Nel maggio scorso, in occasione dell’undicesima Giornata Nazionale del Malato Oncologico, è stato presentato l’8° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici. I dati diffusi nella pubblicazione – elaborata annualmente dall’Osservatorio Permanente sulla Condizione Assistenziale dei Malati Oncologici – mettono in luce come le nuove terapie farmacologiche e le diagnosi sempre più precoci abbiano “cambiato i numeri” delle patologie oncologiche. Infatti, pur dovendo registrare un aumento dell’incidenza di tutte le forme tumorali, si assiste contemporaneamente a un incremento degli anni di sopravvivenza dopo la diagnosi.
Nel dettaglio, secondo i dati dell’AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), il 27% degli italiani colpiti da tumore può essere definito “già guarito” e il 60% ha avuto la diagnosi da più di cinque anni. Tra il 2010 e il 2015 in Italia i pazienti oncologici in carico al Sistema Sanitario Nazionale sono cresciuti di oltre 400.000 unità, per un totale nel 2015, stimato sempre dall’AIRTUM, di 3 milioni di persone, con un tasso di crescita medio del 3% annuo.
Il Rapporto sottolinea poi come la guarigione non significhi solo aver vinto la personale battaglia contro la malattia, ma voglia dire recuperare le condizioni di benessere fisico, psichico e sociale della persona. L’efficacia degli interventi, infatti, non può essere misurata soltanto rispetto alla fase acuta legata all’ospedalizzazione del paziente, ma dev’essere valutata in relazione all’impatto complessivo sulla qualità della vita della persona, dagli aspetti familiari a quelli sociali e lavorativi.
Nessuna terapia può quindi essere definita realmente innovativa, se non fa proprio tale criterio di valutazione, ossia l’impatto sulla qualità della vita delle persone e delle famiglie.
Il documento evidenzia per altro come le ragioni di questo nuovo orientamento complessivo non siano soltanto etico-sociali, ma anche economiche. Un’azione non coordinata, settoriale e focalizzata sull’acuzie produce infatti una spesa inefficace e costi sociosanitari insostenibili da parte delle persone e dei loro familiari.
Un recente studio realizzato dall’IRST (Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori) ha stimato che in Emilia Romagna il costo oncologico sia pari ad almeno il 16% del costo sanitario complessivo, vale a dire più di 300 euro pro capite su circa 1.900 di costo sanitario pubblico per cittadino residente.
Il tasso di crescita della spesa oncologica complessiva è calcolato di poco inferiore a un +10% annuo, un andamento sicuramente non compatibile con le dinamiche di finanza pubblica. Inoltre, tale studio ha rilevato una significativa disomogeneità nei percorsi diagnostico-terapeutici e nella spesa oncologica in àmbiti territoriali anche limitrofi.
Sul versante delle persone e delle famiglie, un recente monitoraggio, condotto dal Forum per la Ricerca Biomedica del CENSIS, ha rilevato che oltre il 70% dei caregiver [assistenti di cura, N.d.R.] lamentano la presenza di disparità a livello territoriale e di vincoli economici alla messa a disposizione delle cure innovative. In particolare, il 35,2% dei pazienti reputa insufficiente la disponibilità di farmaci garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale, il 78,8% ritiene che «troppi farmaci per patologie gravi siano a carico dei pazienti» e l’83% che il ticket penalizzi le persone malate.
Ne conseguono elevati costi sociali ed economici, sia per la persona che per la sua famiglia. Gli studi effettuati al proposito, da CENSIS e FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), stimano il costo sociale totale del tumore pari a 36,4 miliardi di euro annui e i costi pro capite per singolo paziente e relativo caregiver, convivente e non convivente, pari a 41.200 euro all’anno.
Lo strumento prioritario per far fronte alle sfide poste dalla “cronicizzazione del cancro” viene individuato nella Rete Oncologica, «l’unico sistema – si legge nel Rapporto – che può garantire da un lato una presa in carico globale e continua del malato, dall’altro il governo del suo percorso diagnostico e terapeutico».
In un sistema organizzato in rete, il percorso di presa in carico della persona viene governato dall’ospedale al domicilio, attivando e coordinando tutti i diversi attori in base alle specifiche competenze. Questi princìpi, evidenzia il Rapporto, hanno ispirato ad esempio la Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta. Essa, infatti, ha assunto come proprio obiettivo l’erogazione integrata di tutte le prestazioni, da quelle specificatamente sanitarie a quelle più generali di supporto alla persona e alla famiglia. E a tale scopo è stata attivata, insieme alla rete dei professionisti oncologi di tutte le specialità mediche e chirurgiche, anche la rete degli psico-oncologi e quella degli assistenti sociali (esperienza finora unica in Italia).
Ebbene, i risultati ottenuti in questi anni – ci dice il Rapporto – hanno concretamente dimostrato che, attraverso la continuità della presa in carico, è possibile raggiungere migliori risultati, sia in termini di riduzione e/o remissione delle patologie, che di migliore qualità della vita. Inoltre, tale integrazione può consentire una significativa riduzione della spesa sanitaria (ricoveri impropri, eccesso di terapie, esami inutili, accanimento ecc.) e permette di fronteggiare gli aspetti sociali che sempre accompagnano quelli sanitari.