«Secondo le previsioni del DEF, il Documento di Economia e Finanza approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri, nel triennio 2017-2019 il PIL [Prodotto Interno Lordo, N.d.R.] crescerà in media del 2,8% per anno, mentre la spesa sanitaria aumenterà annualmente a un tasso medio dell’1,5%. In dettaglio, dai 113,3 miliardi stimati per il 2016, la spesa sanitaria dovrebbe arrivare a 114,7 miliardi nel 2017, a 116,1 nel 2018 e 118,5 nel 2019». Lo si legge in una nota della Fondazione GIMBE, organizzazione costituita dall’Associazione Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze, che qualche anno fa ha lanciato anche il Progetto Salviamo il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
«Le previsioni del DEF – commenta tuttavia Nino Cartabellotta, presidente di GIMBE – sono uno specchietto per le allodole, perché negli ultimi anni la Sanità ha ricevuto sempre meno di quanto previsto dal documento programmatico del Tesoro. L’esempio del 2016 è paradigmatico: dai 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013, siamo scesi a 116,1 con il DEF 2014 e a 113,4 con il DEF 2015, per arrivare a un finanziamento reale di 111 miliardi, comprensivi di 800 milioni da destinare ai nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)».
«Se dunque le stime del DEF sull’aumento del PIL e la spesa sanitaria sono corrette – prosegue Cartabellotta – la chiave di lettura è solo una: crescendo meno del PIL nominale, la spesa sanitaria non coprirà nemmeno l’aumento dei prezzi. Di conseguenza, la Sanità Pubblica, a parità di potere di acquisto, nel prossimo triennio disporrà delle stesse risorse solo se la ripresa economica del Paese raggiungerà previsioni più che ambiziose. In caso negativo, sul Servizio Sanitario Nazionale non potranno che abbattersi ulteriori tagli».
C’è inoltre un dato ritenuto forse ancor più preoccupante, dal Presidente di GIMBE, ovvero che secondo le stime del Documento di Economia e Finanza, nel triennio 2017-2019 il rapporto tra spesa sanitaria e PIL decrescerà dello 0,1% all’anno, attestandosi al 6,5% nel 2019. «E il 6,5% – sottolinea Cartabellotta – è una soglia d’allarme che desta enormi preoccupazioni per la salute dei cittadini, al di sotto della quale, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si riduce l’aspettativa di vita. Finiremmo in fondo ai Paesi OCSE [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, N.d.R.], dopo essere già stati richiamati dall’OCSE stessa, con la revisione del Servizio Sanitario Nazionale del gennaio 2015, a “garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa sanitaria non vadano a intaccare la qualità dell’assistenza”». «E tutto questo – conclude – avviene in un clima di grande sintonia tra Stato e Regioni». (S.B.)
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