anni, in cui iniziava l’enorme impresa di vivere da solo, Roberto, sempre da solo, riuscì a convincere alcuni Consiglieri Comunali di Firenze a fare approvare il primo fondo in Italia per la vita indipendente. È stata una delle varie cose sulle quali Roberto è stato davvero molto grande.
Quando avevo saputo da qualche giorno della morte di Roberto e iniziavo a capacitarmene, nell’ascoltare il Papa parlare ripetutamente delle mensa dei poveri, ho sentito, forse come non mai, quanto chi è al potere non capisce, o non vuol capire, la vita vera.
Roberto aveva pochissimi mezzi materiali, ma era sicuramente molto ricco e, nel suo “piccolo”, è stato sicuramente un grande. Chi non riesce a sottrarsi al pregiudizio lo considerava un disabile grave, ma è riuscito a cambiare un briciolo della storia di Firenze e a migliorare di una briciola la storia di questo pianeta. Sono sicuramente briciole, ma sono queste “briciole” ad essere le uniche capaci di migliorare veramente il mondo.
Roberto fondò insieme a me l’“Associazione Vita Indipendente” per la Toscana [AVI Toscana, N.d.R.] e, nei primi tempi, le riunioni si facevano a casa sua.
La vita di Roberto si basava molto sul servizio degli “obiettori di coscienza”. Perciò tutto divenne molto più difficile per lui quando finì il servizio militare-civile obbligatorio. Quando annunciarono questa fine, senza creare una valida alternativa, fra me pensavo a quanti danni avrebbero creato per i disabili veri, e pensavo molto a Roberto. Insomma, le vite degli “ultimi” sacrificate sull’altare di ben altri interessi.
Come, per essere sincero, nel mio ultimo libro [“VIVERE EGUALI: Disabili e compartecipazione al costo delle prestazioni”, N.d.R.] non poche pagine sono state scritte proprio pensando a Roberto e alle difficoltà inammissibili nelle quali veniva fatto sopravvivere e affogare, e aveva dovuto vivere, fra altri, anche Lucia.
A differenza di me, pur ritenendola ardua, Roberto credeva nella possibilità di convincere quelli che lui chiamava i politici. Oltre alla fine del servizio civile obbligatorio, la vita di Roberto è diventata più difficile quando si è reso conto che non era più possibile far capire le cose ai politici.
Soprattutto a seguito della fine del servizio civile (che avrebbe potuto essere un grosso passo in avanti, se gestita correttamente), ma anche per altri motivi, negli ultimi anni Roberto non ce la faceva più a gestire la sua vita da solo.
Il professor Colin Barnes, direttore del Dipartimento di Studi sulla Disabilità all’Università di Leeds nel Regno Unito, uno dei massimi esperti mondiali in materia, ha giustamente scritto che, per fare vita indipendente, ai disabili vengono chieste capacità sovra umane.
Come avviene in Paesi meno arretrati, Roberto aveva bisogno – e pienamente diritto – del sostegno di un’Agenzia per la Vita Indipendente. Purtroppo la Regione Toscana non l’ha voluta finanziare. Nella mia coscienza so bene che questo è stato uno dei motivi fondamentali per cui Roberto non ha potuto vivere più a lungo.
Conoscevo troppo bene Roberto per capire il significato delle sue parole, quando mi diceva le difficoltà che gli venivano create dal Comune di Firenze perché gli dava il finanziamento per la vita indipendente soltanto se produceva tutte le ricevute. Insomma un disabile gravissimo, solo al mondo, che veniva trattato dai cosiddetti servizi sociali del Comune di Firenze come una società commerciale.
Negli ultimi tempi, e ricordo molto bene la sua ultima e-mail, Roberto aveva perso ogni speranza e aspettava la morte. I suoi appelli su Facebook sono molto indicativi di quanto lui, grande uomo, era stato lasciato completamente solo.
Come tante altre persone, molto spesso per niente famose, ma capaci di guardare lontano, anche Roberto è morto troppo presto, nella solitudine e nell’amarezza. E allora, fra molti, come non pensare a Galileo, a Giordano Bruno e così via. E come non meditare profondamente sui riferimenti che Gabriella Bertini*** faceva a Gesù Cristo. Forse si può anche capire meglio quanto l’essere umano sia capace delle ingiustizie più inammissibili, sia durante la vita che in punto di morte.
Questa morte pone una serie di interrogativi. Tanto più alla luce di ciò che Roberto scriveva negli ultimi tempi.
Roberto avrà avuto sufficiente assistenza personale per badare sufficientemente alla propria salute (intesa in senso compiuto, cioè possibilità concreta di avere assistenza personale sufficiente per assumere farmaci e altri rimedi in maniera corretta, per un’alimentazione e un’igiene adeguate, per poter riposare in posizione e in maniera adeguata, per far fronte in maniera sufficiente ai propri bisogni fisiologici, per poter avere relazioni sociali sufficienti a mantenere la salute mentale, e così via)?
E ancora: Roberto sarà riuscito ad evitare quell’abisso dove l’amarezza (di capire quello che tocca vivere e ciò che prospetta il futuro) e la solitudine sono talmente immense da scioccare, con la conseguenza di paralizzare ogni capacità di reagire? E avrà consapevolmente deciso di smettere di curarsi, alimentarsi ecc. lasciandosi morire?
Forse sono stato stronzo con lui nel non essere stato capace di essergli più vicino? O invece (più probabilmente?) sono stato incapace di sviluppare adeguatamente le capacità sovra umane necessarie ad affrontare la situazione?
Di sicuro, di fronte all’incapacità collettiva di tutelare veramente la vita, viene da chiedersi se l’affermazione secondo cui Dio ci avrebbe fatto a sua immagine e somiglianza sia soltanto una diceria per presuntuosi.
*Adriano Milani Comparetti (1920-1986), pediatra e neuropsichiatra, pioniere della riabilitazione neuropsichica infantile, fratello maggiore di don Lorenzo Milani.
**Teresa Serra fu presidente dell’AIAS (Associazione Italiana per l’Assistenza agli Spastici) tra gli Anni Ottanta e gli Anni Novanta.
***Gabriella Bertini (1940-2015), donna-simbolo della lotta per la dignità, la salute e l’autonomia delle persone con paraplegia. Fu tra l’altro, negli Anni Sessanta, la prima donna italiana in carrozzina a guidare un’automobile.