A ben leggere i commenti di questi giorni all’indomani dell’approvazione in prima lettura alla Camera della nuova Legge sul “Dopo di Noi”, sembra che alla fine non ci sia nessun vincitore e che il testo non soddisfi quasi nessuno. Credo anzi che neanche chi si è premurato di scriverlo ne sia più di tanto convinto. Tutto rimandato al “secondo round” al Senato, dove ci si aspetta che si raddrizzi il tiro.
Ciò che però che mi infastidisce è che tutte le analisi critiche mosse dalle maggiori associazioni nazionali delle persone con disabilità fossero già state a suo tempo mosse in sede “istituzionale”, ma siano restate “lettera morta”, senza che la Commissione Affari Sociali della Camera le abbia prese minimamente in considerazione.
Infatti, nell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità – organismo rappresentativo istituzionale, dove lavorano fianco a fianco associazioni, parti sociali (Sindacati, Confindustria ecc.), rappresentanti dell’UPI (Unione Province Italiane), dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), della Conferenza Stato-Regioni, dell’INPS e dell’ISTAT, oltre ai dirigenti dei principali Dicasteri coinvolti sul tema della disabilità (Istruzione,Università e Ricerca, Pari Opportunità, Funzione Pubblica e Presidenza del Consiglio) – ormai da anni ci ritroviamo (anche due volte al mese e senza alcun tipo di compenso) a discutere, proporre, analizzare temi e argomenti utili al Legislatore, nel momento in cui poi si debbano adottare provvedimenti come quello sul “Dopo di Noi”.
In fase di discussione del provvedimento, va ricordato, alcuni Parlamentari hanno fatto riferimento al Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e dell’Integrazione delle Persone con Disabilità, il quale altro non è che il frutto del lavoro condiviso dell’Osservatorio, all’interno del quale vi erano tutti gli elementi necessari per scrivere una Legge adeguata alle esigenze [il citato “Programma di Azione” è stato approvato tramite il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) del 4 ottobre 2013, N.d.R.].
Per evitare dunque questi insopportabili riti della politica, basterebbe che le Commissioni Parlamentari Permanenti – che hanno proprio il compito di preparare i testi di legge – si confrontassero preventivamente almeno con gli organismi istituzionalmente preposti a fornir loro contributi e supporti, come appunto nel caso del citato Osservatorio.
Se infatti la Commissione Parlamentare avesse recepito i vari suggerimenti che come Osservatorio avevamo mandato loro, si sarebbe risparmiata almeno la cattiva figura di dover rimediare alla riscrittura del titolo [in quest’ultimo le parole “persone affette da disabilità” hanno suscitato dure critiche ad esempio da parte della FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.], ciò che avevamo già segnalato nel mese di settembre dello scorso anno, così come avevamo suggerito di migliorare alcuni punti poco chiari.
Soprattutto avevamo sollevato tutte le perplessità emerse, sempre in sede dell’Osservatorio, sulla necessità di trattare la questione del trust separatamente [il trust è un istituto di origine anglosassone che consente di spossessarsi, con agevolazioni fiscali, di patrimoni propri, in funzione di un vantaggio o beneficio futuro, N.d.R.], oppure di affrontarla nel suo complesso rispetto ad altri strumenti analoghi già presenti da anni nel nostro ordinamento primario, in particolare la sostituzione fedecommissaria e i vincoli di destinazione d’uso, già defiscalizzati e chiaramente disciplinati dal Codice Civile.
Proprio sulla questione dei trust, però, vorrei soffermarmi un po’ di più, perché ritengo che siamo di fronte a una forzatura bella e buona.
Se lo strumento è ritenuto così valido, non vedo perché allora non lo si voglia disciplinare come tutte le altre norme di diritto, attraverso l’inserimento nel Codice Civile: sarebbe il posto giusto, senza ricorrere a un “codicillo” inserito in legge, perché poi, se ci dovessero essere abusi o contestazioni, ricorrere ai giudici, in assenza di norme di diritto chiare o armonizzate tra loro, diventerebbe una “corsa a ostacoli” con risultati incerti.
Attualmente il riconoscimento giuridico interno del trust scaturisce dalla ratifica, da parte dell’Italia, della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, nulla di più. Tale Convenzione afferma che il trust è regolato «dalla legge scelta dal disponente» e qualora una legge non conosca il trust, si applica la norma con la quale ha collegamenti più stretti, da intendersi come il luogo di amministrazione del trust o l’ubicazione dei beni, o la residenza (o domicilio) del trustee [il gestore del patrimonio ricevuto, N.d.R.] o – in relazione allo scopo – il luogo ove esso deve essere realizzato. Quindi, di fatto, poco più che un contratto definito dalle parti.
Vorrei qui ricordare solo che sul tema del trust il Parlamento ha tentato più volte di legiferare (si ricorda ancora l’acceso dibattito sul blind trust, naufragato poi miseramente perché ritenuto risolutivo «solo per questioni ad personam»), senza per questo approdare a una proposta che quanto meno lo riconoscesse ufficialmente nel nostro Codice Civile. Anche in quel caso il Parlamento volle comunque salvaguardare scopi meritevoli di tutela, inserendo nel 2006, in alternativa al blind trust, il vincolo di destinazione d’uso, defiscalizzandolo, ma limitandolo ai soli beni registrati, così come previsto dal’articolo 2645-ter del Codice Civile.
A questo punto qualche malizioso potrebbe pensare che si voglia utilizzare questa Legge sul “Dopo di Noi” per piazzare intanto un “cavallo di troia” e poi estendere successivamente questo strumento ad altre possibilità di intervento. Ma allora perché non affrontare una volta per tutte il tema? Famosa in tal senso la frase del Cardinal Mazzarino, resa celebre in politica da un grande statista, che diceva come «a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca!».
È poi anche opportuno ricordare che la Legge Comunitaria 2010 ha delegato il Governo a introdurre e disciplinare l’istituto del trust nel nostro ordinamento giuridico. A tal proposito giace in Parlamento il Disegno di Legge n. 2284, presentato dall’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, testo di cui non è mai iniziato l’esame, che delegava appunto il Governo ad apportare modifiche in materia nel Codice Civile in materia.
Ad esso sono seguiti nel 2014, sempre sul tema del trust, la Proposta di Legge Carfagna n. 2301 e il Disegno di Legge Patriarca n. 2671, quest’ultimo sulla Disciplina dei trust istituiti in favore di persone in situazioni di svantaggio, entrambi ancora fermi.
Su un altro versante, infine, è quasi superfluo tornare al 2004, quando la Legge 6/04 ha introdotto nel nostro ordinamento il nuovo strumento giuridico dell’amministrazione di sostegno. Quella norma, però, non ha tenuto conto di tutti gli altri aspetti, ovvero delle competenze e dell’armonizzazione con le leggi già presenti in tema di diritto di famiglia, successione, legati, fedecommesso ecc., motivo per il quale, a distanza di dodici anni, è attualmente in discussione la revisione di molte norme del Codice Civile, che dovranno essere modificate e in alcuni casi anche eliminate quanto prima.
Proprio questa, dunque, potrebbe essere l’occasione giusta, in occasione del “tagliando” normativo su temi comuni, per il riconoscimento nell’ordinamento primario di norme così importanti che riguardano la tutela e gli interessi non solo delle persone con disabilità, ma anche di quelle persone che per ogni altra ragione sono prive in tutto o in parte di autonomia.
Staremo a vedere.