Quel che non si dice mai delle case famiglia

di Casa al Plurale*
«Da tempo le case famiglie comunicano che il loro operato nella salvaguardia del minore va sostenuto e rinforzato, perché non riescono da sole a fare da cuscinetto tra un sistema disgregato e disgregante dal punto di vista istituzionale e familiare e le esigenze che ha un minore di crescere in un ambiente sano»: è solo uno dei punti componenti il decalogo tracciato da Casa al Plurale, l’associazione di coordinamento delle case famiglia per persone con disabilità e minori di Roma e del Lazio, nel raccontare «quel che non si dice mai sulle case famiglia»

Bimbo che disegna su un muro. Immagine che rappresenta le case famigliaCome coordinamento di case famiglia per persone con disabilità, minori e donne in difficoltà a Roma e nel Lazio, vogliamo far conoscere all’opinione pubblica i volti, le esperienze e i numeri che riguardano il lavoro di tutela dell’infanzia e anche rispondere alle insinuazioni circolate recentemente in un articolo del sito «L’Inkiesta» dedicato ai minori e alle comunità d’accoglienza. Lo facciamo con una sorta di decalogo, in cui elencheremo le dieci cose che non si dicono mai sulle case famiglia:

1 .Tutte le attività degli operatori del settore – servizi sociali, case famiglia, comunità, centri diurni ecc. – sono finalizzate a che il minore cresca nel migliore ambiente possibile, in prima istanza insieme ai genitori.

2. Sul problema della durata della permanenza in casa famiglia, ha influito il parziale fallimento dell’affidamento familiare che, se attuato in pieno, evita la presenza prolungata nelle strutture. La cultura e la prassi dei Tribunali per i Minorenni è quella di limitare la permanenza e riservarla a casi eccezionali, in cui non siano possibili altre soluzioni, come la permanenza in famiglia, il sostegno del nucleo, l’affidamento familiare, l’adozione. La durata dei percorsi in casa famiglia è inoltre dettata dai tempi della “cura”: non ci si deve meravigliare se la trasformazione della sofferenza dovuta a traumi precoci richiede tempo.

3. Nel caso in cui la madre non sia in grado di prestare al minore le cure e le attenzioni di cui necessita, le case famiglia, pur di evitare che il minore stesso venga allontanato dalla propria madre, ospitano la madre insieme al figlio.

4. Alle case famiglia per madri con bambini non viene dato alcun rimborso per tutto quanto è necessario ad accogliere la madre insieme al proprio figlio e a sostenerla: quasi a negarne l’esistenza o l’importanza che la madre stessa riveste nel percorso affettivo e nella cura del minore. Di conseguenza, tale attenzione e cura per la donna resta a totale carico delle case famiglia.

5. Spesso sono proprio le case famiglia, grazie al personale qualificato che in esse opera, a farsi promotrici di momenti formativi e di incontro per famiglie, perché possano aprirsi ad esperienze di affido e/o di adozioni.

6. Le case famiglie si ritrovano ad affrontare i problemi di un sistema sociale, sanitario e giudiziario (Tribunale dei Minori) in grande sofferenza, nonostante sia presente e previsto per legge il lavoro di sostegno al minore attraverso l’inserimento in un clima affettivo e professionalmente competente (assistenti sociali, educatori professionali, psicologi e operatori socio sanitari).

7. Le case famiglie stanno da tempo comunicando, a tutti i livelli, che il loro operato nella salvaguardia del minore va sostenuto e rinforzato, perché non riescono da sole a fare da cuscinetto tra un sistema disgregato e disgregante dal punto di vista istituzionale e familiare e le esigenze che ha un minore di crescere in un ambiente sano.

8. Le rette riconosciute agli enti gestori sono diversificate non per volontà di coloro che gestiscono le case famiglia, ma perché la normativa nazionale delega a quella comunale e ogni Comune lo fa con una sua propria disciplina. Nella maggior parte dei casi, le rette non arrivano assolutamente a coprire tutti i costi che vengono sostenuti, legati di volta in volta al pagamento del personale professionale impiegato, alle locazione degli immobili, alle utenze alle spese per gli alimentari, alle spese per la frequenza scolastica, alle attività sportive e ludiche dei minori accolti. A tal proposito si invita a leggere uno studio da noi elaborato, con il patrocinio dell’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma, che dettaglia i costi sostenuti dalle case famiglia ed evidenzia il divario tra la retta attualmente prevista dal Comune di Roma e quanto sia necessario per coprire i costi [se ne legga già anche in «Superando.it», N.d.R.].

9. Le case famiglia, per non far venire meno il sostegno ai minori affidati loro da un sistema sociale in costante carenza di fondi, sono quotidianamente impegnate nella ricerca di risorse essenziali per la loro sopravvivenza. Saremo ben lieti di mostrare i bilanci dei nostri associati, che sono organismi senza scopro di lucro, per far comprendere le difficoltà economiche che presentano.

10. La vicinanza, la dedizione, l’amore ogni giorno accompagnano il lavoro degli operatori e degli educatori e sono le fondamenta di percorsi professionali altamente qualificati: a questi operatori di fatto la comunità civile chiede di mettere in atto questi comportamenti, ma non è disposta a riconoscerli.

Coordinamento delle case famiglia per persone con disabilità e minori di Roma e del Lazio.

Come sopra detto, Casa al Plurale è l’Associazione senza scopo di lucro, che rappresenta le organizzazioni che operano a Roma e nel Lazio, a sostegno delle persone con disabilità e dei minori, coinvolgendo in totale 52 case famiglia. Ad essa aderiscono anche Associazioni aderenti alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), come l’AIPD di Roma (Associazione Italiana Persone Down) e l’ANFFAS di Roma (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).

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