Il 5 aprile scorso l’ISTAT è stato convocato in audizione dall’XI Commissione del Senato (Lavoro, Previdenza Sociale), in relazione all’esame di due Disegni di Legge (n. 2232 e n. 292) che prevedono disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (il cosiddetto “Dopo di Noi”).
Ebbene, nell’audizione del presidente dell’ISTAT Giorgio Alleva e nella successiva nota integrativa, i cui testi sono stati resi disponibili dall’Istituto Nazionale di Statistica, si fornisce una stima della platea dei potenziali destinatari, presenti e futuri, della norma in discussione, e si offre un quadro del sistema dei servizi sociali rivolti alle persone con disabilità sulla base delle ultime rilevazioni disponibili.
Le indicazioni dell’ISTAT sono particolarmente rilevanti poiché dovrebbero costituire per la Commissione un’indicazione sul possibile impatto della norma e sull’adeguatezza delle risorse destinate al provvedimento.
Come già evidenziato nel corso della precedente audizione dell’ISTAT alla XII Commissione della Camera (ottobre 2014), la prima difficoltà che si incontra, da un punto di vista informativo, riguarda la possibilità di quantificare in modo sufficientemente preciso i beneficiari, che i Disegni di Legge individuano nelle «persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di sostenere le responsabilità della loro assistenza».
Lo stato di disabilità grave assunto a riferimento è infatti quello previsto dall’articolo 3, comma 3, della Legge 104/92 e tuttavia, ad oggi, i dati di fonte amministrativa (ASL e INPS) non permettono di conoscere, come denuncia lo stesso ISTAT, l’ammontare delle persone certificate in base a tale norma. Né tale dato può essere desunto dalle indagini ISTAT, che utilizzano una definizione di disabilità diversa da quella adottata nella Legge 104/92.
Pertanto l’Istituto risponde in audizione usando, per approssimazione, le informazioni ad oggi disponibili provenienti da altre rilevazioni, ovvero da una parte il numero dei percettori di indennità di accompagnamento desunti dal casellario INPS, nell’ipotesi che vi sia una coincidenza fra i requisiti sanitari previsti per la concessione di quella provvidenza e la definizione di handicap grave ex lege 104/92. E dall’altra parte le condizioni di vita delle persone con limitazioni funzionali gravi che vivono in famiglia, come risultano dall’indagine ISTAT sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari (ultima edizione: 2012-2013).
Per identificare la platea dei beneficiari, l’ISTAT formula due ipotesi: che la gran parte delle disabilità gravi riferibili alla popolazione di 65 anni e oltre sia determinata dal naturale invecchiamento o da patologie ad esso connesse, e che i genitori di oltre 65 anni siano quelli che vivono le maggiori difficoltà nel sostenere le responsabilità di cura e assistenza dei loro figli con disabilità grave.
A partire da queste due ipotesi, la popolazione dei potenziali destinatari è stata circoscritta ai percettori di indennità di accompagnamento di età inferiore ai 65 anni (circa 540.000 persone) e poiché tale collettivo risulta ben approssimato dall’indagine ISTAT sulle condizioni di salute – sia per numerosità che per distribuzione territoriale – sono state considerate le stime elaborate dall’Istituto relativamente alla situazione familiare delle persone con limitazioni funzionali gravi della stessa fascia di età.
Immediatamente interessate dalle norme in discussione al Senato sarebbero dunque 127.000 persone con disabilità grave sotto i 65 anni, che abbiano perso entrambi i genitori e vivano da sole (38.000) o che vivano con genitori anziani (89.000). A queste l’ISTAT aggiunge – sulla base di calcoli che tengono conto della speranza di vita – una stima di coloro che nell’arco dei prossimi cinque anni entreranno a far parte della platea dei potenziali beneficiari perché perderanno tutti i familiari, ossia ulteriori 12.600 persone. Di queste il 63% è attualmente mantenuto economicamente dalla famiglia e il 50% dichiara di avere risorse economiche scarse o insufficienti.
Nel computo non sono comprese le persone che attualmente sono già istituzionalizzate e per le quali il Disegno di Legge n. 2232 prevede di «favorire percorsi di de istituzionalizzazione».
Stanti tali numeri, dunque, sarebbe opportuno riflettere sulla congruità delle risorse afferenti al Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, fissate – per la realizzazione dei servizi sui territori – a 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni di euro per il 2017 e 56,1 milioni di euro a decorrere dal 2018 (articolo 3, comma 1, del Disegno di Legge n. 2232). Ossia, in media, circa 400 euro annue a persona per il cosiddetto “Dopo di Noi” (sempre escluse quelle già “istituzionalizzate”).
È opportuno ricordare, a tal proposito, che la riduzione del Fondo, per un importo pari a 51,7 milioni di euro per l’anno 2017 e a 33,9 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, è motivata dalla necessità di coprire le minori entrate derivanti dalla detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave e da quelle derivanti dalle esenzioni e agevolazioni tributarie connesse all’istituzione di trust a favore di persone con disabilità grave (articoli 5 e 6 del Disegno di Legge n. 2232) [il trust è un istituto giuridico mutuato dall’ordinamento anglosassone, con cui una o più persone, i “disponenti”, trasferiscono beni e diritti sotto la disponibilità del “trustee”, un tutore, che assume l’obbligo di amministrarli nell’interesse di un beneficiario, in questo caso la persona con disabilità, N.d.R.].
A questo punto i dubbi sulla congruità di un importo di 400 euro annui a persona per la realizzazione di servizi e interventi rivolti al “Dopo di Noi” si innestano in uno scenario in cui l’ISTAT – sulla base di dati ancora provvisori – registra per il 2013 un’ulteriore riduzione della spesa sociale dei Comuni singoli e associati, pari al -2,7% rispetto al 2012 e al -4% rispetto al 2010, l’anno in cui si era toccato il massimo di spesa dall’inizio della rilevazione (2003). Riduzione che sembrerebbe investire, per la prima volta, anche la quota di spesa sociale comunale rivolta alla disabilità.
Guardando dentro alle singole tipologie di servizi, l’ISTAT ci ricorda che nel 2012 i Comuni hanno speso oltre 142 milioni di euro per l’assistenza domiciliare socio-assistenziale rivolta alle persone con disabilità, per un importo di 3.666 euro ad utente, cui si aggiunge una compartecipazione media delle famiglie pari a 76 euro e del Servizio Sanitario Nazionale di 104 euro. Per l’assistenza domiciliare integrata con i servizi sanitari (ADI), i Comuni hanno speso circa 24,5 milioni di euro, pari a 2.300 euro ad utente con disabilità, cui si aggiunge la quota di compartecipazione delle famiglie e del Servizio Sanitario Nazionale per una media rispettivamente di 48 e 621 euro l’anno.
Per quanto concerne invece i dati sulle strutture residenziali, nel 2013 i posti letto rivolti alle persone con disabilità risultano 32.330, nel 94% dei casi collocati in strutture di tipo comunitario, che non riproducono le condizioni di vita familiari. Nello stesso anno si registrano 49.536 ospiti tra i 18 e i 64 anni con disabilità e patologie psichiatriche e 2.658 minori con disabilità e disturbi mentali dell’età evolutiva.
Non disponiamo di informazioni circa le ragioni dell’istituzionalizzazione, né sulle condizioni di vita e la situazione familiare degli utenti di tali strutture, ma sono senz’altro auspicabili anche per loro percorsi di deistituzionalizzazione e di ritorno nelle comunità di appartenenza. Ed è altrettanto ipotizzabile che una parte degli attuali ospiti possa vivere una condizione di gravità e di assenza del sostegno familiare, incrementando la platea dei potenziali beneficiari individuata dall’ISTAT.