Come abbiamo già ampiamente riferito in altre parti del giornale, oggi, 21 marzo, è la Giornata Mondiale sulla Sindrome di Down (World Down Syndrome Day) e alle Nazioni Unite è in programma la Conferenza Internazionale intitolata My Friends, My Community – The benefits of inclusive environments for today’s children and tomorrow’s adults, ovvero “I miei amici, la mia comunità – I benefìci degli ambienti inclusivi per i bambini di oggi e gli adulti di domani”, che è anche il tema della Giornata stessa. Il principale obiettivo di quest’anno, quindi, è quello di sensibilizzare sull’importanza degli interventi precoci e dei supporti adeguati che possono e devono essere dati alle persone con sindrome di Down perché è grazie a tutto ciò, come ampiamente dimostrato anche dalla ricerca scientifica, che si possono raggiungere alti livelli di autonomia e indipendenza in tutti gli àmbiti della vita.
«Pienamente consapevoli di questo aspetto – sottolineano dall’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) – abbiamo da tempo incentrato la nostra attenzione sulla dimensione adulta delle persone con sindrome di Down, partecipando tra l’altro al recente convegno sul Progetto Nazionale Dosage. Funzionamento, disabilità e invecchiamento delle persone con sindrome di Down in Italia, evento conclusivo di un’iniziativa finanziata dalla Fondazione Jérôme Lejeune di Parigi e coordinata dalla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, con la collaborazione della nostra Associazione e dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down)».
Vale a questo punto la pena proporre alcuni dei risultati prodotti nel corso dell’evento citato dall’ANFFAS, i cui dati di partenza erano riferiti al 2007, con una stima di 48.000 persone con sindrome di Down in Italia, di cui 10.500 tra 0 e 14 anni, 32.000 tra i 15 e i 44 anni, e 5.500 oltre i 44 anni.
Il Progetto Dosage ha preso in esame, attraverso dei questionari somministrati a operatori e familiari, la vita di 136 persone con sindrome di Down tra i 45 e i 67 anni (53,3 anni la media esatta, 61 femmine e 75 maschi), presenti in 15 Regioni del Paese, studiando come la loro condizione di salute e di disabilità interagisca con l’ambiente circostante, oltreché mettendo in evidenza alcuni dati importanti: il 42,6% delle persone, ad esempio, non ha conseguito alcun titolo di studio e del 54,5% che l’ha conseguito, per il 27,2% dei casi si tratta di licenza elementare, per il 26,5% di licenza di scuola media inferiore e solo una persona è arrivata al diploma di scuola media superiore. Di conseguenza, il 46,3% non ha capacità di lettura, il 40,7% non ha capacità di scrittura e il 68,4% non è in grado di eseguire calcoli.
Inoltre, secondo i familiari e gli operatori intervistati, il 56,3% delle persone con sindrome di Down non è risultata in grado di prendersi cura della propria salute e il 48,1% di assumere autonomamente le medicine, mentre il 76,1% appare per lo più in grado di lavare e asciugare il proprio corpo.
Per quanto poi riguarda il lavoro, il 79,4% del campione non lavora e non ha mai lavorato, mentre solo l’8,1% ha lavorato in passato e solo il 5,1% lavora oggi.
Altra area che presenta dati significativi è quella del futuro: il 44,1% degli intervistati, infatti, ha dichiarato che ad essersi occupati dell’organizzazione del futuro sono stati soprattutto i fratelli o le sorelle quando sono venuti a mancare i genitori, oppure che se ne sono occupati i genitori ancora in vita (25%). Infine, il 53,7% ha dichiarato che la persona con sindrome di Down non ha mai espresso particolari desideri o aspettative riguardanti il suo futuro, mentre il 25,7% ha espresso nel tempo il desiderio di poter continuare con la propria famiglia, oppure insieme ai propri amici/da solo o con il partner (12,5%).
«I risultati di questa ricerca – dichiara Roberto Speziale, presidente nazionale dell’ANFFAS – cui abbiamo partecipato con entusiasmo, hanno permesso ancora una volta di affermare quanto da tempo stiamo portando all’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni e delle famiglie stesse, ossia che è fondamentale lavorare sin dall’infanzia alla realizzazione e all’attuazione di progetti individualizzati nel “durante noi”, per arrivare al massimo livello di autonomia possibile, promuovendo in questo modo non solo l’indipendenza delle persone con sindrome di Down, ma anche la costruzione del “dopo di noi”, tassello fondamentale – e oggi al centro di numerosi dibattiti e discussioni – per garantire la migliore qualità di vita possibile, soprattutto in un’ottica di società inclusiva».
“È dunque necessario riflettere attentamente su questa ricerca – aggiunge Speziale – per innescare un cambiamento. È ormai ovvio, infatti, come questa sia una situazione che dev’essere modificata radicalmente, dando alle persone con sindrome di Down, già dai primi anni di vita, gli strumenti e i sostegni adeguati per essere cittadini al pari di tutti gli altri e avere così un futuro da adulti autonomi, consapevoli, attivi in ogni àmbito della nostra comunità, dalla scuola al lavoro, con la possibilità di dare all’ambiente che li circonda l’apporto e il contributo che possono e devono dare come ogni altra persona, eliminando così il pregiudizio che li vede solo come persone da assistere o da curare per tutta la loro vita». (S.B.)
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