Si parla molto oggi di violenza sulle donne, purtroppo a seguito di gravi fatti di cronaca e si inizia anche a parlare di violenza sulle donne con disabilità, aprendo così uno spiraglio su una realtà per molto tempo sottovalutata, banalizzata, negata. Sembra però che ben poco spazio venga dato, dai mass media e dalle Istituzioni, alla prevenzione di questo triste e grave fenomeno. Ci si preoccupa di preparare centri di accoglienza, di cura per donne abusate, si lavora per la loro emancipazione da realtà che ne schiacciano la dignità umana, ma poche volte ci si interroga sul cosa fare per impedire alla radice questi abusi in cui la donna può arrivare al punto da difendere il suo aggressore.
La situazione delle donne con disabilità è particolarmente complessa: vediamo che possono spesso subire fin dall’infanzia una violenza psicologica a volte subdola, altre esplicita, da parte dell’ambiente in cui crescono. La piccola sorda, ad esempio, è una bambina che nonostante i suoi sforzi e le conquiste, riceve dall’esterno sempre un rimando negativo: lei è una persona cui manca qualcosa (l’udito) e perciò, per essere accettata, dovrebbe diventare come gli altri, gli udenti, a prezzo di fatiche sconosciute al bambino normodotato. I rapporti con il mondo degli udenti, con le istituzioni scolastiche e sanitarie le restituiscono spesso un’immagine di sé come quella di “un’incapace”, che non sa spiegarsi e non riesce a comprendere ciò che gli altri le dicono. Da questa emarginazione iniziata sin dall’infanzia deriva che la donna sorda è portata ad avere una scarsa considerazione di sé, a non sentirsi persona degna di considerazione, di affetto: così, a fronte dell’aggressione di un uomo che pur dice di amarla, può non ribellarsi e diventare una vittima facile e indifesa.
La donna sorda, inoltre, nella misura in cui le sue capacità comunicative sono limitate e l’interlocutore non si cura della sua difficoltà, è esposta alla “violenza istituzionale”, in quanto le Istituzioni non tengono conto delle sue limitazioni comunicative: i mass media, la televisione (a parte qualche telegiornale dove si usa la Lingua Italiana dei Segni) sono pensati solo per gli udenti. La donna si trova perciò gravemente menomata nella sua possibilità di comprendere gli eventi che la circondano e che influiscono anche sulla sua vita; in quanto tale, è un soggetto fragile, a rischio.
Per questo, per cercare di limitare il danno, la nostra Associazione [Associazione di Promozione Sociale Marcoli di Brescia, N.d.R.] – nata per sostenere la genitorialità in contesti difficoltosi, quali la presenza di una disabilità in famiglia, e in modo particolare la sordità – ha elaborato un progetto articolato in più annualità, intitolato Discorsi per donne… tra donne [dell’annualità 2014-2015 si legga già anche nel nostro giornale, N.d.R.], inteso come un mezzo – certo non il più importante, ma che può indicare una delle direzioni sulla quale incamminarsi – per prevenire il maltrattamento e l’abuso sulle donne sorde.
Il secondo ciclo ha preso avvio alla fine di ottobre dello scorso anno presso l’ENS di Brescia (Ente Nazionale dei Sordi), articolandosi su sei incontri, rivolti esclusivamente a donne sorde. Titolo dell’iniziativa: Essere donna, madre, moglie… oggi, i cui temi sono emersi dal questionario di gradimento finale del corso precedente (Uno sguardo sull’identità femminile), conclusosi nel mese di febbraio del 2015.
Obiettivo del progetto è sostanzialmente quello di fornire alle partecipanti occasioni per riflettere e ripensare alla propria storia personale, segnata dalla disabilità uditiva, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di isolamento, distorsioni delle relazioni affettive, difficoltà di inserimento nel mondo ritenuto “normale”, sviluppo di un’identità carente di connotazioni positive.
Pur non trattandosi di interventi di psicoterapia, questi incontri sono pertanto buone occasioni per rielaborare i propri vissuti e alleggerire il carico di responsabilità e sofferenza che i problemi irrisolti dei genitori finiscono per porre sulle spalle dei figli; l’identità, infatti, è un processo che ha le proprie radici nel passato, nelle esperienze e nell’educazione infantile, ed è da qui che bisogna ripartire.
La donna sorda può rafforzare l’immagine positiva di sé non solo se cerca di dare senso alla propria storia passata, ma anche nella misura in cui – aiutata a superare le sue difficoltà comunicative con strumenti adeguati – riesce a sentirsi più “padrona di sé”, a conoscersi meglio, ad essere parte più consapevole e attiva della realtà che la circonda, nelle vicende difficili che si vivono nella famiglia, nelle trasformazioni che ci stanno attraversando.
Durante il corso si è parlato, alla presenza di professioniste qualificate, delle difficoltà che tutte le donne si trovano a dover affrontare in questo momento storico di grande confusione, su ciò che si debba intendere per famiglia e sui ruoli che in questa istituzione è possibile svolgere.
Parlare di donne significa parlare di individui, di coppia, di maternità, di bambini. Gli argomenti affrontati si sono richiamati quindi non solo alle difficoltà del processo di genitorialità, ai conflitti, alle separazioni che possono coinvolgere la coppia, ma anche alle implicazioni che i nodi irrisolti dei genitori e le difficoltà che la stessa vita impone, come le malattie e i lutti, hanno sui bambini.
Due degli incontri del corso di cui si parla nella presente riflessione sono stati videoregistrati (La morte in famiglia. Le parole per dirlo ai bambini, relatrice Wally Capuzzo e La violenza maschile: alcune riflessioni sulla sua origine e sulle sue cause, relatori Paolo Ferliga e Vanda Duina). Le registrazioni saranno disponibili dal 10 aprile prossimo nel sito dell’Associazione Marcoli.