«L’handicap non deve essere una sorta di aureola automatica». Questa frase si legge in Non solo handicap. Un’operazione culturale che attraversa e va oltre il racconto, primo libro di Giorgio Terrucidoro (edito per i tipi di italic & pequod), e da sola riassume meglio di tanti discorsi la nuova cultura della relazionalità senza barriere che l’Autore vorrebbe costruire.
Giorgio stesso conferma di avere pensato al libro come a uno strumento di riflessione sulle tematiche che toccano la vita delle persone con disabilità, viste spesso come se la loro condizione fisica e medica fosse l’unica dimensione che le riguarda. Obiettivo riuscito, perché alla fine delle centoventi pagine, ogni Lettore impara qualcosa sul mondo che lo circonda e anche su se stesso, sul suo atteggiamento nei confronti della vita.
Il valore aggiunto di quest’opera sta nello smontare preconcetti radicati, partendo dal racconto della storia personale di Terrucidoro, dall’infanzia in una famiglia che lo ha sempre considerato e trattato come un “bambino che cammina”, alla scuola e fino all’ingresso nel mondo del lavoro, con difficoltà superate grazie al modo di relazionarsi schietto e semplice del protagonista.
Anche nelle parti più apparentemente “polemiche”, quando ad esempio parla del senso di solitudine patito durante gli studi per diventare sacerdote, Giorgio pone l’accento sulla necessità di un confronto alla pari. Chiede espressamente di entrare in seminario e non si accontenta della risposta del Vescovo («Non sei spiritualmente idoneo per il sacerdozio»), domanda con legittima insistenza e ottiene una spiegazione ragionevole e motivata, per quanto dolorosa da accettare.
In àmbito lavorativo, non sentendosi valorizzato per le sue capacità, ma soltanto “parcheggiato”, chiede il trasferimento in un altro ufficio, non prima di un chiarimento. Verità prima di tutto, perché troppo spesso si tende a proteggere la persona disabile dalla realtà, facendola vivere in una sorta di “limbo”.
Di primo acchito si potrebbe pensare che Non solo handicap sia un libro scritto per insegnare ai cosiddetti “normodotati” un corretto approccio alla disabilità, un po’ come quel vademecum che girava tempo fa su internet, intitolato 10 cose da evitare quando incontri una persona con disabilità. Ma anche i disabili hanno molto da apprendere, e Giorgio non gliele manda certo a dire. Invita ad esempio a reagire con educata fermezza quando si sentono quelle tipiche frasi del tipo «povero ragazzo, è stato sfortunato perché sta su una sedia a rotelle»; occorre mostrare la propria diversa normalità per arginare la commiserazione. «Non capisco perché le persone nel loro modo di relazionarsi con me lo fanno come se fossi un minorato mentale», dice.
Lungi dal porsi come esempio per tutti, intervalla spesso i suoi ragionamenti con un garbato «a mio parere», ma è convinto quando consiglia di non accontentarsi di rapporti basati sul “falso buonismo”, soltanto perché è complicato lavorare per far valere il proprio diritto di essere persone complete.
Nascondersi dietro l’handicap, rassegnarsi a un’accettazione passiva, oppure arroccarsi sul deficit con una presunta pretesa di intoccabilità, è sempre uno sbaglio. Giorgio parla di meritocrazia associata alla disabilità, due tematiche raramente messe in relazione, che per lui sono imprescindibili. Dimostrare le proprie qualità e impegnarsi per migliorare, domandare agli altri di essere corretti quando si cade in errore, così come non pretendere scorciatoie, è segno di maturità e consapevolezza.
Un conto è far valere un diritto sacrosanto, un altro è esigere vantaggi a tutti i costi. E a volte è proprio la corsia preferenziale a far emergere la “diversità” e a creare una ragione discriminante. Proclamare solamente attenzioni conduce a derive di pietismo personale e sociale che, da un lato, attivano meccanismi di imbarazzo verso la “diversità”, dall’altro possono innescare un certo “fastidio” nei confronti di categorie di cittadini percepite come un “peso” per la collettività: «La dignità del disabile non viene lesa soltanto dalla mancata corresponsione di un assegno pensionistico o dalla mancata assegnazione gratuita di un ausilio per la disabilità, ma anche dal vivere dinamiche relazionali ingiuste». I disabili stessi, quindi, devono essere artefici di un cambiamento culturale che veda oltre le apparenze e non prenda come modello universale la “normalità” posseduta dalla maggioranza.
Con Non solo handicap, Giorgio Terrucidoro ci insegna il rispetto delle differenze, ma soprattutto con gli aneddoti della sua vita – nella quale molte persone con disabilità potranno identificarsi – spiega che ognuno è un individuo con una propria identità e caratteristiche personali, poco importano la sedia a rotelle (che lui chiama «sediola»), le stampelle, la protesi, il bastone o ogni altro genere di ausilio.
«È necessario pensare il disabile come una persona completa capace cioè di amare, soffrire, sbagliare, esporre e difendere le proprie idee operando scelte concrete», questo è l’auspicio dell’Autore. E un buon modo per iniziare è immergersi nella lettura della sua opera prima.
Ah, quasi dimenticavo! Come avrete capito, Giorgio Terrucidoro è una persona con disabilità. Classe 1974, nativo di Recanati (Macerata) e orgoglioso di essere concittadino di Giacomo Leopardi e Beniamino Gigli, nel 2001 ha conseguito il Magistero in Scienze Religiose. Attualmente lavora presso l’Ufficio Cultura Turismo Eventi della sua città.
Dopo avere letto il suo libro, tra le altre cose, avrete volato insieme a lui sul piccolo aereo di papà, assistito al suo capitombolo con una bicicletta adattata, ascoltato i suoi discorsi sulle ragazze insieme ai compagni delle scuole superiori, lo avrete accompagnato al concerto di Eros Ramazzotti e alle partite della Juventus. Insomma, senza rendervene conto, avrete capito che la disabilità è soltanto una delle sue dimensioni, e neanche la più importante!
Giorgio Terrucidoro, Non solo handicap. Un’operazione culturale che attraversa e va oltre il racconto, Ancona, italic & pequod, 2016.
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