L’entrata in vigore della nuova Legge comunemente intesa come la Buona Scuola [Legge 107/15, N.d.R.] segna un passaggio fondamentale per l’intero sistema di istruzione e di formazione, che influenzerà anche i percorsi educativi dei nostri bambini e ragazzi ciechi e ipovedenti.
La Proposta di Legge presentata congiuntamente da FAND e FISH [Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità e Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.], che stiamo tentando di far recepire il più possibile nell’alveo operativo della Legge sulla Buona Scuola, indica una direzione di marcia chiara e condivisa, relativamente all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità: garantire la frequenza delle scuole comuni per tutti; accrescere risorse e competenze generali e specifiche da porre al servizio dei processi di inclusione.
Non sarà un cammino agevole e veloce, ma non esistono alternative.
Non si possono percorrere facili scorciatoie, nell’illusione di poter bastare a se stessi, ignorando la realtà circostante e il mondo di tutti.
C’è invece chi viene a tentarci con idee e proposte alquanto stravaganti, definibili come una sorta di “ritorno al passato tecnologico”, ovvero due anni di “scuola speciale”, prima di tuffare i bambini ciechi di 6 e 7 anni nel mondo più vasto della scuola di tutti. Due anni di indottrinamento speciale, per imparare le tecniche e le pratiche necessarie a saper sopravvivere, poi, nella scuola comune. Insomma, una specie di “trattamento sanitario obbligatorio” al quale sottoporre i nostri bambini e le nostre bambine per due anni, prima di concedere loro il “permesso di soggiorno” in quella scuola dove tutti gli altri entrano invece fin dal primo giorno, per diritto sancito dalle leggi e dalla Costituzione della Repubblica.
Non sarà necessario confutare simili stravaganze sotto il profilo pedagogico! Sarà sufficiente un sano esercizio del buon senso a cogliere l’assurdità e l’inattuabilità di una simile idea.
Un corso biennale forzato e accelerato di autonomie, tecnologie, vita indipendente, somministrato a bambine e bambini di 6 anni? Come “soldatini” da mandare alla guerra dopo averli ben addestrati alle tecniche di assalto e di sopravvivenza?
Suvvia, cerchiamo invece di affrontare le complesse problematiche dell’inclusione scolastica, senza voltarci indietro a cercare patetiche scorciatoie, magari facendo leva sul legittimo disagio che vivono tante famiglie di ragazzi con disabilità, per via di un’Istituzione scolastica troppe volte burocratica e lenta, per non dire incapace di assicurare a tutti il reale diritto all’istruzione, indipendentemente dalle condizioni materiali, sociali, ambientali e personali.
Cento anni di storia associativa dell’Unione [Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, N.d.R.] ci hanno insegnato la via maestra del Diritto, da conseguire e garantire in condizioni di uguaglianza e di libertà, persone tra persone, cittadini tra cittadini.
In un disegno sinergico con i nostri Istituti operanti sul territorio nazionale, tenendo insieme risorse e competenze delle quali già disponiamo, saremo in grado di supportare le pubbliche Istituzioni in quel processo di inclusione che sappia offrire a ciascuno il proprio posto nella scuola di tutti, fin dal primo giorno del primissimo ciclo di istruzione, senza essere costretti a conseguire già a sei anni patenti e abilitazioni di sorta.
Uniremo e rafforzeremo le risorse e le competenze delle quali già disponiamo, rendendole sempre più funzionali ai processi di inclusione scolastica che andranno sviluppati e garantiti da parte delle Istituzioni pubbliche preposte. Faremo il nostro dovere e la nostra parte per assicurare a tutti un diritto allo studio vero, reale, concreto e operante; ma non cammineremo mai con la testa rivolta all’indietro.
Diffidiamo, quindi, delle puerili suggestioni e delle chimeriche illusioni. E soprattutto diffidiamo della faciloneria e dell’improvvisazione di nuovi “apprendisti stregoni”.