MediCinema: quei “canali invisibili” di comunicazione

«Sono certo che il nostro inconscio cattura informazioni che poi ci daranno messaggi utili a rendere più positiva la nostra realtà. Esistono “canali invisibili” sui quali viaggiano le parole più misteriose e che sicuramente compongono le storie più belle»: lo racconta una delle persone con disabilità in cura al Centro Clinico NEMO di Milano, che hanno vissuto l’esperienza di “MediCinema”, progetto nato qualche anno fa, con l’obiettivo di utilizzare il cinema e la cultura cinematografica a scopo terapeutico negli ospedali italiani

Sala cinematografica piena di persone con e senza disabilità «L’evento è insolito quando sei ricoverato e invece di fare solo esami, puoi permetterti una pausa di normale vita quotidiana. Siamo in tanti nella sala pronta a proiettare una prima visione e siamo in molti; mondi vicini, appartenenti alla stessa galassia e dove la forza di gravità, talmente potente, diventa un ostacolo insormontabile. Mi sfiorano pensieri e carrozzine. Volti giovani di chi, come me, naviga soprattutto con il vento delle emozioni. Non ci conosciamo e non ci parliamo oltre un semplice saluto. Sono certo che il nostro inconscio cattura informazioni che poi ci daranno messaggi utili a rendere più positiva la nostra realtà. Esistono “canali invisibili” sui quali viaggiano le parole più misteriose e che sicuramente compongono le storie più belle».
Così Salvatore, una delle persone in cura presso il Centro Clinico NEMO (NEuroMuscular Omnicentre) di Milano, racconta il suo incontro con MediCinema, progetto di cui il nostro giornale ha già avuto modo di occuparsi, nato nel 2013, insieme all’omonima Associazione, ispirata all’inglese MediCinema UK, con l’obiettivo di utilizzare il cinema e la cultura cinematografica a scopo terapeutico negli ospedali italiani.

A raccogliere la testimonianza di Salvatore è stata Gabriella Rossi, responsabile del Servizio di Psicologia Clinica del Centro NEMO e anche referente per l’AUS Niguarda (Associazione Unità Spinale) del progetto, che è ospitato, sempre presso l’Ospedale Niguarda, dal Centro Polifunzionale Spazio Vita dell’Unità Spinale Unipolare.
«Lavoro in due reparti molto “particolari” del Niguarda – spiega Rossi – vale a dire il Centro NEMO e l’Unità Spinale Unipolare, il primo dei quali si occupa di malattie neuromuscolari, tuttora inguaribili, con difficoltà diagnostica, spesso con sintomi molto subdoli e con una progressività inarrestabile, che ledono in modo irreversibile l’autonomia della persona. Il secondo reparto, invece, si occupa di persone che, in modo traumatico e non, perdono la propria autonomia e devono “ripensare” e “ricostruire” la propria esistenza, facendo i conti con una disabilità e sviluppando al massimo le potenzialità e funzionalità residue. Eppure questi due reparti speciali presentano caratteristiche trasversali: la centralità, la “responsabilità” e la partecipazione del paziente al percorso di cura; l’importanza di perseguire un concetto di “riabilitazione” globale (non solo una funzione da vicariare, ma un processo che coinvolge la persona nel suo complesso); l’attenzione ai bisogni e alle relazioni e alle valenze emotive».

In sinergia dunque con tutti questi aspetti è nato MediCinema, gestito dall’AUS Niguarda, che ha portato all’allestimento – nel citato centro Polifunzionale Spazio Vita – di una sala cinematografica, accessibile anche alle persone allettate. L’iniziativa, va detto, si è avvalsa della collaborazione dei tre Direttori Sanitari dei reparti del Niguarda coinvolti, ovvero il Centro Clinico NEMO, l’Unità Spinale Unipolare e la Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione.
«Da parte nostra – sottolinea ancora Rossi – abbiamo indirizzato l’attenzione alle problematiche relative alla lungodegenza riabilitativa, a patologie neuromuscolari con forti implicazioni esistenziali e disabilità funzionali/motorie, oltreché a malattie a lunga degenza riabilitativa con eziologia traumatica. L’obiettivo è segnatamente quello di offrire l’opportunità, alle persone coinvolte in queste situazioni, di vivere un evento “normale”, scegliendo la partecipazione o decidendo in modo autonomo e anche vivendo dei momenti con il proprio caro, per restituire una dimensione di coppia che “sceglie” di fare “ancora” qualcosa insieme, al di la della gravità della dipendenza. In poche parole, di riprendersi un ruolo “sociale” di partecipazione, alleviando la sofferenza della malattia e dell’ospedalizzazione». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Comunicazione Centro Clinico NEMO di Milano (Elena Inversetti), elena.inversetti@centrocliniconemo.it.

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