Il dottor Stefano Vicari, primario di Neuropsichiatria Infantile all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, mi invita a vedere Alice, uno spettacolo teatrale in cui recita un gruppo di giovani pazienti con disagio mentale, tra cui – mi dice – anche alcune ragazze anoressiche.
Arrivo in ritardo al Teatro Vascello [di Roma, N.d.R.]. Lo spettacolo è iniziato, non sono riuscito a informarmi su cosa sto per vedere. Posti a sedere non ce ne sono più, trovo un buco in piedi, appoggiato alla parete, spengo il telefonino e comincio ad assistere a ciò che avviene sul palco.
Per un’ora e mezzo vivo un crescendo di emozioni. Dalla sensazione iniziale di straniamento, quasi di disagio, alle prime risate, fino alla commozione finale, in mezzo agli inchini e agli scroscianti applausi di un pubblico molto coinvolto, che ad occhio mi sembra essere composto soprattutto da parenti, amici e amici degli amici.
A spettacolo finito, però, di ciò a cui ho assistito continuo a sapere ben poco. Ho capito che è stato messo in scena un mix di due opere di Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio, e che la rappresentazione teatrale è il prodotto finale di un progetto che utilizza il teatro come strumento terapeutico per ragazzi con gravi disturbi psichici.
Mi viene in aiuto un libro, offerto all’uscita in cambio di una donazione. Il titolo – del testo e di tutto il progetto – è Mi fanno male i capelli, una frase tratta da un verso della poetessa Amelia Rosselli, che Michelangelo Antonioni mise in bocca a Monica Vitti nel film Deserto rosso, vincitore del Leone d’Oro di Venezia nel 1964. Parole che indicano un disagio indefinibile, di origine oscura, in una delle prime pellicole a trattare il tema del disorientamento psichico di persone apparentemente normali.
Poi scopro che l’Associazione promotrice si chiama Amici dei Bimbi e che nasce nel 2005 da un episodio drammatico. Il portiere dello stabile in cui lavorano alcuni dei soci fondatori in un raptus di gelosia uccide la moglie davanti ai figli piccoli, di cui uno malato. Il sostegno (economico e psicologico) ai ragazzi scatta immediato. Da lì l’idea di allargare l’attività anche ad altri bambini, che coinvolge ulteriori soggetti: la Fondazione Frisiani Santini, l’Associazione Culturale Ideando e lo Studio Legale Improda. È di due anni fa, poi, l’incontro con il Reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e infine quello con Dynamis, un gruppo di ricerca artistica, che organizza per tutto l’anno laboratori teatrali con adolescenti.
Sul palco del Teatro Vascello, ad interpretare Alice, gli attori erano per metà pazienti del Bambino Gesù, per metà giovani dei laboratori di Dynamis.
Teatro come terapia, quindi, per adolescenti i cui disturbi appartengono alla famiglia delle dismorfofobie (non accettazione del proprio corpo), malattie che, secondo una recente ricerca statunitense, colpiscono addirittura il 78 per cento dei ragazzi intorno ai 17 anni di età.
Teatro come riappropriazione del corpo, dello spazio e del tempo. Come l’Alice di Carroll, che nel Paese delle Meraviglie impara a confrontarsi con il mondo, a sentirsi “matta tra i matti”, ad accettare e ad amare il suo corpo, anche quando cambia, quando si contrae e quando si allarga. Da vedere! (Alice sarà ancora in scena al Teatro India di Roma, il 4 giugno prossimo).
Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Sul palco, per imparare a piacersi”) e qui ripreso, per gentile concessione, con minimi riadattamenti al diverso contenitore.
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