Caro Lone [il “compagno a quattro ruote” di Rosa Mauro, ovvero lo scooter elettrico che l’Autrice ha fatto talora parlare “in prima persona” anche su queste pagine e al quale si era rivolto nel suo precedente racconto di àmbito teatrale, N.d.R.], lo so che non vedi l’ora che finisca di parlarti della mia esperienza nel teatro… e a dire il vero, avevo voglia di parlartene anch’io.
Ormai sei tornato alle tue gloriose passeggiate, e il tuo umore è migliorato, anche se ultimamente le piogge l’hanno un po’ minato. Le piogge sono fatte apposta per innervosire me e te, perché sono un po’ come la kriptonite con Superman: neutralizzano la nostra capacità di muoverci liberamente…
Ma per tornare al punto, eccomi a descriverti il vero acme di un’esperienza teatrale: la prova generale. Ho aspettato appositamente per parlartene: e davvero meritava l’attesa.
Le prove generali vengono, ma non solo per me, accompagnate da un’acme di qualcosa di non piacevole, ma inevitabile, che accompagna la seconda parte di un corso di teatro: l’ansia da palcoscenico. Da quando si inizia a provare, a quando si cominciano a vedere i giorni del calendario scorrere velocemente, troppo velocemente, essa comincia inevitabilmente a salire. E poi arriva quel giorno, che dimostra come il tempo sia vicino e devi fare quello che, in fondo, temi di più: spogliarti!
Sì, Lone, perché la caratteristica principale delle prove, e poi dello spettacolo, non è il costume, ma è proprio la fase precedente, quella in cui devi spogliarti per metterlo.
Mettersi a nudo non è qualcosa di collegato al vestirti, ma al proteggerti, al darti un’identità. Sai, Lone, c’è qualcosa nel momento in cui ti cambi, insieme con gli altri, che è comune a tutti: la sensazione che, con i vestiti, cadano anche le nostre barriere come persone.
Esperienza piacevole? Mentirei se ti dicessi che lo è nella sua fase iniziale. La prima cosa che pensi, quando sei lì dietro e ti infili il costume, anche se lo hai scelto, te lo sei preparato e perfezionato insieme al regista, è che stai perdendo le tue ancore di sicurezza. Il vestire ti dona un ruolo che in fondo ti sei scelto tu: spogliarsi significa perderlo. Ma poi, con il vestito, cambia anche altro: insieme ad esso cadono quelle barriere tra individui che, anche se non ce ne accorgiamo, ci condizionano nel rapporto con gli altri. Perdendo il tuo vestito perdi te stesso e sei costretto a ritrovarti negli altri, e gli altri in te.
E allora, caro Lone, accade davvero quel miracolo che nella vita comune accade così di rado, bardati come siamo dai vestiti che ostentiamo, e dai nostri titoli che quasi si appiccicano ad essi: per la durata della prova generale e – ciò che io spero – dello spettacolo, la comunicazione tra le persone è davvero comunicazione.
Non c’è differenza tra chi ha una cosa e un’altra, se hai 20 anni, 30 o più, se hai le gambe o se hai le ruote… Perché ognuno comunica realmente con l’altro, e ogni realtà umana che incontri ti sembra bellissima, perché è vera. Ansie, insicurezze, paure, ma anche ciò che c’è di bello, sensualità, carisma, generosità. Le emozioni e le identità di ogni singolo individuo, così come le tue, non possono venire coperte dai vestiti di scena, perché essi non ci appartengono. Le maschere non nascondono l’uomo come i suoi vestiti abituali, come la sua vita abituale.
Io non ho davanti la mia maschera preferita, quella della tastiera e del PC, o dell’iPad Mini, come in questo momento, ma non ce l’hanno nemmeno i miei compagni scena, Paola, Andrea, Maria Felicia, Emanuela, Federica, Livia, Rosella, Andrea 2… Nessuno, insomma, ha le loro, e così ci si aiuta l’un l’altro e, soprattutto, l’un l’altro ci si vede, ed è straordinario.
Vedersi fa sparire le differenze, emergere le somiglianze, e questa magia fa dimenticare anche gli errori, la stanchezza. Non che di errori ne facciamo molti, Lone, noi siamo perfetti! Lo sai che non ti racconterei mai palle!…
E in mezzo a tutto questo, il regista, Emanuele, il maestro, è colui che guida nello smarrimento, il capo che emerge nel fiume in cui ci si è tuffati. Non ti può venire il dubbio che lui non sappia nuotare, devi credergli se ti dice che il fiume è meno duro di quanto lo credi tu. Ed è tanto più apprezzabile perché la tua parte razionale capisce che anche questa è una recita, che un regista è cosciente anche più di te di quanto fragile sia il gioco e il suo meccanismo. Ma tu senti la sua emozione positiva, la sua attitudine serena e ti dici, certo, tutto verrà alla perfezione, e anche se non fosse così, andrà bene uguale.
E soprattutto ti ricorda che è un gioco, quella magia, che finirà, e il mondo tornerà con il senso di sempre. Ed è vero, ma per questo meraviglioso momento, il mondo ha le regole rovesciate che tu hai sempre desiderato, quelle che fanno emergere la nostra somiglianza con l’imprevedibile mondo naturale, dove tutto e niente può succedere a chi vi cammina sopra.
E poi, il 21 maggio alle 21, al Teatro Aurelio di Roma, il sipario si alzerà e sarà ora di trasmettere la magia a qualcun altro. Siete pronti? Tutti in scena!