Dopo analoghe dichiarazioni di qualche tempo fa, pubblicate dal settimanale «Vita», sulle quali avevo già avuto occasione di scrivere su queste stesse pagine, torno ora a leggere sul «mattino di Padova» del 21 febbraio le affermazioni dell’amico Davide Cervellin, imprenditore specializzato in informatica per persone con disabilità, che afferma seccamente «il fallimento dell’inclusione scolastica dei non vedenti». A seguito di tale affermazione (non documentata statisticamente), egli dichiara dunque che sarà presto attiva una scuola speciale per non vedenti, dove gli alunni frequenteranno almeno per il primo triennio della scuola primaria, acquisendo la padronanza della lettura e scrittura Braille, in modo da poter quindi proseguire gli studi nelle classi comuni delle scuole ordinarie.
Nessuno nega che vi siano casi di integrazione non ben riuscita, specie a causa della scarsa preparazione di docenti per il sostegno o per la mancata continuità degli stessi. E tuttavia, dedurre da alcuni casi l’affermazione che tutta l’integrazione scolastica dei non vedenti sia fallita, per giustificare con ciò l’avvio di una propria scuola speciale, mi sembra sia incoerente con la cultura inclusiva che lo stesso Cervellìn ha contribuito a diffondere alcuni anni fa.
Se si crede nella cultura dell’inclusione – e l’articolo del “mattino di Padova” dà giustamente notizia di esperti che la condividono, contestando la tesi di Cervellin – bisogna adoperarsi perché vengano superate le difficoltà constatate e non tornando a concezioni e prassi ormai superate da decenni.
Chi scrive è una persona minorata della vista che ha studiato nelle scuole comuni del profondo Sud, a Gela (Caltanissetta) negli Anni Cinquanta, senza docenti per il sostegno e norme relative all’inclusione scolastica. Eppure ho realizzato un’ottima inclusione, che ha dato i suoi frutti e non solo a livello del mio apprendimento scolastico. Mi sono laureato in giurisprudenza, ho insegnato nelle scuole e all’università, ho esercitato la professione di avvocato e ho pubblicato numerosi articoli, saggi e monografie sulla normativa per l’inclusione scolastica. Ma proprio nelle scuole comuni ho appreso a vivere con gli altri e ho fatto amicizie ancora salde, evitando così il rischio della ghettizzazione, sempre potenzialmente presente nelle scuole speciali.
Invece di avanzare proposte efficientistiche di ritorno a un passato ormai superato dalla pedagogia, occorre battersi per «rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione» anche dei non vedenti alla vita scolastica, come si ricava dalla lettura dell’articolo 3, comma 2 della Costituzione.
Cervellin ne ha le capacità intellettuali e tecnologiche, che ha mostrato negli anni passati, ma questa sua resa di fronte ad alcune difficoltà mi sembra una rinuncia a un suo passato di impegno civile. Si adoperi come facciamo tutti, ognuno con i propri mezzi, a rendere efficace l’inclusione nelle scuole comuni e continueremo ad ammirarlo per la sua intraprendenza.
Come molti altri, ho scelto di impegnarmi, anche tramite la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), a migliorare la normativa inclusiva e la sua concreta realizzazione. Per questo, ad esempio, ho collaborato alla formulazione dell’articolo 1, comma 181, lettera c della Legge 107/15, la Legge di riforma sulla cosiddetta “Buona Scuola”, che contiene numerosi princìpi cui dovrà ispirarsi l’emanando Decreto Delegato sul miglioramento della qualità inclusiva della scuola. Faccia così anche Cervellin, nel suo campo delle tecnologie informatiche, e almeno io non dissentirò più dalle sue “nuove” (si fa per dire) scelte.