10 febbraio 2016. Seconda serata del Festival di Sanremo. Tra le numerose guest star, c’è Ezio Bosso, pianista, compositore e direttore d’orchestra di fama internazionale, che nel 2011 ha dovuto sottoporsi a un intervento al cervello per l’asportazione di una neoplasia e in seguito è stato colpito dalla sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Eccolo arrivare sul palco in carrozzina accompagnato da un austero Carlo Conti, in quella che potrebbe sembrare un’involontaria rivisitazione della scena del noto film francese Quasi amici, che stimola il sorriso.
Bosso inizia a parlare. E parla di musica. E dai suoi occhi che brillano trapela la passione di questo uomo per il suo mestiere, per questa sua compagna di vita che egli stesso definisce «la nostra vera terapia, come diceva il grande maestro Abbado». Continua, emozionato all’idea di essere proprio sul palco dell’Ariston, dicendo che forse avrebbe parlato «peggio del solito»: questo è l’unico accenno alla sua disabilità, che comporta un’evidente difficoltà nel linguaggio e nel movimento degli arti.
Poi delizia tutti con una memorabile esecuzione di Following a bird, tratta dall’album The 12th room, che tra l’altro commenta così: «Noi uomini tendiamo a dare per scontate le cose belle. La vita è fatta di dodici stanze: nell’ultima, che non è l’ultima, perché è quella in cui si cambia, ricordiamo la prima. Quando nasciamo non la possiamo ricordare, perché non possiamo ancora ricordare, ma lì la ricordiamo, e siamo pronti a ricominciare e quindi siamo liberi». Infine, il Maestro conclude con un altro saggio aforisma: «La musica è come la vita, si può fare in un solo modo, insieme».
Le reazioni sul web sono state immediate e molteplici, e in maggioranza positive: gli sono stati fatti i complimenti perché ha emozionato, perché è un grande uomo, perché ha dimostrato di saper andare oltre la disabilità, perché ha stupito alcune persone che avrebbero scommesso qualsiasi cosa che non avrebbe saputo suonare neanche il campanello di casa.
Tuttavia, c’è stata una “pecora nera”, ossia il blog satirico Spinoza.it, che ha tweetato il post con le parole: «È davvero commovente vedere come anche una persona con una grave disabilità possa avere una pettinatura da coglione», a cui Bosso ha abilmente risposto così: «perché cerco di pettinarmi da solo».
Com’era prevedibile, ci sono stati migliaia di commenti contro quella che veniva definita un’offesa o una battuta venuta male, a cui il blog ha risposto esplicando l’intenzione di non aver voluto essere ipocrita e di aver considerato Bosso «come una persona normale e non come un disabile».
Come valutare dunque il cameo di Ezio Bosso al Festival di Sanremo? E come interpretare lo scambio avvenuto con Spinoza.it?
Premettendo che ognuno è libero di pensarla come vuole, mi piacerebbe esprimere la mia opinione che in parte verte sul concetto già espresso in precedenza.
Nei giorni scorsi ha proliferato in internet una marea di articoli da parte delle più svariate testate, ma accomunati dallo stesso tema: il rapporto tra Bosso e quella disabilità che ha mostrato di saper brillantemente “trascurare” con l’amore per la musica. Tema che, in realtà, il Maestro aveva già dato per scontato, dal momento che – ripeto – non ha voluto soffermarsi sulla sua malattia. Quindi che senso ha ribadirlo? Come se la sua bravura fosse scaturita quasi esclusivamente, o per lo meno in gran parte, dal fatto che abbia saputo andare oltre la SLA. Niente affatto. Ezio Bosso è bravo perché ama il suo mestiere, perché non ci ha messo solo impegno, ma soprattutto anima e cuore. La disabilità era intenzionata ad essere un contorno, un dettaglio, qualcosa che sicuramente ha avuto un’influenza positiva in articoli come quello pubblicato dalla testata «La Stampa Salute», che si prodigano a informare maggiormente sulla SLA. E ben vengano, altroché. Ma, per favore, teniamo “disabilità” ed “Ezio Bosso” distaccati.
Il blog Spinoza.it è stato aggredito anche violentemente, ma onestamente io, ragazza con disabilità motoria, non riscontro alcuna offesa, solo genio. Genio perché è stato colto l’atteggiamento di eccessivo buonismo/pseudo pietismo che rischiava di trapelare da un episodio del genere, giocando sulla parola “commovente”, riferita alla persona “con una grave disabilità”, parole che sono state attaccate, ma che semplicemente rappresentano la condizione di Bosso e quella che è la SLA.
«È commovente come una persona con disabilità possa suonare così divinamente» è questo il pensiero, inespresso, di molte persone: ebbene, Spinoza.it ha provocatoriamente correlato il sentimento di commozione alla brutta pettinatura di Bosso. Cosa c’entra? Nulla, ma è proprio questo il fulcro della satira. Dire un’assurdità per dimostrare la presunta insensatezza di dichiarazioni ad essa implicitamente correlate. Mi sembra che il Maestro abbia intuito ciò, rispondendo a tono, quasi a sfidare gli altri ad esclamare: «Poverino, aveva difficoltà a pettinarsi a causa della sua disabilità».
Sia chiaro, non sto invitando ad avere un atteggiamento di indifferenza nei confronti di Ezio Bosso. A me lui ha emozionato, tanto che mi sono ritrovata a un certo punto con la bocca aperta come una sciocca. Ho visto un uomo innamorato della musica, di cui parlava in modo estatico e inebriante, declamando a gran voce l’importanza che essa può avere nella vita di ognuno di noi. Sono rimasta incantata dalla forza che trapelava dalle sue affermazioni, ma, si badi, non era una forza legata al superamento del suo handicap, bensì una forza legata solo ed esclusivamente all’amore viscerale per la musica.
Raramente mi è capitato di imbattermi in persone che svolgono il proprio mestiere con sincera passione, parlandone in modo talmente intenso da coinvolgermi e da farmi attrarre completamente dall’oggetto delle loro parole. Con Ezio Bosso mi sono innamorata ancora di più della musica, perché, grazie a lui, ne ho confermato il grande potere che possiede. E mi sono innamorata del suono melodico dei tasti del pianoforte che venivano accarezzati dalle sue dita, in una delicata sinfonia che mi ha fatto sognare, dandomi l’impressione di potere veramente seguire quell’uccellino.
Non c’entra nulla la disabilità. Non ho mai visto, per tutti i quindici minuti del suo cameo, Ezio Bosso come un “supereroe che ha sfidato la SLA”, o un esempio, o qualcuno da ammirare, se non per il semplice fatto che ha una passione e la sta seguendo. E davvero vorrei che le lacrime della violinista o gli applausi che partivano dopo quasi ogni parola che diceva, non fossero correlati al suo handicap.
Penso insomma che occorra fare attenzione quando si descrive Ezio Bosso. Definitelo “pianista”, “compositore”, “direttore d’orchestra”. La precisazione “affetto da SLA” lasciatela per dopo!
Grazie, Maestro.
La presente riflessione è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Il caso Bosso: e non siamo mai contenti!” e viene qui ripresa, con alcuni minimi riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
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