Il caregiver familiare è quella persona che presta assistenza in modo gratuito, continuativo e quantitativamente significativo a un congiunto non autosufficiente a causa di una grave disabilità. Nonostante l’alto valore sociale dell’opera prestata, e l’ingente risparmio economico per la collettività, in Italia, a differenza che in altri Paesi europei, questa figura non è stata ancora riconosciuta giuridicamente.
Quando il caregiver familiare deve far fronte a esigenze assistenziali particolarmente intensive, la carenza o l’assenza di servizi pubblici adeguati, e la circostanza che la generalità delle famiglie abbia contenute possibilità economiche di far ricorso a servizi privati, finisce col trasformare il lavoro di cura in un’attività totalizzante, incompatibile con il lavoro professionale, con un sufficiente riposo, con la possibilità di curarsi in caso di malanno o malattia, con una vita di relazione che travalichi le mura domestiche. La violazione sistematica e prolungata nel tempo (spesso si va nell’ordine dei decenni) dei diritti umani dei caregiver familiari ha severe conseguenze sulla vita e la salute di queste persone (in larga maggioranza donne).
Recentemente è stata depositata alla Camera (Atti della Camera dei Deputati n. 3414) la Proposta di Legge denominata Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno dell’attività di cura e di assistenza. I princìpi generali e le finalità di tale Proposta di Legge sono esplicitati nel primo articolo di essa e consistono nel riconoscere e promuovere «la solidarietà e la cura familiare come beni sociali, valorizzando in tale prospettiva l’assistenza domiciliare in favore di un congiunto o di un soggetto con il quale si hanno legami affettivi, di seguito denominato “persona cara”, in condizioni di non autosufficienza a causa dell’età avanzata, di invalidità o di malattia, consentendogli di permanere presso la propria abitazione anziché essere ospitata in strutture sociosanitarie.». Tra le finalità rientra anche «il riconoscimento, la valorizzazione e l’integrazione della figura del caregiver familiare quale risorsa volontaria e informale nella rete dei servizi sociali, socio-sanitari e sanitari e delle reti territoriali di assistenza alla persona».
L’analisi del testo evidenzia una serie di approssimazioni, ambiguità e inesattezze, di “mezze promesse” di interventi e servizi mai esigibili, per realizzare i quali lo Stato è disponibile a spendere la strabiliante somma di zero euro.
«Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato», scandisce infatti l’articolo 8, l’ultimo, denominato Clausola di invarianza finanziaria.
Non entro nei dettagli, lo ha già fatto, in modo più che adeguato, Carlo Giacobini con un testo tecnico (Caregiver familiari: Proposta di Legge), all’interno del Servizio HandyLex.org e con uno “politico” su queste stesse pagine (Una pacca sulle spalle ai caregiver familiari). Qui, se mi riesce, vorrei essere propositiva, e soffermarmi su alcuni aspetti che devono essere necessariamente considerati, se davvero si vuole riconoscere giuridicamente, e rispettare umanamente, la figura del caregiver familiare.
Per disciplinare il lavoro di cura informale (quello prestato in modo gratuito da soggetti non professionisti), è indispensabile partire dal presupposto che abbiamo a che fare con due soggettività distinte – quella del caregiver familiare e quella della persona con disabilità -, e che entrambe debbono essere riconosciute e tutelate.
Per essere ancor più chiari: «Riconoscere la soggettività del caregiver familiare non significa trasformare il lavoro di cura in uno strumento funzionale a questa figura. Il lavoro di cura è un’attività che è, e deve rimanere, funzionale alla persona a cui la cura viene prestata, serve a superare i limiti di autonomia di quest’ultima, e a garantire l’espressione della sua libertà individuale e del suo diritto all’autodeterminazione. Nel caso in cui la persona non autosufficiente sia maggiorenne, e sia capace di compiere ed esprimere scelte in autonomia, la stessa scelta se richiedere il supporto di un caregiver familiare, o se optare per altri tipi di assistenza, rientra nelle prerogative della persona non autosufficiente. Nel caso in cui questa sia minorenne, oppure, pur essendo maggiorenne, non sia in grado di compiere autonomamente le scelte inerenti al tipo di assistenza di cui necessita, essa andrà supportata nella scelta da chi ne ha la responsabilità legale, che dovrà comunque cercare di capire quali siano i desideri della persona non autosufficiente in questione, e adoperarsi, per quanto possibile, per assecondarli. Il riconoscimento della soggettività del caregiver familiare passa necessariamente per il riconoscimento della soggettività della persona di cui si cura: senza quest’ultimo riconoscimento, il lavoro di cura cessa di essere uno strumento di solidarietà e di libertà, per diventare uno strumento di dominio e di oppressione. Non possono esserci ombre su questa linea di demarcazione» (Simona Lancioni e Piera Nobili, Abbi cura di te, per l’empowermente del caregiver familiare, in Gruppo Donne UILDM – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, 23 luglio 2015).
La soggettività della persona disabile è riconosciuta nella Proposta di Legge di cui ci stiamo occupando? Direi proprio di no. L’articolo 4, infatti, stabilisce che – in parziale deroga a quanto previsto dal Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto Legislativo 196/03) – il caregiver familiare abbia accesso a informazioni sensibili riguardo alla persona di cui si cura, e che «deve essere coinvolto in modo attivo nel percorso di valutazione, definizione e realizzazione del piano assistenziale individualizzato (PAI)». Non è quindi richiesto che la persona disabile sia d’accordo circa la divulgazione dei propri dati personali e, d’altronde, essa non è nemmeno menzionata in relazione alla definizione del PAI.
In tutto il testo la persona con disabilità è chiamata «persona cara», evidenziando così che l’assistenza le viene fornita non in quanto soggetto di diritto, ma per motivi affettivi, perché qualcuno/a le vuole bene. Che l’affetto sia ricambiato o meno, e che la persona disabile possa preferire, ad esempio, il supporto di assistenti personali retribuiti (invece che la beneficenza del familiare), non sembra avere alcuna rilevanza.
Visto che la persona disabile non è trattata come soggetto di diritto, ma come destinataria passiva di cure, dovremmo aspettarci che almeno la soggettività del caregiver familiare sia, in qualche modo, riconosciuta. Non l’hanno fatta proprio per questo la Proposta di Legge? E invece no. Da nessuna parte, infatti, è garantita al caregiver familiare la possibilità di scegliere quanto impegnarsi nel lavoro di cura, se svolgere il suo ruolo a tempo pieno o a tempo parziale, conciliandolo eventualmente con un’attività professionale. Una scelta che, invece, dovrebbe essere libera, consapevole e rivedibile in ogni momento, come previsto dall’articolo 2 della Carta Europea del familiare che si prende cura di un familiare non autosufficiente, elaborata nel 2007 dalla Sezione Handicap della Confederazione delle organizzazioni delle famiglie dell’Unione Europea (COFACE).
Il caregiver familiare italiano non può compiere questo tipo di scelte perché spesso l’unica alternativa al suo lavoro di assistenza che lo Stato offre è l’istituzionalizzazione della persona con disabilità di cui si cura; ossia un’alternativa che, per i suoi evidenti risvolti segreganti e discriminatori, non può essere considerata tale.
Ne consegue che questa Proposta di Legge è del tutto ininfluente sotto il profilo dell’eliminazione delle violazioni dei diritti umani subite dai caregiver familiari. Se questi, infatti, oggi non possono disporre della propria vita, continuerebbero a non poterlo fare nemmeno se il testo in questione venisse trasformato in Legge, giacché continuerebbero a essere “volontariamente obbligati” a colmare le lacune dei servizi pubblici.
Non potendo concedere ai caregiver familiari di disporre della propria vita (lo Stato non è disponibile a trovare i soldi per erogare i servizi che ad esso competono), la Proposta di Legge li autorizza (a che titolo?) a gestire quella delle persone con disabilità di cui si curano. Come se attribuire ai caregiver familiari un potere illegittimo potesse attenuare, o risarcire in qualche modo, i danni a cui costoro sono soggetti a causa delle inadempienze statali.
Sotto il profilo etico tutto questo è assolutamente inammissibile, sotto quello culturale segna un ritorno ai millenni passati.
Il lavoro di cura non serve a “gestire” la vita delle persone che hanno bisogno di assistenza, il lavoro di cura serve a supportare le persone che hanno bisogno di assistenza nella realizzazione del progetto di vita che loro stesse, compatibilmente con le loro capacità, hanno definito.
Il lavoro di cura è un lavoro con qualcuno, non in sostituzione di qualcuno (salvo i casi in cui la capacità di autodeterminazione sia completamente assente). Il caregiver familiare e la persona che assiste sono due soggetti distinti, entrambi titolari di diritti umani (la libertà di disporre di sé è tra questi). La scelta di fornire un supporto al progetto di vita della persona con disabilità non autosufficiente non può comportare la riduzione della vita del caregiver familiare a funzione assistenziale. Di questo, lo Stato, è chiamato a rispondere.
Ma se non aiuta i caregiver familiari, ed è persino dannosa per le persone con disabilità, allora, viene da chiedersi, a chi e a cosa serve questa Proposta di Legge?
Negli ultimi tempi diversi caregiver familiari italiani stanno promuovendo iniziative volte a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, del Presidente della Repubblica, del Parlamento Europeo e delle Nazioni Unite sulle condizioni di vita, spesso drammatiche, dei caregiver familiari.
Il 17 settembre dello scorso anno la Commissione Petizioni del Parlamento Europeo ha raccolto la denuncia delle violazioni dei diritti umani dei caregiver familiari italiani e ha sollecitato il nostro Governo a intervenire in merito. Il 24 settembre 2015 i caregiver familiari sono stati ricevuti al Colle. Il ricorso all’ONU è in fase di elaborazione. Continuare a ignorare la questione rischia di diventare molto imbarazzante per il nostro Stato. E allora che si fa? Fare una Proposta di Legge seria costerebbe abbastanza, meglio dunque elaborarne una in cui, senza spendere nemmeno un euro, si fa finta di riconoscerli. Tanto questi mica se ne accorgono che è solo una finta, ed ameno per un po’ stanno buoni…
Quelle che ho indicato, dunque, ritengo siano le basi giuste da cui partire per formulare una proposta decente. Non è mai troppo tardi per correggere il tiro… se c’è la volontà politica di farlo.
Per approfondire:
° La Cura Invisibile, blog che promuove il riconoscimento giuridico e la tutela del caregiver familiare.
° Caregiver familiare, sito gestito dalla Società Cooperativa Anziani e non solo, Carpi (Modena).
° Carlo Giacobini, Una pacca sulle spalle ai caregiver familiari, in «Superando.it», 25 gennaio 2016.
° Carlo Giacobini, Caregiver familiari: Proposta di Legge, in «HandyLex.org», 21 gennaio 2016.
° I caregiver familiari salgono al Colle, in La Cura Invisibile, 25 settembre 2015.
° L’Europa accende i riflettori sui Caregiver Familiari italiani, in La Cura Invisibile, 21 settembre 2015).
° Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno dell’attività di cura e di assistenza, Proposta di Legge, Atti della Camera dei Deputati n. 3414, presentata il 10 novembre 2015.
° Simona Lancioni e Piera Nobili, Abbi cura di te, per l’empowerment del caregiver familiare, in Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), 23 luglio 2015.
° Caregiver familiari, ricorso all’Onu per il riconoscimento dei diritti, in «Redattore Sociale», 2 luglio 2015.
° Riconoscere i caregiver familiari italiani: per l’Europa questione “urgente”, in «SuperAbile», 27 giugno 2015.
° COFACE-Handicap, Carta Europea del familiare che si prende cura di un familiare non autosufficiente, COFACE-Handicap, Bruxelles, 2007.
° Lavoro di cura, pagina a cura del Gruppo Donne UILDM.