Siamo il Gruppo Jump LGBT – Oltre tutte le barriere, gruppo di persone LGBT con disabilità [LGBT sta per lesbiche, gay, bisessuali e transgender, N.d.R.], che si riunisce presso il Circolo Arcigay Cassero di Bologna.
Abbiamo letto con piacere che «Superando.it» ha voluto dare spazio ad un tema che ci sta molto a cuore, quello delle persone omosessuali con disabilità, ospitando alcuni interventi al riguardo [i principali sono elencati nella colonnina qui a fianco, N.d.R.]. Ci dispiace tuttavia notare che stimati attivisti per i diritti e per l’eguaglianza delle persone con disabilità abbiano preferito astenersi dal prendere una posizione chiara a favore di altri diritti umani fondamentali, quelli delle persone omosessuali. Proviamo a rimediare noi, affinché dalle pagine di «Superando.it» almeno una voce gridi senza timore «#svegliatitalia», come hanno fatto le migliaia di persone che sabato 23 gennaio hanno manifestato per i diritti delle coppie omosessuali, con e senza disabilità, e dei loro figli.
Ci sembra particolarmente importante, inoltre, promuovere una piena consapevolezza degli effetti del Disegno di Legge Cirinnà [Atto del Senato 2081, “Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili”, N.d.R.] sulle persone con disabilità. L’intervento di Carlo Giacobini e le dichiarazioni di Vincenzo Falabella, ospitati da questa testata, ci hanno infatti provocato alcuni dubbi che ci piacerebbe fossero chiariti.
Anzitutto, ricordiamo che il Disegno di Legge regola due situazioni differenti: le “unioni civili” tra persone dello stesso sesso e le “convivenze di fatto”, dedicate sia a coppie omo che eterosessuali.
Le unioni civili sono praticamente equiparate al matrimonio: ad esse si applicano, infatti, tutte «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi […]».
A nostro avviso – ma saremmo ben lieti di sentire l’opinione di Carlo Giacobini, di certo più competente in materia – ciò indicherebbe che tutti i benefìci previsti dalla legge (ad esempio dalla 104/92) per i coniugi di persone con disabilità si estendono automaticamente anche a chi è legato da un’unione civile. Se l’interpretazione è corretta, non comprendiamo che cosa motivi la richiesta di inserire esplicite disposizioni riguardo alle persone con disabilità.
Risulta diversa, invece, la situazione delle convivenze di fatto, ovvero quei rapporti non regolati né da un matrimonio né da una unione civile che, fino ad oggi, erano praticamente privi di ogni tutela.
Il Disegno di Legge riconosce ai conviventi di fatto – omo o eterosessuali che siano – alcuni diritti importanti, come quello di visita e assistenza in caso di ricovero; ma non attribuisce loro tutti i diritti assegnati alle persone sposate o legate da una unione civile.
Si configurano così due “livelli” di tutela: nel primo si trovano le persone che scelgono di contrarre matrimonio (se eterosessuali) o un’unione civile (se omosessuali), acquisendo così i diritti e i doveri finora riservati ai coniugi; nel secondo rientrano i conviventi, che il Disegno di Legge cerca di tutelare comunque, ma in maniera più “leggera”. I conviventi di fatto rimarrebbero quindi esclusi, come lo sono anche oggi, dai benefìci finora riservati ai coniugi delle persone con disabilità (ad esempio i permessi mensili come da Legge 104/92). Ma le persone che contraggono una unione civile avrebbero gli stessi diritti dei coniugi eterosessuali, anche in merito all’assistenza al partner disabile.
Forse le preoccupazioni espresse da Giacobini e Falabella erano riferite più che altro alle convivenze di fatto? O, come appare nei loro articoli, anche alle unioni civili? In questo caso, ci piacerebbe fossero chiariti i dubbi interpretativi che, crediamo, potrebbero essere sorti in molti lettori.
Ci uniamo invece senza difficoltà alle preoccupazioni sollevate riguardo al tema della cosiddetta stepchild adoption, in merito alla possibilità per le persone disabili di ottenere affidi e adozioni. Crediamo che la disabilità del genitore non rappresenti in sé e per sé un elemento contrario all’interesse del minore, e non debba perciò costituire in nessun caso un veto aprioristico alla possibilità di adozione. Per questo ci auguriamo che le discriminazioni in questo àmbito cessino per tutti gli aspiranti genitori con disabilità, omosessuali o eterosessuali che siano.
Come Gruppo Jump LGBT – Oltre tutte le barriere, ci auguriamo infine che i movimenti delle persone con disabilità e delle persone LGBT siano sempre a fianco in una battaglia comune: quella per costruire una società rispettosa delle differenze e dei diritti umani di ogni persona. Per andare davvero “oltre tutte le barriere”.
Gruppo Jump LGBT – Oltre tutte le barriere
Innanzitutto è un piacere – circondati da parole, toni e modi urlati, sgarbati e superficiali – poter leggere una nota garbata, motivata e circostanziata. È la dimostrazione che si può manifestare un’alta passione civile, mantenendo stile e raziocinio.
Per chi ci conosce credo sia superfluo sottolineare la ferma opposizione a qualsiasi tipo di discriminazione, non solo quella basata sulla disabilità. Quella sulla disabilità, infatti, si fonda sulle stesse identiche e odiose matrici di pregiudizio di qualsiasi altra forma di discriminazione.
Entro sull’aspetto tecnico che, come sempre, è aperto a controdeduzioni altrettanto tecniche: ritengo – nel merito dei permessi, congedi e altre forme di flessibilità – che quegli aspetti vadano esplicitati in norma, così come si è proceduto per altre forme civilistiche e vadano espressi sia per le “unioni civili” che per le “convivenze di fatto”.
Concordo che sulle prime forse vi è un aggancio sufficientemente esplicito a fissare un principio (sulle seconde non c’è), anche se, a ben vedere, le disposizioni attuali relative ai permessi e ai congedi non riguardano solo il coniuge, ma anche i figli, i parenti e gli affini. Quindi l’espressione adottata dal testo (finora disponibile) potrebbe escludere, ad esempio, la fruizione di quelle agevolazioni per il figlio di uno dei partner, se non si risolve la questione della cosiddetta stepchild adoption [in italiano tale espressione si traduce letteralmente con “adozione del figliastro”, N.d.R.].
Inoltre, proprio su questi aspetti contiamo su una storia più che decennale di contenziosi giunti fino in Corte Costituzionale per sanare distorte interpretazioni o illegittime disposizione. Un richiamo esplicito in norma – in una disposizione per altro di tale rilievo culturale – la renderebbe da subito applicabile e blindata.
Ma vi è un’altra ragione, più profonda e più “politica”. Siamo fortemente preoccupati per le discriminazioni plurime, di cui ci parla con lucidità la stessa Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e cioè ciò che deriva dalla grottesca sommatoria di più pregiudizi che gravano sulla persona con disabilità, quand’egli è anche straniero, o donna, o lesbica o gay.
Lo rimarchiamo ogni volta che si apre un dibattito su un singolo aspetto. Lo abbiamo fatto con insistita disperazione riferendoci ai migranti, affrontando il tema della violenza sulle donne, del bullismo e naturalmente di ogni forma di omofobia.
E poi dobbiamo ancora richiamare la Convenzione laddove impone espressamente agli Stati di adottare misure efficaci e adeguate ad eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali, su base di uguaglianza con gli altri. Questo, oggi, non è poi così garantito, per usare un eufemismo.
Rammentare questi temi riteniamo che rafforzi le posizioni a favore di una battaglia civile contro la discriminazione. Se l’argomento viene strumentalmente usato contro – e sappiamo bene che non sarete certo voi a farlo – si tratta di un’operazione squallida da cui prendiamo le distanze più estreme.
Carlo Giacobini – Direttore editoriale di «Superando.it».