Considerati ancora per molti una terapia alternativa, gli Interventi Assistiti con gli Animali – d’ora in poi indicati come IAA – possono rivelarsi come preziosi trattamenti di carattere sanitario, in grado di attivare risposte emotive, percettive e sensoriali nuove con una importante valenza terapeutica, riabilitativa, oltre che educativa e ludico-ricreativa.
Se n’è parlato nel febbraio scorso, durante il convegno intitolato Educazione, riabilitazione e cura con l’aiuto degli animali, promosso a Rozzano (Milano) dalla Fondazione milanese Ariel [se ne legga anche la presentazione, sempre nel nostro giornale, N.d.R.], incontro di approfondimento dedicato a operatori e famiglie di bambini e ragazzi con paralisi cerebrale infantile e disabilità neuromotorie, per fornire informazioni sui diversi interventi assistiti, ma anche indicazioni per distinguere un buon progetto da attività di qualità, ma non di carattere terapeutico.
Ad offrire un prezioso inquadramento di questa materia in evoluzione è stato Lino Cavedon, psicologo e psicoterapeuta, esperto IAA, coinvolto nell’intenso lavoro di definizione delle Linee Guida Nazionali per gli Interventi Assistiti con gli Animali (IAA), conclusosi con l’approvazione nel 2015 di un Accordo tra Stato, Regioni e Province Autonome. «Con questo documento – ha spiegato – abbiamo stabilito regole omogenee sul territorio nazionale e definito gli standard di qualità per identificare trattamenti che incidono significativamente nella vita dei pazienti».
In base dunque alle citate Linee Guida Nazionali, rientrano negli IAA: le Terapie Assistite con gli Animali, finalizzate alla cura di disturbi della sfera fisica, neuro e psicomotoria, cognitiva, emotiva e relazionale; l’Educazione Assistita con Animali, finalizzata a promuovere, attivare e sostenere le risorse e le potenzialità di crescita, relazione e inserimento sociale delle persone in difficoltà; le Attività Assistite con gli Animali, finalizzate al miglioramento della qualità della vita e della corretta interazione uomo-animale.
«Nell’àmbito degli interventi con gli animali – ha sottolineato Cavedon -, alla parola del terapeuta si aggiunge il senso motorio e l’inconscio, la possibilità di avere un risveglio dei contenuti e delle emozioni più profonde. Il contatto con l’animale consente di liberare ciò che viene trattenuto a livello corporeo. Poiché molte esperienze traumatiche vengono trattenute in una forma somatosensoriale, esse non possono che essere comunicate e decodificate attraverso il medesimo canale corporeo. Attraverso il contatto passano sensazioni, emozioni, sentimenti. Il processo è largamente inconscio. Il terapeuta deve prendere queste emozioni e trasformare questi vissuti in pensieri e consapevolezze. Le diversità etologiche e psicologiche dell’animale possono poi favorire una presa in carico diversificata che può rispondere ai diversi bisogni della persona».
La presenza dell’animale, quindi, può favorire nuove dinamiche psicologiche ed educative: esercitare la sensorialità; stimolare l’attenzione e il cognitivo in modo che crescano conoscenze e potenzialità; stabilire legami affettivi; migliorare le abilità motorie; controllare ansia e provare gioia; potenziare la memoria; incoraggiare la socializzazione; acquisire senso di responsabilità e/o migliorare l’autostima.
Un esempio concreto di quanto detto è stato offerto, durante il convegno di Rozzano, da Francesca Bisacco, presidente dell’Associazione Rubens di Torino e componente della Commissione della Regione Piemonte per le Attività Assistite con gli Animali, che ha illustrato l’esperienza di una bambina in carrozzina con paralisi cerebrale che sta seguendo un percorso di riabilitazione con un cavallo: «Al primo incontro – ha raccontato – Spillo l’ha salutata con baci e lei ha provato ad alzare le braccia per accarezzarlo. Dopo due anni la bimba cammina con tutore, pulisce Spillo, muovendo tutti e due gli arti e monta a cavallo, da sola. Prima non riusciva a fare nulla di tutto questo. Oggi conduce Spillo autonomamente, ha capito la lateralizzazione e ha partecipato al saggio di fine anno davanti alla sua famiglia e ai compagni di classe. Questo ha cambiato il destino psicologico della bimba, oggi consapevole della sua disabilità, così come dei grandissimi passi avanti che ha fatto: per i suoi compagni ora è la bambina che va a cavallo».
«Resistenza e motivazione – ha poi aggiunto la Presidente di Rubens – sono centuplicati dal contatto con gli animali e con l’aumento della resistenza muscolare si può progredire nell’autonomia. I bambini all’inizio sono spesso arrabbiati. A loro si chiede di scaricare la rabbia. Dopo il riscaldamento c’è quindi la salita a cavallo. Già fare i gradini per salire a cavallo richiede un grandissimo sforzo, ma i bambini si impegnano perché il premio è oltre l’ostacolo. Poi si lavora sui distretti corporei. Per stare sul cavallo bisogna cercare l’equilibrio a ogni passo, cercare il proprio baricentro. Anche se la persona non è in grado di muoversi in modo assoluto, il cavallo riesce comunque a stimolare gli stessi muscoli che si utilizzano per camminare».
Bisacco ha citato poi un progetto di ricerca sviluppato a Torino, che ha coinvolto quattordici bambini con paralisi cerebrale infantile tra i 6 e i 12 anni in un percorso di sei mesi con un trattamento una volta a settimana di quarantacinque minuti. «Già dopo un mese e mezzo di attività – ha spiegato – i genitori hanno notato i benefìci, sia rispetto all’equilibrio statico che a quello dinamico, la migliore postura da seduti, il desiderio di sperimentarsi e camminare senza ausili, così come, infine, a livello emotivo una minore aggressività dei bambini. Non sono più bambini malati, sono bambini che vanno a cavallo».
Dal canto suo, Antonia Mirarchi, psicologa e fisioterapista specializzata in rieducazione equestre presso l’AIAS (Associazione Italiana Assistenza agli Spastici), ha introdotto il tema della psicoterapia equestre, «una prospettiva sulla riabilitazione con i cavalli che pone l’accento sugli aspetti relazionali e psicologici e sull’importanza della qualità delle relazioni ai fini dei risultati riabilitativi. Una terapia a mezzo del cavallo che non interpreta il cavallo come un mezzo o strumento ma come soggetto, protagonista di una relazione che produce benessere mediato da uomo, psicologi e terapisti, e articolato nella doppia dimensione di corpo e mente e la dimensione psicologica e relazionale».
E del resto, dopo una fase di empirismo iniziale, anche questi trattamenti stanno adottando approcci sempre più scientifici. Infatti, Domenico Bergero, veterinario e docente alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino, ha offerto un interessante esempio del legame sempre più stretto fra medicina e veterinaria, illustrando uno studio in corso per valutare l’effetto della riabilitazione equestre sulla biomeccanica della deambulazione in bambini affetti da autismo (dai 6 ai 12 anni).
Attraverso un sistema molto avanzato di registrazione e monitoraggio, si stanno valutando e registrando i parametri del movimento – della camminata a piedi in particolare – di questi bambini, prima, durante e dopo le sedute di riabilitazione equestre, registrandone il miglioramento effettivo. «La strada è ancora lunga – ha dichiarato Bergero – ma l’obiettivo è valutare gli effetti sui diversi tipi di disabilità neuromotorie».
Nel successivo intervento, Debra Buttram, educatrice, formatore e valutatore IAA, presidente dell’Associazione Natura Animale di Lambrugo (Como), si è soffermata sul tema degli interventi assistiti con i cani per i bambini con disabilità del Centro Diurno di Lecco, dove ha iniziato a lavorare nel dicembre del 1994 con golden, coker e anche con un cane meticcio.
Focalizzando l’attenzione sulla relazione che si crea fra utente e animale e contestualizzando l’impiego di animali differenti, più o meno affettuosi e predisposti alla relazione, in funzione dell’utente, Buttram ha voluto innanzitutto ricordare come «il buono che è possibile tra un essere umano e un animale sia solo possibile all’interno di una relazione equilibrata». «Il beneficio – ha aggiunto infatti – esiste solo nel momento in cui il sorriso entra nell’utente ed è un passo avanti per il suo percorso».
Cavalli, cani, ma anche asini: delle potenzialità di questi animali nel lavoro con le persone in difficoltà, si è occupata infatti, nell’intervento conclusivo della giornata, Chiara Menardi, educatrice professionale dell’ULSS 6 – Centro Pet Therapy dell’ULSS 4 Alto Vicentino.
«Nella visione comune – ha spiegato – l’asino ha molti elementi negativi: è umile, rustico, si pensa sia dotato di scarsa intelligenza, è cocciuto, testardo… Di contro ha una serie di caratteristiche che si prestano particolarmente agli interventi assistiti con gli animali: è un animale socievole e affettuoso, che cerca il contatto e la compagnia; è empatico, e se una persona non è serena si ferma e aspetta; è estremamente curioso, è tollerante e disponibile; di mole ridotta, risulta facilmente avvicinabile e non incute timore come il più maestoso cavallo; è buffo e crea simpatia, tenerezza e divertimento come il suo raglio, dal tono molto basso e vibrante, che viene percepito anche da bambini con tetraparesi; infine, nelle situazioni di pericolo o di difficoltà si ferma, indecisione che viene sfruttata anche per il trattamento di ragazzi con movimenti scomposti o agitati».
Tutte caratteristiche, dunque, che identificano l’asino come un animale ideale per un lavoro terapeutico relazionale: «Esso infatti – ha concluso Menardi – aiuta a recuperare una comunicazione autentica, semplice e profonda che si basa sul gioco e sul contatto, con un forte coinvolgimento della parte intima affettiva ed emozionale. Si presta meno a lavorare con utenti con problematiche di carattere fisico, a differenza del cavallo, ideale per un recupero di carattere motorio, in quanto in grado di riprodurre il passo umano. L’asino si presta quindi a un percorso relazionale, emotivo e da “ultimo arrivato” del mondo animale, rispetto agli interventi assistiti, si può dire abbia davvero molto da dare». (Fondazione Ariel)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: info@fondazioneariel.it.