Chi scrive è stato invitato qualche giorno fa a Firenze, a moderare un dibattito intorno alla Legge sul cosiddetto “Dopo di Noi”, ovvero l’insieme di iniziative volte a garantire la qualità della vita di una persona con disabilità grave una volta scomparsi i familiari che se ne prendono cura.
Lungamente attesa, la Legge è attualmente all’esame del Senato, dopo avere ottenuto l’approvazione della Camera con 374 voti favorevoli e 75 contrari. L’approvazione definitiva si avrà presumibilmente entro la fine di luglio, poi occorreranno altri sei mesi per la scrittura dei Decreti Attuativi che la renderanno operativa.
Nonostante sia stato favorevolmente votato da una larga maggioranza di Parlamentari, quel testo ha tuttavia fatto registrare un’immediata quanto forte reazione da parte di associazioni e firme del giornalismo, dando vita a un dibattito molto frammentato. In tal senso l’occasione della conferenza tenutasi a Palazzo Vecchio di Firenze, con la partecipazione dei deputati firmatari della Legge, Ileana Argentin, Filippo Fossati e Francesco Gelli (quest’ultimo nella duplice veste di parlamentare e di presidente del Cesvot, il Centro Servizi Volontariato Toscana) e di Stefania Saccardi, assessore della Regione Toscana al Diritto alla Salute, al Welfare e all’Integrazione Socio-Sanitaria, ha costituito un’occasione di riflessione notevole per la ricchezza dell’esperienza toscana riguardo al “Dopo di Noi”.
La Toscana, infatti, è una delle poche Regioni che può vantare sei Fondazioni di Partecipazione, realtà cogestite da privati e Pubbliche Amministrazioni, che stanno portando avanti esperienze di avvicinamento al momento del “Dopo di Noi” in case famiglia e progetti di vita indipendente.
«Sono la prima ad avere puntato su realtà piccole ed efficienti – ha rivendicato l’assessore Saccardi – ma solo per quelle persone con disabilità il cui percorso personalizzato, studiato dagli esperti sanitari e socio assistenziali, ci dice essere idonee a questa soluzione». Una dichiarazione, questa, nata anche come risposta alle critiche piovute sull’Amministrazione Regionale per due progetti nati, alle porte di Pisa e ad Empoli (Firenze), da due fondazioni bancarie che stanno costruendo centri polifunzionali, ove prendersi cura di un centinaio di persone con disabilità intellettive.
«Troppo grandi – dicono i più critici – vere “cittadelle della disabilità”, dove si rischia di “internare” le persone. Queste soluzioni sembrano andare nella direzione opposta alla legge in approvazione al Senato che invece, nei princìèpi generali, invita a dimettere gli utenti dagli istituti per avviarli in strutture più piccole, a carattere più intimo e familiare». «Si tratta di restituire la dignità a molte madri, padri e persone con disabilità – ha chiosato a Firenze Ileana Argentin – quella dignità dovuta ad esseri umani che vivono, direttamente o indirettamente, la condizione di disabilità; la dignità di una vita adeguata…».
Ed ecco prospettarsi quello che è un nodo critico della Legge: per costruire una vera inclusione, e il “Dopo di Noi”, si deve lavorare sul “Durante Noi”, ovvero attuare una serie di iniziative che portino alla massimizzazione dell’autonomia delle persone con disabilità. Per esempio, avviando al lavoro, dove si può, o comunque favorendo il più possibile le attività d’inclusione sociale.
È vero che questa Legge deve regolamentare i casi specifici delle persone che non hanno più alcun sostegno familiare («Assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», recita il titolo), ma è altrettanto vero che si è persa un’occasione per porre le basi per una vera inclusione, anche partendo dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
L’altra criticità riguarda il veicolo scelto dal legislatore per la gestione del “Dopo di Noi”: il trust, ovvero un istituto giuridico con cui una o più persone, i disponenti, trasferiscono beni e diritti sotto la disponibilità del trustee, un tutore, che assume l’obbligo di amministrarli nell’interesse di un beneficiario, in questo caso la persona con disabilità.
Si tratta di una formula anglosassone ratificata dall’Italia: chi vuole attuarla deve scegliere con quale normativa straniera questo meccanismo deve operare. «Una scelta costosa – ha sottolineato dal pubblico l’avvocato Andrea Scavetta, definendosi un esperto in materia di trust, che realizza per conto di diverse fondazioni estere operanti in Italia – così costosa che potrebbe essere utilizzato solo da un 5% dei possibili interessati dalla Legge: occorre avere dei beni da destinare all’erede e una somma di denaro considerevole per mantenere la persona con disabilità fino alla sua morte, oltre che per pagare i costi del trustee…».
La risposta degli Onorevoli al tavolo ha lasciato un po’ perplessi: in primo luogo hanno detto che «il trust non è l’unico mezzo per attuare la legge [ma nella Legge stessa non vengono citate altre formule, N.d.R.]». Inoltre, hanno affermato che «chi non potesse aderire a questa formula può sempre far riferimento ad altri fondi messi a disposizione dallo Stato per il mantenimento di queste persone con disabilità gravi». Un po’ poco, a parer mio, per una Legge nata per dare sollievo a tutti i genitori con figli con disabilità grave.
Quante famiglie, dove spesso lavora un solo genitore perché l’altro si prende cura del figlio – oltre 3,3 milioni di persone sono coinvolte in Italia nell’assistenza a una persona con disabilità (dati del Cesvot) – potranno lasciare in eredità all’eventuale trust beni e denaro sufficienti per il mantenimento dei cari? Vero è, come hanno sottolineato i Parlamentari, che la dotazione del fondo è costituita da «soldi nuovi» ovvero non spostati da altre voci di spesa per il mondo della disabilità; ed è altresì vero che si tratta di un primo mattone su cui in futuro si potrebbero costruire nuove impalcature per gestire la situazione del “Dopo di Noi”. Ma mi sarei aspettato un minor equilibrismo tra le differenti anime promotrici e una risposta più essenziale e concreta, che coinvolgesse una platea più ampia di destinatari.