La recente riunione del “Coordinamento degli Enti” collegati all’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) ha messo al centro del proprio dibattito la necessità di dar vita ad una “authority” delle scienze tiflologiche, che si configuri come un vero e proprio “network” a supporto dell’inclusione delle persone non vedenti e ipovedenti. Una necessità, questa, segnalata da tempo, ma che solo ora, grazie all’impegno dell’attuale Presidenza Nazionale dell’UICI, ha trovato il motore propulsore per la sua concreta attivazione.
Strettamente legata a questo nuovo corso della tiflologia è la definizione di chi sia il tiflologo, figura, questa, di cui tutti parlano, spesso invocata come “deus ex machina” per la risoluzione dei problemi connessi all’educazione e all’istruzione delle persone con disabilità visiva, ma sulla quale manca un’attenta riflessione su quali debbano essere il profilo professionale, il suo percorso formativo e il suo ruolo nel processo di crescita e di emancipazione della persona minorata della vista.
Vogliamo dunque soffermarci qui per dare il nostro contributo a tale riflessione e per tentare di fare un po’ di chiarezza sull’argomento.
La cosa non risulta assolutamente semplice, in quanto ogni volta che abbiamo provato a definire il ruolo professionale del tiflologo, ci risuonava nella mente una domanda: «Il tiflologo, chi è costui?». La questione non è capziosa e la domanda non è banale: infatti, non è casuale che tale figura non compaia in nessuna delle classificazioni internazionali riferite agli operatori che si occupano dell’educazione e dell’istruzione dei privi della vista.
Definire il tiflologo è come osservare un quadro impressionista: visto da lontano, le figure in esso rappresentate sembrano ben definite e stagliarsi nettamente sullo sfondo, ma, via via che ci si avvicina, esse diventano sempre più confuse, fino a scomporsi in macchie di colore, confondendosi con lo sfondo e perdendo l’iniziale unicità delle forme.
Allo stesso modo, i “non addetti ai lavori” che hanno una conoscenza “lontana” della psicologia dell’età evolutiva, della psicopedagogia e della didattica, spesso tendono a pensare al tiflologo come al “tuttologo” o all’“onnisciente”, cioè come a colui che “solo” risolve tutti i problemi dello sviluppo e dell’educazione dei disabili visivi di tutte le età. “Guardato da vicino”, invece, da chi di educazione e di formazione si occupa, questa unicità si frammenta: il tiflologo, a seconda della situazione in cui si trova ad operare, dovrebbe essere: psicologo dell’età evolutiva od operatore di nido d’infanzia, quando interviene su un bambino dagli zero ai tre anni; maestro di scuola materna, quando opera con bambini dai 3 ai 6 anni; competente di didattica di scuola primaria ed educatore di orientamento e mobilità e autonomia personale, quando si occupa di educazione di bambini a partire dai 6 anni in poi; e in seguito informatico, orientatore scolastico e professionale e così via.
Questo evidenzia come il tiflologo, se non definito nel suo ruolo, può essere immaginato – e spesso lo è stato – come l’educatore unico dei disabili visivi, mentre è proprio questa l’illusione dalla quale occorre uscire.
La definizione utilizzata a livello internazionale di “esperto nelle scienze tiflologiche” ci aiuta in tal senso, chiarendo che il suo ruolo non può essere né quello dell’insegnante o dell’educatore, né quello dell’esperto di informatica o dell’operatore di orientamento e mobilità, né quello dell’esperto di orientamento scolastico o professionale; men che mai egli potrà sostituirsi allo psicologo o al neuropsichiatra infantile. E allora ecco tornare la domanda: «Il tiflologo, chi è costui?».
Egli è, appunto, un esperto nelle scienze tiflologiche e, come tale, saprà: indicare gli aspetti critici dello sviluppo psicomotorio in assenza della vista e come fare per superarli con successo; chiarire gli aspetti specifici della percezione della realtà in mancanza della vista; valutare la funzionalità del residuo visivo in relazione al lavoro didattico e/o professionale; insegnare come si educa un minorato della vista alla “lettura” delle rappresentazioni grafiche bidimensionali (grafici, piantine toponomastiche e cartine ecc); sapere quando è indispensabile l’insegnamento del metodo Braille, oppure quali siano i sussidi per gli ipovedenti per rendere autonomo il bambino con disabilità visiva nella letto-scrittura; illustrare quali siano gli accorgimenti e i sussidi per rendere efficace la didattica in presenza di un cieco assoluto e/o di un ipovedente grave; sapere insegnare l’uso del PC con le periferiche assistive (screen reader, display Braille, sofware ingrandenti ecc.); conoscere i giochi idonei al bambino con gravi problemi di vista; indicare quali siano le opportunità di accesso all’informazione (quotidiani e riviste online accessibili, biblioteche digitali, audiolibri ecc.); suggerire come “adattare” un testo di scuola primaria o un testo letterario o scientifico, affinché la persona priva della vista o ipovedente lo possa utilizzare appieno; spiegare quali siano le possibilità di orientamento, mobilità e autonomia personale raggiungibili alle diverse età e nelle diverse situazioni da parte di chi ha problemi di vista; valutare l’idoneità di una situazione di lavoro e la sua adattabilità al cieco o all’ipovedente.
Questo solo per esemplificare gli àmbiti delle sue principali competenze, competenze che egli potrà trasmettere, quale formatore, in percorsi specifici rivolti alle diverse figure professionali che intervengono alle diverse età e situazioni nel processo di istruzione e formazione dei giovani e degli adulti con disabilità visiva.
Al riguardo ricordiamo, quale esempio di eccellenza, come questo sia l’obiettivo di un accordo sottoscritto recentemente dall’UICI con l’Ordine degli Psicologi ai quali ultimi l’IRIFOR [Istituto Nazionale di Ricerca, Formazione e Riabilitazione per la Disabilità Visiva dell’UICI, N.d.R.] si appresta a fornire la formazione specifica.
Non meno rilevante e lungimirante ci sembra poi il recente avvio del Master in Typhlology Skilled Educator (“esperto nelle scienze tiflologiche”), voluto fortemente dal presidente nazionale dell’UICI Mario Barbuto e da Marco Condidorio, componente la Direzione Nazionale della stessa Unione, oltreché realizzato grazie alla fattiva e sinergica collaborazione tra l’Università del Molise e l’IRIFOR [se ne legga ampiamente anche su queste stesse pagine, N.d.R.].
Il nostro auspicio è che da tale Master Universitario, oggi esperienza sperimentale pilota nel Molise, possa nascere il modello formativo di riferimento che, recepito come “buona pratica” dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, possa essere disseminato in tutta Italia.
Ritornando alle competenze dell’esperto nelle scienze tiflologiche, egli, secondo noi, potrà altresì operare sul campo, affiancandosi in alcuni momenti di programmazione (GLH-Gruppo di Lavoro Handicap, Consiglio di Classe ecc.) e di azione (didattica del Braille, predisposizione del materiale didattico, presentazione delle periferiche assistive per l’informatica ecc.) a chi sta operando con la persona minorata della vista (insegnante, educatore, assistente ecc.) e in tutti i casi con la finalità di trasmettere le conoscenze e le competenze loro necessarie a renderli “capaci” di esercitare il proprio ruolo nei confronti della persona con disabilità visiva come con i compagni e di definirne correttamente gli obiettivi educativi, scolastici e di autonomia personale, in modo tale da sviluppare un “progetto di vita” finalizzato alla sua inclusione socio-lavorativa.
Questa integrazione tra esperti nelle scienze tiflologiche e studiosi di scienze umane, grazie al sopraccitato nascente “network per l’inclusione”, dovrebbe realizzarsi anche nell’àmbito della ricerca psicopedagogica, cosicché il progresso nella tiflologia proceda parallelamente all’evoluzione delle scienze affini.
Queste, a nostro avviso, sono le linee guida che dovrebbero orientare l’azione del costituendo “network per l’inclusione” o “authority” delle scienze tiflologiche, nella proposta di iniziative di ricerca, nella definizione del ruolo e del profilo professionale dei futuri “esperti nelle scienze tiflologiche”, nell’organizzarne il relativo percorso formativo e nel predisporre le iniziative di formazione per le diverse figure professionali che si trovano ad operare con i privi della vista.
Solo con un progetto di sistema, guidato da quelle realtà che negli ultimi cent’anni si sono occupate di educazione, istruzione, formazione e inserimento lavorativo delle persone con disabilità visiva (UICI, Federazione Pro Ciechi, Biblioteca per i Ciechi, IRIFOR ecc.), ma sviluppato in modo integrato con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e con l’intero contesto della formazione e dell’istruzione, il “tiflologo” – uscendo dal limbo e dall’“indefinito” che oggi lo caratterizzano e diventando l’“esperto nelle scienze tiflologiche” – potrà aspirare ad avere un ruolo riconosciuto dall’intera comunità scientifica.