Il 22 giugno scorso è stato presentato a Roma, presso il Ministero della Salute, lo Studio sulla popolazione di persone con disabilità sensoriali e plurime in condizioni di gravità, curato da Alessandro Solipaca e Carlo Ricci e commissionato all’ISTAT dalla Lega del Filo d’Oro [se ne legga già anche nel nostro giornale, N.d.R.].
La ricerca costituisce un approfondimento sul tema delle disabilità sensoriali e plurime, che usa come fonti statistiche l’indagine ISTAT sulle condizioni di salute della popolazione (anno 2013) e quella sull’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado (anno scolastico 2014-2015).
In Italia, dunque, la sordocecità riguarda 189.000 persone (pari allo 0,3% della popolazione), di cui l’87,9% ha 65 anni o più. Si tratta di disabilità plurime che spesso associano alle minorazioni sensoriali anche minorazioni di tipo motorio (51,7%), mentale (40,1%), psichico e comportamentale (32,5%). In particolare, nel 36% dei casi le persone hanno una concomitanza delle minorazioni sensoriali legate alla vista e all’udito, mentre nel 64% dei casi dichiarano di avere oltre alle minorazioni plurisensoriali anche altre invalidità (una o più).
Riguardo alle limitazioni funzionali riferite, il 70,9% evidenzia difficoltà nelle attività della vita quotidiana, il 57,1% è costretto a rimanere sempre in casa (confinamento) e il 30,1% ha difficoltà di movimento.
Rispetto alla partecipazione delle persone sordocieche ai diversi àmbiti di vita, l’analisi rileva che risulta molto contenuta la quota di persone con titolo di studio universitario e postuniversitario, pari al 2,4%, mentre l’89,9% ha frequentato solo la scuola media inferiore.
Il 66,7% delle persone sordocieche di 15-64 anni dichiara di avere difficoltà ad accedere al lavoro retribuito desiderato, a fronte del 37,5% delle persone senza disabilità sensoriali. Ma quali interventi potrebbero facilitare il superamento degli ostacoli? Gli intervistati indicano come necessari, nel 58,1% dei casi, i servizi pubblici per l’autonomia (trasporto, progetti formativi personalizzati, adattamento dei luoghi di lavoro), nel 56% il supporto di una persona e nel 44,4% gli ausili (telefono o computer adattati, sintetizzatore vocale ecc.).
La popolazione sordocieca di 15 anni e più incontra significative difficoltà di mobilità e accessibilità. L’88,3% trova ad esempio ostacoli nell’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici, l’85 incontra difficoltà di accesso agli edifici e l’86,7% segnala problemi a uscire di casa (contro, rispettivamente, il 42,7%, il 10,7% e il 14,9% riscontrato nella popolazione senza disabilità sensoriali).
Il tipo di aiuto che viene ritenuto necessario per l’utilizzo dei trasporti pubblici è rappresentato soprattutto dagli ausili (rampe di accesso per autobus, mezzi con spazi adeguati per la sedia a rotelle, annunci vocali di fermata e di numero di linea ecc.), indicati dal 28,9% degli intervistati. Seguono i servizi pubblici per l’autonomia della persona (28,3%), che vengono anche segnalati da circa un quarto della popolazione sordocieca come gli elementi di facilitazione necessari sia per l’accesso agli edifici che per uscire di casa.
Per quanto poi concerne la vita di relazione e il tempo libero, circa due terzi delle persone sordocieche sopra i 14 anni (66,5%) dichiarano difficoltà ad incontrare amici e/o parenti, il 78,7% ad occuparsi dei propri interessi o hobby oppure a partecipare ad eventi culturali e il 93,1% ad utilizzare internet. Gli aiuti ritenuti maggiormente necessari per abbattere le barriere alla partecipazione culturale sono individuati nei servizi pubblici per l’autonomia della persona (26,9%).
La complessità della condizione di disabilità plurisensoriale – come dichiarato nello stesso studio – va al di là delle capacità della statistica di documentarla nel dettaglio. Sordocecità, minorazioni plurisensoriali o psicosensoriali sono, infatti, situazioni estremamente complesse, che spesso vengono liquidate come mera sommatoria di limitazioni funzionali. Tale compresenza lascia invece intuire come l’esito non sia meramente una sommatoria di limitazioni, ma forse una loro moltiplicazione, che certamente produce conseguenze negative sulle attività, con un peso specifico assai più significativo di ostacoli e barriere alla partecipazione.
Da questa ricerca, quindi, giungono informazioni e dati significativi, ma emergono altrettanti interrogativi, suggerendo nuovi filoni di studio e di approfondimento, che permetterebbero di descrivere più nel dettaglio le effettive condizioni di vita delle persone con minorazioni plurisensoriali.
I dati rivelano che circa 108.000 persone sordocieche sono di fatto confinate in casa. Ma cosa comporta questo per una famiglia? In altre parole, a margine di tale studio occorrerebbe interrogarsi su quali siano i costi sociali che una famiglia con una persona con disabilità sostiene. Costi che probabilmente vanno a moltiplicarsi nel caso di una pluriminorazione. E quando si parla di “costi sociali”, non ci si riferisce solo ai costi economici diretti, ma anche e soprattutto ai costi indiretti, in termini di impatto sulla salute dei caregiver [assistenti di cura, N.d.R.], di mancata valorizzazione del lavoro di cura, di rinuncia all’occupazione, di solitudine e isolamento. Fenomeno, questo, che investe soprattutto le donne, le madri, le figlie, tutte persone che – se lasciate sole – entreranno a loro volta nel circuito sanitario e assistenziale, proprio per le ricadute sulla salute psicofisica del caregiver e per le conseguenze di un suo mancato ingresso nel mondo del lavoro, di una rinuncia all’occupazione o di una riduzione dell’orario prestato, e quindi di una mancata copertura previdenziale.
Pure di fondamentale importanza è conoscere le differenze territoriali nel sistema dei servizi e degli interventi – descrivendo l’effettiva capacità di rispondere alle persone e alle famiglie, anche in termini di costruzione di Livelli Essenziali di Assistenza adeguati e uniformi su tutto il territorio nazionale – ed è cruciale capire l’effetto di tali differenze sulla vita delle famiglie, costrette a spostarsi da un territorio all’altro, cui viene negato il diritto a interventi prossimali, tempestivi e personalizzati, mirati ad accrescere la qualità della vita della persona, la sua possibilità di relazionarsi, di acquisire il massimo di autonomia possibile.
Rispetto al mondo della scuola, gli alunni con disabilità sensoriali sono 9.855, di cui 1.298 nella scuola dell’infanzia, 3.258 nella scuola primaria, 2.239 nella scuola secondaria di primo grado, 3.060 nella scuola secondaria di secondo grado.
Il tentativo compiuto dall’ISTAT in questo àmbito è stato quello di andare oltre la mera quantificazione degli alunni certificati, per indagare la sfera delle attività (apprendimento, svolgimento di compiti generali, mobilità, comunicazione, cura della persona, interazione e tempo libero). In questo modo si è raggiunta una descrizione sicuramente importante, ma non esaustiva, del fenomeno. Il passo successivo, fondamentale, è quello di esplorare ancora più efficacemente quali siano gli ostacoli e le barriere alla partecipazione, quali i fattori ambientali e gli elementi di facilitazione che potrebbero essere introdotti o potenziati per favorire l’inclusione.
Sarebbe opportuno sapere, ad esempio, quanto siano diffuse e come siano territorialmente distribuite tra gli insegnanti di sostegno le competenze necessarie per fornire un supporto didattico e di socializzazione appropriato a una classe con un alunno sordocieco o con una disabilità psicosensoriale. Quanto siano patrimonio degli insegnanti di sostegno e del personale assistente metodi di comunicazione alternativi, che permettano di contrastare l’isolamento e favorire la partecipazione alla vita della classe. Quanto si costruiscano reti operanti sui territori in collaborazione con la famiglia e con altri specialisti, che traggano indicazioni dai soggetti e dalle esperienze maturate nel tempo. E ancora, quale ricorso vi sia alla tecnologia e alle potenzialità ad essa connesse. E, infine, quanto gli insegnanti di sostegno e gli assistenti alla comunicazione possano contare sul supporto di riferimenti specialistici diffusi sul territorio.
Nell’impostazione delle ricerche, e poi delle politiche e dei servizi, occorre quindi andare oltre la mera quantificazione del fenomeno, pur necessaria in un’ottica anche di programmazione delle risorse, per indagare la sua complessità e per poter poi disegnare un sistema di risposte appropriate, che intervengano sulla rimozione degli ostacoli e delle barriere esistenti, che individuino i facilitatori, che siano capaci di garantire Livelli Essenziali di Assistenza uniformi su tutto il territorio nazionale, che si fondino sulla progettazione personale.
È necessario, in altre parole, indagare le condizioni di vita delle persone con disabilità e delle famiglie e programmare e valutare l’impatto delle politiche e dei servizi sulla loro qualità della vita. Aspetti che, come detto, potrebbero essere oggetto di ulteriori studi e ricerche.