L’indennità di accompagnamento per le persone con disabilità non può essere conteggiata come reddito: abbiamo seguito la scorsa settimana la questione su tutti i media nazionali, ma restiamo davvero perplessi… Era necessario scomodare il Consiglio di Stato per farcelo confermare? [il riferimento è alle recenti Sentenze sull’ISEE, l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, prodotte dal Consiglio di Stato, N.d.R.].
In effetti bisogna tenere a mente che in Italia le cose funzionano così: i cittadini – per lo più quelli più sfortunati, con gravi e urgenti necessità – lottano per decenni e conquistano, con enormi sforzi e sacrifici, diritti fondamentali, che vengono definiti con leggi, per quanto complicate, spesso esaustive ed efficienti. A questo punto, si entra solitamente in un vortice, in cui, pur essendo in vigore leggi funzionali a soddisfare le esigenze dei cittadini, queste vengono quotidianamente mal interpretate o addirittura non applicate, fino ad arrivare all’inconcepibile: qualcuno rimette in discussione il bene già conquistato.
Forse uno degli aspetti più importanti da affrontare è proprio la consapevolezza dei diritti che ci riguardano e il loro riconoscimento nella vita di tutti i giorni. Una ricerca sostiene che solo il 7% della popolazione conosce la situazione burocratica e legale che riguarda direttamente la propria sfera personale e che definisce i propri rapporti con la società. Dato davvero significativo, soprattutto in questo caso, se pensiamo che molti hanno esultato alla notizia della scorsa settimana, come si trattasse di una conquista, di una grande agevolazione concessa da una società lungimirante.
Quello che il Governo ha cercato di fare è tornare indietro di molti fondamentali passi già fatti, regredire, considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio.
Il Consiglio di Stato ha semplicemente risposto, nel 2016, con le parole della nostra Costituzione (1° gennaio 1948) e della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, sottoscritta dal nostro Paese nel marzo del 2007 e ratificata con la Legge 18 del 2009.
Questa operazione – a nostro parere evitabile – ci è già costata tempo e denaro pubblico e ancora ce ne costerà molto, considerando che saranno necessari: la correzione dell’articolo 4 del Decreto del Presidente del Consiglio in oggetto [DPCM 159/13, N.d.R.], quindi una modifica normativa che seguirà il medesimo iter percorso per la sua approvazione originaria – se non più complesso -, sostanziali cambiamenti ai software di riferimento dell’INPS e di tutti i Centri di Assistenza Fiscale (CAF) che si occupano di redigere l’ISEE, nonché adeguamenti dei criteri di valutazione dei Comuni (in questo caso, per assurdo, saranno avvantaggiati dal loro immobilismo proprio i Comuni che, in spregio alla normativa vigente, non avevano ancora rivisto le soglie ISEE).
Il risultato? Ancora una volta soldi e tempo sprecati, cittadini disorientati e persone con disabilità molto preoccupate per il loro futuro.