In questi ultimi mesi si sono avuti una serie di confronti a vari livelli attorno all’impiego del Fondo per le Non Autosufficienze, ultimo dei quali, in ordine di tempo, quello del 18 maggio scorso con le Federazioni che raggruppano la stragrande maggioranza delle Associazioni di Persone con Disabilità e delle loro Famiglie (FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e FAND– Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità), il Comitato 16 Novembre (Associazione Malati SLA e Malattie Altamente Invalidanti) e le rappresentanze sindacali.
Va precisato subito, però, che non si tratta del consueto Decreto di Riparto che suddivide il Fondo per criteri e ne attribuisce le quote alle Regioni. Ci sono infatti degli evidenti segnali di cambiamento, almeno negli intenti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. E tali intenzioni derivano soprattutto dal fatto che – dopo le ultime due leggi di Stabilità – il Fondo ha assunto una propria strutturalità. Dal 2016, infatti, esso si avvale di una dotazione finanziaria di 400 milioni, considerati limitati, da parte di molti, rispetto ai potenziali destinatari, ma che almeno sono stati stabilizzati.
Non è isolata, in tal senso, la voce del Comitato 16 Novembre su questo aspetto: «Abbiamo chiesto prima di ogni altra cosa – dichiara infatti in una nota la vicepresidente del Comitato Mariangela Lamanna – l’impegno ad aumentare il Fondo per le Non Autosufficienze almeno di 200 milioni per il 2017 e a crescere negli anni a venire». Le fa eco il presidente della FISH Vincenzo Falabella, secondo il quale «per garantire effettivamente i diritti soggettivi, è necessario investire di più sia a livello centrale che negli interventi regionali, altrimenti le prospettive rischiano di rimanere sulla carta».
E tuttavia questa svolta può timidamente spingere nella direzione originaria del Fondo: definire cioè – finalmente – Livelli Essenziali delle Prestazioni per le persone non autosufficienti e ipotizzare la costruzione di un vero e proprio Piano per le Non Autosufficienze. Tradotto: i livelli essenziali devono garantire diritti soggettivi.
Su un altro aspetto della questione, da più parti, negli ultimi anni, si è stigmatizzata, non a torto, la disomogeneità territoriale, la frammentarietà, la differenza fra le Regioni con un welfare avanzato e quelle estremamente fragili. Per queste ultime, le destinazioni del Fondo erano le uniche effettivamente destinate alle disabilità più gravi o sbrigativamente ritenute tali. Commenta infatti Falabella: «Il Fondo non è riuscito a imprimere il cambiamento e la strutturazione omogenea delle politiche per le non autosufficienze e per le gravi disabilità che ci si sarebbe dovuto attendere. Ci auguriamo, quindi, che gli intenti espressi dal Ministero trovino condivisione attiva e piena da parte delle Regioni e che si vada verso la fine di una disparità territoriale ormai insopportabile».
L’obiettivo espressamente dichiarato dal Ministero – e almeno idealmente condiviso per ora dalle Regioni – è che a valere sulle risorse del Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze, alle medesime condizioni della persona con disabilità non possano che corrispondere i medesimi diritti, indipendentemente dalla Regione di residenza. Se differenziazioni ci saranno, dovranno chiaramente essere individuabili per l’uso aggiuntivo di fondi regionali.
In questa direzione, il percorso individuato dalla bozza di Decreto prevede una gradualità che parte da una più precisa definizione – da subito – dei cosiddetti “gravissimi” e a una successiva identificazione delle “gravi disabilità”. L’indirizzo è quello di avviare anche un percorso di definizione delle disabilità gravi adottando una nozione di persona «con necessità di sostegno intensivo» (More Intense Support), in coerenza con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, il tutto per giungere a una graduale estensione di benefìci differenziati rispetto al bisogno. Differenziati e certi: quindi ancora LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).
Il percorso, però, non è semplice. Infatti, la definizione di “disabilità gravissime” ad oggi adottata è: «Persone in condizione di dipendenza vitale che necessitano a domicilio di assistenza continuativa e monitoraggio di carattere sociosanitario nelle 24 ore, per bisogni complessi derivanti dalle gravi condizioni psicofisiche, con la compromissione delle funzioni respiratorie, nutrizionali, dello stato di coscienza, privi di autonomia motoria e/o comunque bisognosi di assistenza vigile da parte di terza persona per garantirne l’integrità psico-fisica». Una definizione, questa, che non restituisce un’identificazione certa dei beneficiari. In tal senso, lo schema di Decreto per il futuro Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze individua alcuni gruppi di condizioni (dalla dipendenza da ventilatore, alle lesioni spinali gravi, alle disabilità intellettive profonde, alla sordocecità e altre), indicando per ognuna di esse le relative scale di valutazione e la soglia minima di riferimento. Un tentativo, quindi, di rendere più omogenea e trasparente la valutazione iniziale.
Resta, come detto, il tema dell’individuazione della “gravita”, cui comunque il decreto riserverebbe il 50% del Fondo.
Ma a quali interventi è vincolato il Fondo? Il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, diretta o indiretta, inclusi ricoveri di sollievo, solo se complementari al percorso domiciliare.
Sono previste anche forme di assistenza indiretta, con conseguenti trasferimenti monetari condizionati all’acquisto di servizi di cura e assistenza domiciliari, non escludendo la possibilità di riconoscere l’assistenza prestata dal caregiver familiare sulla base di un piano personalizzato. «Abbiamo chiesto il riconoscimento della figura del caregiver familiare che impiega la sua vita come assistente del proprio caro ammalato e che non è tutelato da nessun punto di vista, economico, giuridico , sociale», puntualizza a tal proposito il Comitato 16 Novembre.
Il Ministero, oltre a trasferire alle Regioni le quote di competenza del Fondo, ipotizza quindi alcuni ulteriori passaggi.
Questo 2016 dovrebbe essere impiegato per identificare al meglio le persone con disabilità gravissime in tutte le Regioni e per acquisire i relativi dati. Sempre quest’anno dovrebbero essere avviati i lavori per la definizione di persone con necessità di sostegno intensivo, differenziate per livelli di dipendenza. «I dati e il monitoraggio puntuale! – insiste Falabella -: si tratta di una lacuna che si ripropone in più àmbiti e non solo in questo. Infatti, senza dati compiuti, omogenei e accessibili, è impossibile avere contezza della qualità degli interventi e delle condizioni di vita delle persone con disabilità».
«Abbiamo chiesto che le Regioni rendicontino, entro la fine del 2016, il numero di persone in stato di bisogno che sono state oggetto di interventi sociali – incalza il Comitato 16 Novembre – in maniera tale da avere un quadro almeno approssimativo della mole di interventi e negli anni successivi distribuire il Fondo sui numeri già presenti».
Dal 2017, poi, sulla scorta anche della raccolta dei dati e delle elaborazioni condotte quest’anno, dovrebbero essere definiti i primi Livelli Essenziali per le persone con disabilità gravissima, con le risorse del Fondo eventualmente integrate con compartecipazione regionale.
Ulteriore sfida: definire gli strumenti di valutazione funzionale per la classificazione di almeno tre livelli di disabilità differenziati sulla base delle necessità di sostegno intensivo e di altre caratteristiche di bisogno. Su questa scorta si dovrebbe giungere all’identificazione delle persone con disabilità gravi in tutte le Regioni, per livello di gravità.
E dal 2018, finalmente, si dovrebbe definire un percorso graduale di Livelli Essenziali per tutte le persone con disabilità gravi e gravissime sulla base dei dati raccolti. Livelli che dovrebbero essere sostenuti dalle risorse disponibili (nazionali e regionali, anche oltre il Fondo Nazionale) e identificando le priorità sulla base delle maggiori necessità di sostegno intensivo.
Per completezza, lo schema di Decreto – sul quale dovranno esprimere un parere definitivo le Regioni – conferma anche la sperimentazione sui progetti di Vita Indipendente cui riserva un totale di 15 milioni per il 2016. Il testo assume a riferimento il Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità (Decreto del Presidente della Repubblica-DPR del 4 ottobre 2013) e segnatamente la linea di attività numero 3 dello stesso (Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società).
Le risorse dovrebbero essere «volte a potenziare i progetti riguardanti misure atte a rendere effettivamente indipendente la vita delle persone con disabilità grave, come previsto dalle disposizioni di cui alla legge 21 maggio 1998, n. 162».
«Crediamo – commenta il Presidente della FISH – che sia ora di uscire dalla sperimentazione. Non riteniamo infatti che si possano costruire progetti di vita sulla sperimentazione e visto che la Legge 162/98 esiste ormai da quasi vent’anni, è ora di giungere anche su questo a diritti soggettivi certi ed esigibili».
La palla, dunque, passa ora nuovamente alla Conferenza Stato-Regioni. (Carlo Giacobini)