Durante la Seconda Guerra Mondiale, sei milioni di ebrei furono sistematicamente rinchiusi in campi di concentramento e sterminati. I nazisti uccisero anche Sinti e Rom, prigionieri politici, omosessuali, disabili, testimoni di Geova e prigionieri di guerra sovietici.
L’Olocausto è stato un crimine di dimensioni colossali. Nessuno può negarne l’evidenza: è accaduto realmente. Ricordare le vittime e rendere onore al coraggio dei sopravvissuti e di coloro che li hanno supportati e liberati ci permette di rinnovare ogni anno il nostro impegno a prevenire simili barbarie in futuro, e a respingere la mentalità carica di odio che le rende possibili.
Le Nazioni Unite sono sorte sulla scia dell’Olocausto e delle atrocità commesse nella seconda guerra mondiale, per riaffermare la fede nella dignità e nel valore di ogni singola persona e ribadire il diritto di ognuno all’uguaglianza e a una vita priva di discriminazioni.
Questi princìpi rimangono essenziali anche oggi. In tutto il mondo ci sono persone che continuano a essere soggette ad attacchi e discriminazioni, come i milioni che fuggono da guerre, persecuzioni, e povertà. Abbiamo il dovere di ricordare il passato, e di aiutare coloro che, oggi, hanno bisogno di noi.
Per più di dieci anni, l’Olocausto e il Programma Outreach delle Nazioni Unite hanno lavorato per educare le nuove generazioni riguardo all’Olocausto. Molti nella società – tra cui i sopravvissuti all’Olocausto – continuano a contribuire a questa importante attività.
La memoria dell’Olocausto ci rammenta con drammatica forza cosa possa accadere quando smettiamo di riconoscere l’umanità che ci accomuna. In questo giorno di commemorazione dell’Olocausto, invito l’umanità a respingere quelle ideologie politiche e religiose che mettono i popoli gli uni contro gli altri. Insieme, denunciamo l’antisemitismo e ogni attacco contro gruppi religiosi o etnici. Insieme, costruiamo un mondo dove la dignità sia rispettata, la diversità sia celebrata, e la pace sia permanente.
Fin qui il messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, diffuso in occasione del Giorno della Memoria del 27 gennaio, e per la cui traduzione ringraziamo l’Ufficio Comunicazione di ONU Italia.
Ma perché il Giorno della Memoria – designato come tale nel 2005 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e fissato per il 27 gennaio di ogni anno, a ricordare il sessantesimo anniversario dell’entrata nel campo di concentramento di Auschwitz da parte dei soldati russi – è tanto importante anche per le persone con disabilità?
Chi ci legge con regolarità sa bene quanto spazio la nostra testata abbia dedicato a questo tema – come testimonia anche il lungo elenco di contributi qui a fianco riportati – e in particolare negli ultimi anni, quando è emersa in piena luce una nuova, ulteriore sconvolgente verità riguardante il regime nazista. In una ricognizione dei fatti elaborata per il nostro giornale da Stefania Delendati, che costituisce certamente una delle più esaurienti trattazioni sull’argomento, ciò che accadde viene riassunto così: «Prima della “soluzione finale”, che portò alla morte milioni di persone, il regime nazista si “esercitò” sui disabili, ritenuti indegni di vivere, un peso economico per la società e un pericolo per la salvaguardia della popolazione “sana”. Un accanimento organizzato, iniziato nel 1939, chiuso ufficialmente due anni dopo, in realtà proseguito fino al termine del conflitto, segretamente e – se possibile – in modo ancora più crudele. Vennero uccise circa 300.000 persone affette da malattie ereditarie, tra loro moltissimi bambini. Un Olocausto parallelo tenuto seminascosto per quasi mezzo secolo, che soltanto negli ultimi anni è venuto alla luce, grazie soprattutto alle iniziative promosse in occasione del Giorno della Memoria».
Parole, queste, che da sole sarebbero certamente sufficienti a far capire l’importanza di una ricorrenza come quella del 27 gennaio.
Ma non basta. Infatti, con un salto in avanti nel tempo di sessant’anni, oltrepassando la stessa Assemblea delle Nazioni Unite che ha decretato il 27 gennaio quale Giorno della Memoria, vogliamo ancora una volta ricordare alcuni altri fatti, apparentemente marginali, nel flusso della “Grande Storia”.
Siamo infatti nel 2006, quando alcuni medici olandesi firmano il cosiddetto Protocollo di Groningen, ove scrivono che «tra i bambini e i neonati per i quali potrebbe essere presa la decisione di fine vita» ci sono anche quelli «sopravvissuti grazie alla terapia intensiva ma per i quali è chiaro che dopo il completamento delle cure intensive la qualità della vita sarà misera» e senza «alcuna speranza di miglioramento».
Alla fine di quello stesso anno, poi, i componenti del Collegio Reale di Ostetricia e Ginecologia della Gran Bretagna, chiedono in un documento ufficiale «la possibilità di uccidere i neonati con disabilità gravi».
Più recentemente, nel 2010, un docente di Teoria dell’Armonia al Conservatorio di Milano si sofferma in Facebook sui «problemi della didattica», parlando tra l’altro di «pseudoscienza senza bussole che fa comparire organismi che non lo dovrebbero» e di «Rupe Tarpea cui bisognerebbe tornare».
Infine, nel mese di agosto del 2014, il biologo inglese Richard Dawkins twitta che sarebbe «immorale mettere al mondo una persona con sindrome di Down»…
Ecco perché crediamo che il 27 gennaio non possa mai essere dimenticato dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie, come doveroso pensiero ai milioni di vittime che furono, ma anche come costante monito per il presente e il futuro, “testimonianza viva” contro ogni discriminazione in tutti i giorni dell’anno. (Stefano Borgato)
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