Per un mondo dei diritti per tutti

di Francesco (Franco) Colizzi*
«L’oggetto della fratellanza - scrive Francesco (Franco) Colizzi - è il valore dei valori, cioè il valore vivente che è la persona, ogni persona. Lo si scopre come una folgorazione nelle vicende estreme di antifraternità, come la guerra, le politiche eliminazioniste, il terrorismo». E con una trattazione di alto profilo che parte “da molto lontano” e che ben volentieri presentiamo ai Lettori in un’epoca cupa come quella attuale, racconta perché «occorre fare molto spazio all’educazione alla fratellanza, meta irrinunciabile di ogni essere umano per il compimento della propria vita»
Francesco (Franco) Colizzi
Francesco (Franco) Colizzi, già presidente dell’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau)

L’intervento cui diamo spazio qui di seguito è stato presentato in occasione del XXVI Convegno Internazionale dell’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), dedicato al tema Costruire fratellanza. Per un mondo dei diritti per tutti e una società dell’inclusione, da Francesco (Franco) Colizzi, medico specialista in Psichiatria e psicoterapeuta, già presidente della stessa AIFO.
Quest’ultima organizzazione, lo ricordiamo, è tra i fondatori dell’alleanza strategica RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), insieme a EducAid, DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Si tratta di un contributo di alto profilo, che in tempi cupi come quelli attuali, ci sembra il miglior messaggio possibile da lasciare ai Lettori, prima di concedere a «Superando.it» qualche settimana di pausa. Basti citarne la conclusione: «Assumendo in pieno il compito di costruire fratellanza e unendoci agli altri, in gruppi e collettività operanti per l’ecologia integrale e la giustizia sociale, entriamo consapevolmente in quella rete mondiale di cambiamento che è stata definita come “una moltitudine inarrestabile”. E viviamo la bellezza di contribuire alla gestazione del mondo nuovo». (S.B.)

1. Preludio poetico
«Di che reggimento siete, fratelli?». Così inizia la poesia scritta dal soldato Giuseppe Ungaretti il 15 luglio del 1916 a Mariano del Friuli. Poco importa qui, in verità, il reggimento. È il vocativo “fratelli” ad emergere, come chiarisce nel verso successivo l’autore. «Parola tremante nella notte / Foglia appena nata».
Nel pieno fragore della guerra, attutito dalla notte, sotto il gelo dell’inimicizia e dell’antifraternità, nasce, tremante come una fogliolina, una parola di speranza e di vita. Una parola di verità umana nel buio della menzogna, della volontà di potenza, del male, della morte procurata dall’uomo all’altro uomo. Una parola di consapevolezza, un illuminarsi dell’immenso umano. E così continua Ungaretti: «Nell’aria spasimante / involontaria rivolta / dell’uomo presente alla sua / fragilità».

Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti

No, sembra urlare il soldato poeta, non è la guerra a rendere l’uomo più forte, a ripararlo dalla sua fragile condizione esistenziale. La violenza, anzi, non fa altro che accentuare la fragilità degli uomini, privandoli della loro profonda e intrinseca dignità. La risposta, l’unica risposta possibile, che suona come ribellione rispetto allo stato di cose presente, si trova nella scoperta della fratellanza, non nella coazione a ripetere del mito di Caino ed Abele. E la parola del poeta si stacca dal luogo e dal momento terribile in cui è comparsa, per diventare universale e proporsi a tutti, dovunque, per sempre. “Fratelli”.
La fratellanza, allora, è come la ginestra di Leopardi? Un fiore del deserto, che compare con i suoi solari colori proprio nei luoghi della violenza, del disastro, del terrore mortale? È l’unica vera resistenza alla furia sterminatrice della natura e dell’uomo stesso?
La vicenda ottocentesca dell’infermiera salvifica Florence Nightingale sembra dire proprio questo: le vittime ferite in battaglia non possono essere lasciate morire, invocano sorellanza/fratellanza. E allo stesso modo, anzi con maggior vigore universale, il Ricordo di Solferino di Henry Dunant, il fondatore della Croce Rossa Internazionale, ci mostra come la fratellanza sia ciò che resta di umano, la resistenza dell’umano nel sanguinoso e mortale scontrarsi da nemici. Eppure, questa è una fratellanza riparativa che implora – purtroppo fino ad ora inutilmente – che le violenze non si ripetano mai più. E vien da pensare alla fratellanza postuma invocata da un altro poeta, uno di quelli maledetti, François Villon, nella sua Ballade des pendus. «Fratelli umani, che ancor vivi siete / Non abbiate per noi gelido il cuore […] / Se vi diciam fratelli, non dovete / Averci a sdegno, pur se fummo uccisi / Da giustizia».
Villon, in galera e condannato a morte (anche se poi verrà graziato e la sua vita diventerà leggenda), descrive l’orrido spettacolo della morte inflitta dall’uomo a un altro uomo e invita gli uomini, e tutti i posteri, alla fratellanza e alla misericordia.
Anche Leopardi riconosce che le sofferenze umane, e la stessa ricerca della felicità possibile, richiedono un affratellamento, la costruzione di una «social catena». Ma nell’esergo della Ginestra ci mette in guardia attraverso una citazione dell’Evangelista Giovanni: «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce».
Non ci basta dunque l’orrore sinora vissuto dall’umanità? O la fratellanza è già da tempo in costruzione e dobbiamo imparare a riconoscerla, a coltivarla, a svilupparla ovunque?

2. Volontari per la fraternità
Che cosa intendevano fare, quei volontari e quei missionari comboniani che si riunirono a Bologna, in una fredda giornata del 1961, dopo avere scoperto il messaggio di Raoul Follereau [l’ispiratore dell’AIFO, l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, N.d.R.]? Non erano già persone impegnate, chi alla sequela di Cristo, chi alla ricerca dei più profondi e universali valori umani? Cosa aveva di pressante, di scuotente, di mobilitante l’appello di quel poeta e giornalista visionario?
Non si era ancora spenta la lugubre eco della seconda guerra mondiale e ormai tutti affermavano la necessità di un mondo nuovo, di pace, di diritti, di solidarietà. Non c’erano dubbi. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata il 10 dicembre del 1948, si apriva con il solenne articolo uno: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».

Raoul Follereau
Raoul Follereau

L’appello di Follereau, come quello di tanti altri profeti del nostro tempo, scuoteva e continua a scuotere  non solo le persone indifferenti e torpide, ma anche quelle rasserenate da pensieri di pace e da sentimenti di amore. È come se Follereau ci dicesse che tutte le leggi che proclamano diritti e solidarietà umana si svuotano di senso se manca l’azione. «Amare, agire», ecco il suo semplice ma pungente assillo. Non basta insomma pensarci come esseri umani buoni, amorevoli, fraterni: è un perfido autoinganno se non agiamo. E senza azione perde senso anche definirsi cristiani o buddisti o di destra, centro o sinistra. Se qualcuno grida «c’è la guerra» oppure «c’è la fame» o ancora «c’è gente in cerca di asilo», le belle affermazioni, le dichiarazioni internazionali o i buoni sentimenti non aiuteranno davvero nessuno. E Follereau l’aveva vividamente compreso nel suo primo incontro con i “lebbrosi”.
Alle sue insistenti e quasi ingenue domande su quei brandelli di umanità nella savana, la risposta era stata una inerte e tragica tautologia: «Sono lebbrosi». Per mesi e per anni quella risposta, che escludeva l’azione e dunque la possibilità stessa di amare, aveva sobbollito nella mente di Follereau. Ma come, allora vi sono esseri umani che non nascono liberi ed eguali in dignità e diritti? O che dopo la nascita possono perdere dignità e diritti? È proprio vero che siamo dotati di ragione e di coscienza? E allora non dovremmo agire reciprocamente in spirito di fratellanza?
Chi ha bisogno di noi è il nostro prossimo e chi agisce in spirito di fratellanza si fa prossimo, lo sappiamo da almeno duemila anni. Ecco dov’è lo scandalo per Follereau: Cristo bussa alle nostre porte sotto diverse spoglie e sembra che quasi nessuno lo riconosca. Nei malati di lebbra, del morbo di Hansen, per secoli e secoli non si è riconosciuto il Cristo, anzi nemmeno l’uomo. E così accade ancora per tutti coloro che sono colpiti in vario modo dalle molteplici “lebbre del mondo”.
Follereau chiamava senza mezzi termini, con passione incendiaria di cuori e indignazione verso i «piccoli borghesi dell’eternità», all’amore attivo, alla costruzione concreta della fratellanza. La fratellanza/sorellanza è di per sé relazionale, interdipendente, reciproca, non si può realizzare solo nella mente o nel cuore dell’individuo. Occorre unirsi, variamente associarsi per agire in maniera efficace, continua, trasformativa ed educativa. Stare davanti a un banchetto con un barattolo di miele in mano, allora, ben lungi dall’essere una semplice questua o, più tecnicamente, un’azione di fundraising [“raccolta fondi”, N.d.R.], è un appello incarnato, simbolico e concreto al tempo stesso, a costruire fratellanza, a non accettare di atomizzarsi, di venir separati dagli altri, a resistere al fluire rapidamente dentro un mondo liquido, facile preda dell’antifraternità.

3. Il progetto politico della Modernità
La Rivoluzione Francese ha avuto il grande merito di saper riassumere le sue profonde aspirazioni nella triade valoriale liberté, égalité, fraternité. Ma sappiamo che fin da subito, come in tutte le rivoluzioni, sono comparse rilevanti spaccature tra i suoi sostenitori, sia nell’interpretazione da dare ai termini, sia nell’estensione concreta da ricercare, sia nelle modalità con cui creare quel mondo nuovo.
Nel 1791, nella Parigi rivoluzionaria, una donna straordinaria, Olympe de Gouges, pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, allo scopo di rendere davvero universali i princìpi e i diritti promulgati nel 1789, ma limitati al sesso maschile. Tra l’altro, Olympe affermava solennemente che tra gli scopi primari delle associazioni politiche, il più importante era la «resistenza all’oppressione»: una bellissima idea di politica, del tutto attuale e del tutto disattesa ancor oggi.
La proposta di Olympe venne respinta dalla Convenzione e la polemica con Robespierre che ne seguì si concluse sul patibolo: Olympe fu ghigliottinata il 3 novembre 1793.
Nel 1791 ebbe luogo anche una rivoluzione nella rivoluzione: quella degli schiavi di Haiti. L’isola in cui Cristoforo Colombo aveva stabilito la prima colonia europea nel Nuovo Mondo, Hispaniola, nel suo terzo occidentale era divenuta francese nel 1697 col nome di Saint-Domingue (la parte restante era spagnola). Qui la rivolta anticoloniale, guidata da Toussaint Louverture, resistette agli eserciti inglese e francese e giunse nel 1804 a proclamare la Repubblica di Haiti (il nome precolombiano, che significa “Paese delle montagne”). Ma la prima repubblica nera dell’era moderna, una nazione libera di uomini liberi, venne a lungo osteggiata, per depotenziare il messaggio dei cosiddetti “giacobini neri”.

Olympe de Gouges
Olympe de Gouges pubblicò nel 1791 la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”

E intanto la Rivoluzione Francese era implosa su se stessa. Anatole France ha ben raffigurato alcuni aspetti drammatici della vicenda nel suo romanzo Gli dei hanno sete, dove assistiamo sgomenti all’eterogenesi dei fini e alla trasformazione del buon Evariste Gamelin in carnefice inflessibile e poi egli stesso vittima.
Spento l’incendio rivoluzionario e calato il sipario della Restaurazione, i suoi fermenti si sparsero però ovunque, con una grande varietà e diversità di accenti. Quel che preme qui mettere in evidenza è il fatto che quasi mai si è tentato, fino ad oggi, di costruire sistemi politici o statuali fondati sull’integrazione dei tre grandi valori.
A dire il vero, la Costituzione Italiana del 1948 si avvicina molto, come impianto, a questo obiettivo. L’articolo 2, infatti, sancisce i doveri inderogabili di solidarietà e l’articolo 3 obbliga la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza delle persone. Tuttavia, i processi storici che hanno investito il globo, l’Europa e naturalmente l’Italia hanno portato a divaricare e lacerare l’unità della triade. Così, la libertà è diventata il faro dell’Occidente democratico, mentre l’eguaglianza è stata proclamata rigidamente nei Paesi del cosiddetto “comunismo reale”. In entrambi i casi si è trattato di una estremizzazione del valore, che ha condotto alla perversione del suo significato. E soprattutto, nella guerra fredda che irrigidiva i popoli e gli Stati in un assetto bipolare, la fraternità veniva derubricata a mero valore morale, o addirittura religioso, o al più accessorio, ma sempre politicamente utopico.
Del resto, apriamo qualunque enciclopedia delle scienze sociali, qualunque manuale di politica e cerchiamo voci come fraternità o fratellanza, o anche nonviolenza o amore politico. Non ci troveremo nulla o quasi nulla. Vuol dire che è acclarato che la politica può fare a meno della fraternità e della nonviolenza? Vuol dire che la libertà, ripensata e sviluppata, e l’uguaglianza, ripensata e sviluppata, all’interno di contesti di democrazia, ripensata e sviluppata anch’essa, costituiscono un paradigma sufficiente per la buona politica?

4. Ebony and Ivory
Al campus dell’Università di Città del Capo, convocata per l’Assemblea dei Popoli per la Salute, c’è una grande varietà di persone. Africani, certo, ma anche tanti sudamericani, europei e asiatici.
Sul treno che ci porterà in città, però, non è affatto così. Alla stazione di Umbell, a salire sui vagoni, con la pelle bianca siamo soltanto in due. Tutti gli altri hanno la pelle nera. Non riesco a non avvertire il senso della storia.
Il Sudafrica si è presentato per decenni come uno Stato fondato apertamente sull’antifraternità, qui tecnicamente definita apartheid. Tantissimi luoghi erano riservati ai soli bianchi, dalle panchine ai mezzi di trasporto. Ma ora, dopo la riconciliazione fraterna operata negli Anni Novanta del secolo scorso da Mandela, De Klerk e Tutu, non c’è nessuna discriminazione di ritorno verso di noi. Anche se la stragrande maggioranza dei viaggiatori è nera, possiamo sederci dove vogliamo e osservarci a vicenda.

Apartheid, Sudafrica
Durante l’apartheid in Sudafrica, tantissimi luoghi – come nella foto anche i servizi pubblici – erano riservati ai soli bianchi

Di fronte a noi, una donna dal giaccone porpora (non fa propriamente caldo qui a luglio) sembra appisolata. Ha in mano un bastone per ciechi. È cieca. E viaggia da sola. Ha un sussulto, chiede l’orario a una vicina infagottata in giallo e verde e si appresta a scendere alla successiva fermata. È un vagone tranquillo, quasi pieno di gente, con qualcuno che legge un giornale e una ragazza assorbita da un libro. Riesco a scorgerne il titolo, davvero evocativo: Abundant life.
La mia propensione alle immagini metaforiche mi fa scorgere in questo vagone uno spicchio di umanità in cerca di fraternità. In cerca, perché non basta lo stare assieme per costruirla. La fratellanza/sorellanza è cercare l’altro, avere gli altri dentro di noi, reciprocamente.
Il treno riparte e un ultimo, ritardatario passeggero sale di corsa sulle scure giunture tra due vagoni. Anche così, anche rischiando la vita, nessuno vuol perdere il treno. Ma nelle innumerevoli stazioni della Terra, sterminate moltitudini sono da troppo tempo in attesa, lucida e speranzosa oppure buia e inconsapevole, del treno della costruzione di legami fraterni.

5. “Stati canaglia”?
La salute è un campo sterminato in cui siamo chiamati a costruire fratellanza. È laddove c’è stata violenza o c’è malattia che più se ne avverte la necessità e la naturalità. Ce l’insegna chiaramente la Parabola del Buon Samaritano. Colui che appartiene a un altro popolo, che ci è lontano, proprio lui, nel bisogno, è il nostro prossimo. E proprio a lui dobbiamo approssimarci, avvicinarci, facendoci noi stessi prossimo. Il mondo a bassa fraternità separa e isola popoli e persone. Anzi, spesso genera privazioni, dolore, malattia, morte.
È stato così fino a pochissimo tempo fa per l’Iran. La minaccia nucleare che i suoi capi di Stato integralisti agitavano aveva indotto l’Occidente a un embargo di beni necessari, farmaci compresi. Un piccolo alito di fratellanza era costituito proprio dalla cooperazione sanitaria internazionale, non solo ammessa nel Paese, ma anche attivamente richiesta.
Fu l’Organizzazione Mondiale della Sanità a proporre all’AIFO una missione congiunta, avvenuta nel 2011, per valutare l’espansione del programma di RBC [Riabilitazione su Base Comunitaria, N.d.R.] già in atto da anni. Assieme al dottor Enrico Pupulin e al rappresentante del DAR [Disability and Rehabilitation Team dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], ci ritrovammo in un Paese vivo, pulsante, preoccupato delle sue persone con disabilità. Un Paese che aveva già tradotto in lingua farsi le recentissime nuove linee-guida sulla Riabilitazione su Base Comunitaria, appena pubblicate dall’OMS (mentre l’Italia non le ha nemmeno ora in italiano).
Abbiamo potuto visitare alcuni luoghi dell’Iran senza alcun ostacolo. E abbiamo visto l’intreccio di guerra, lutti e disabilità.
Alla fine degli Anni Ottanta del secolo scorso, tra Iraq e Iran c’è stata una guerra fratricida, tra popoli fratelli per storia, cultura e religione, tra sunniti contro sciiti. Abbiamo visitato uno dei tantissimi cimiteri di guerra con intensa commozione. Le bandiere della patria, una repubblica islamica da poco proclamata, governata con la shari’ah e la pena di morte, garrivano debolmente tra le centinaia di fotografie dei caduti. Volti giovani o addirittura giovanissimi. Che senso hanno quelle morti precoci, a centinaia di migliaia? Quei ragazzi sembravano sussurrare o gridare: «Volevamo solo vivere». È questa la memoria dell’Iran più ferita e sanguinante in tantissime famiglie. Per questo gli antichi poeti mistici, come Hafez, tacciono. Difficile tornare a cantare la natura, gli usignoli, le rose, il vino di Shiraz.
Ecco, diventa ancora più chiaro cosa fa davvero un’organizzazione non governativa come l’AIFO. Lavorare per la salute per tutti attraverso il cambiamento sociale, rendendo il mondo un po’ più giusto, cioè più ricco di comprensione profonda, è costruire fratellanza. I nostri sono progetti di fraternità in atto. È lei che ci muove. Il resto è tecnica, professionalità, organizzazione, necessarie per non cadere nella retorica e nell’illusione umanitaria. Costruire fratellanza è anche l’essenza della politica estera di pace.
Prima di ripartire da Teheran, siamo andati a visitare il santuario dell’Ayatollah Khomeini, con le sue quattro cupole verdi e una quinta argentata. La tomba dell’Imam, ormai prigioniero della sua stessa storia, è protetta da una grata, attraverso la quale i fedeli, divisi per sesso, ne onorano la memoria, l’insegnamento, la capacità di guida nella rivoluzione contro lo Scià. Vorremmo prendere sul serio il messaggio dell’Imam riportato su un grande striscione: «Condividiamo il dolore di tutti gli umiliati e sosteniamo gli oppressi del mondo».

Immagine del manifesto del Convegno AIFO "costruire la fratellanza", Pompei, aprile 2016
L’immagine del manifesto utilizzato dall’AIFO, per il proprio XXVI Convegno Internazionale, dedicato al tema “Costruire fratellanza. Per un mondo dei diritti per tutti e una società dell’inclusione”

6. Il valore dei valori
La fratellanza è diversa dall’amicizia, segnata da un carattere elettivo e da un legame spesso statico. che culla un sentimento durevole. La fratellanza è un sentimento che emerge con forza, come abbiamo visto con Ungaretti, in un dato contesto, in una situazione dolorosa o tragica, nel corso di una lotta. La fratellanza è una risposta attiva, un sentimento moderno e democratico, un legame dinamico che supera la stessa solidarietà, proponendosi come principio largo, che si oppone alla consanguineità, va oltre la fratria, la cerchia familiare, la comunità naturale.
L’oggetto della fratellanza è il valore dei valori, cioè il valore vivente che è la persona, ogni persona. Lo si scopre come una folgorazione nelle vicende estreme di antifraternità come la guerra, le politiche eliminazioniste, il terrorismo.
Recandomi più volte in Cina per supportare tecnicamente un progetto di salute mentale di comunità, mi è capitato di tornare anche l’anno scorso ad H’arbin, capitale dell’Heilongjang. Sono riuscito finalmente a convincere i colleghi cinesi ad andare a visitare il Museo della Guerra Batteriologica. È il racconto, ben fatto, di un tremendo progetto dei giapponesi invasori della Manciuria, messo in atto poco prima della seconda guerra mondiale. Ammantato di disumana scientificità, il programma di ricerca ha condotto a morte alcune migliaia di cinesi in vari campi-laboratorio di detenzione, attraverso crudeli esperimenti di inoculazione di terribili germi patogeni e perfino di autopsie in vivo. È stato naturalmente molto toccante, abbiamo provato una cupa tristezza, quasi un dolore fisico. E abbiamo compreso il potere perverso che detiene l’idea che esistano popoli inferiori ed esseri umani assimilabili a non persone.
Forse anche la fratellanza ha bisogno di un nemico. Ebbene, eccolo, esso c’è, esiste ed è il male, sono quelle che noi chiamiamo “le lebbre del mondo”.

7. Giustizia e fratellanza
La fratellanza, nella realtà storica, resta problematica, perché la sua aspirazione morale universale è contraddetta dall’uso politico ben più ristretto. A differenza della libertà e dell’uguaglianza, la fratellanza non può essere posta come un diritto. C’è il diritto alla libertà, c’è il diritto all’uguaglianza e tali diritti sono applicabili ai singoli individui sotto varie forme. La fratellanza, invece, è priva di genitivo, è più un imperativo morale, un dovere di azione di tutti verso tutti, di ciascuno verso ciascun altro, come recita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’ONU.
Libertà ed eguaglianza, come ha mostrato il Novecento, possono anche combattersi tra loro e dividere le persone e le comunità, mentre la fraternità riconcilia persone e popoli, ingloba e include in maniera progressiva, tendenzialmente universale: un noi senza esclusi, senza nemici e soprattutto senza vittime.
Un grande filosofo politico, John Rawls, cercando di elaborare una moderna teoria della giustizia, ha riformulato il principio di libertà e quello di uguaglianza allo scopo di sostenere la società come un equo sistema di cooperazione nel tempo da una generazione a quelle successive.
Il primo principio consiste nel fatto che ogni persona ha lo stesso titolo indefettibile a uno schema pienamente adeguato di uguali libertà di base, compatibile con un identico schema di libertà per tutti gli altri.
Per il secondo principio le disuguaglianze sociali ed economiche sono accettabili se soddisfano due condizioni: primo, devono essere associate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa uguaglianza delle opportunità; secondo, devono dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società (principio di differenza).
Rawls ha in pratica tentato (pur lasciando varie questioni aperte a cui hanno dato risposte più avanzate Amartya Sen e Martha Nussbaum) un incardinamento del principio di fratellanza in una teoria razionale della giustizia, arrivando a ritenere la fraternità un legame necessario per lo sviluppo armonico della libertà e della uguaglianza. Egli ha anche applicato il principio a livello del diritto dei popoli, definendo otto principi di giustizia internazionale, tra i quali quello del dovere di assistenza tra i popoli, per costruire società bene ordinate.

Malala Yousafzai
Malala Yousafzai, giovane pakistana Premio Nobel per la Pace nel 2014, «ha saputo tramutare la sua dura esperienza – scrive Colizzi – in una lezione di fratellanza universale»

8. La fratellanza è un principio di realtà
La fratellanza  può tradursi anche in scelte politiche, economiche e giuridiche? In questi àmbiti, essa si presenta come il “principio dimenticato” rispetto alla libertà e all’uguaglianza. Ma non sono poche le grandi figure che hanno cercato di rendere la fratellanza anche categoria del politico: Mohandas Karamchand Gandhi, Aldo Capitini, Martin Luther King, Robert Kennedy (specie nella sua ultima, memorabile campagna elettorale), Nelson Mandela, Aung San Suu Kij. Perfino persone molto giovani come Iqbal Masih e Malala hanno saputo tramutare le loro dure esperienze in lezioni di fratellanza universale.
Tracce esperienziali di economia ispirata alla fraternità pure ve ne sono: la banca e il microcredito di Muhammad Yunus, l’economia civile recentemente riscoperta, l’economia di comunione. E vi sono anche ampi sviluppi di pensiero che ruotano attorno alla logica del dono di Marcel Mauss, Alain Caillé, Serge Latouche.
Sembrerebbe che fraternità e diritto fossero termini antitetici, anche perché non si può realizzare una trasposizione letterale o squisitamente tecnica di una così pregnante parola-valore. Tuttavia, la nostra epoca vede già cambiare tanti altri concetti giuridici che sembravano granitici, come Stato, nazione, confine, appartenenza. Possiamo allora, in Italia, rileggere princìpi fondamentali costituzionali, come quelli di solidarietà ed eguaglianza sostanziale, alla luce della fraternità, intesa anche come criterio utilizzabile in situazioni diversissime di sbilanciamento di diritti.

9. L’agire fraterno
Le caratteristiche della fratellanza le scopriamo nell’azione e le azioni progettuali dell’AIFO, come delle migliaia di Associazioni di Volontariato e di Cooperazione Internazionale, sono un campo privilegiato in tal senso.
Uno dei movimenti più intensamente appassionati della fraternità è quello fondato da Chiara Lubich. Sono alcuni anni che esso ha dato vita al Progetto Mondo Unito, sostenuto da una visione più radicale di quella di Rawls e di altri pensatori: è la fraternità il principio primario, che può dare pieno senso e sviluppo alla libertà e all’uguaglianza. La fraternità è già un valore della cultura contemporanea, è un processo in atto, più ampio della solidarietà, perché implica il principio dell’interdipendenza. E segnalo che un gruppo di studiosi del dono ha elaborato un Manifesto del convivialismo che si fonda sulla Dichiarazione di interdipendenza. Inoltre, la fraternità abbraccia col suo sguardo l’umanità, vedendola come quella comunità di destino di cui parla Edgar Morin, che include i posteri e chi ha già vissuto.
La Bolla di Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia da parte di Papa Francesco illumina potentemente i contenuti delle relazioni umane fraterne: non giudicare, non condannare, perdonare e donare, offrire una possibilità estrema oltre la giustizia. E ci richiama vividamente la vicenda di Francesco d’Assisi, del suo facere misericordiam con i “lebbrosi”. Quella sua totale esperienza dell’altro, quel capovolgimento dell’amaro in dolce sono all’origine di una mistica visione fraterna e sororale dell’intero creato, che continua a stupirci per l’estrema anticipazione profetica. Un estremo vertice e vortice di fraternità/sororità di difficile accesso, verso cui vorremmo almeno tendere: frate sole, sorella luna, frate foco, sora aqua, frate vento, sora nostra madre terra, sora nostra morte corporale
Ma cerchiamo, più umilmente, di elencare le caratteristiche che identificano un’azione fraterna, cioè un’azione generativa di un frammento di fraternità. Essa è compiuta liberamente, perché non si può essere obbligati alla fraternità. È guidata da un’intenzione di bene, una scelta di valore che non misura il proprio vantaggio. Essa genera condivisione e reciprocità, non essendo un unidirezionale dare qualcosa, ma un processo fortemente relazionale. Rispetta il bene comune, cioè non danneggia nessuno e si pone domande sugli effetti per le generazioni future. È universale, non discrimina e non esclude nessuno.

Chiara Lubich
Chiara Lubich, fondatrice e primo presidente del Movimento dei Focolari

L’AIFO questo vuol essere: un’Associazione di persone che hanno scelto liberamente di impegnarsi nella costruzione della fraternità universale. I progetti dell’AIFO, dunque, devono corrispondere il più possibile ad azioni fraterne, generatrici di frammenti di fraternità. E gli stessi strumenti utilizzati e le strategie operative devono orientarsi in tal senso.
Pensiamo alla strategia di CBR, la Riabilitazione su Base Comunitaria, per ripristinare la dignità e i diritti delle persone con vari tipi di disabilità. L’AIFO è esperta di questa strategia e l’esperienza accumulata, assieme al dialogo incessante con altre organizzazioni non governative e associazioni impegnate nella stessa direzione, ha condotto ad affinarla e definirla con maggiore chiarezza come CBID, cioè sviluppo inclusivo basato sulle risorse della comunità.
Se ci pensiamo anche solo un attimo, è il tipo di sviluppo di cui non hanno bisogno solo le persone con disabilità: è all’umanità intera che occorre uno sviluppo centrato sulle persone e sulla fraternità, anziché sul denaro e sul profitto.

10. L’ingiustizia globale
L’economia globale (dato del 2014) vale circa 78.000 miliardi di dollari e, nonostante la crisi, non c’è affatto scarsità di reddito, né di ricchezza, che anzi continua ad accumularsi.
Quella in cui siamo immersi è un’economia escludente, in cui i redditi e le ricchezze sono scollegati dalla produttività e dal reale valore aggiunto per le società; la quota di redditi che va al lavoro diminuisce e quella che va al capitale aumenta (come diceva Marx, «il capitale si autovalorizza!»), aumenta il divario tra salari e produttività.
Un solo esempio chiarificatore (fonte Forbes): la ricchezza delle 62 persone più ricche del mondo (in gran parte custodita offshore [in “paradisi fiscali”, ovvero  in centri finanziari con un livello di imposte molto basso o nullo, N.d.R.]) continua ad aumentare, mentre quella del 50% più povero della popolazione mondiale ristagna (62 persone in confronto a 3,6 miliardi di persone!).
Negli ultimi quindici anni, dell’incremento della ricchezza mondiale il 50% è andato all’1% più ricco e l’1% è andato al 50% più povero: sembra un giochino matematico, ma è la realtà profondamente diseguale dell’economia mondiale.
Si pensi infine al fatto che gli ultimi della Terra, il 10% più povero, hanno visto negli ultimi venticinque anni aumentare il loro reddito di meno di tre dollari all’anno, cioè un centesimo al giorno!
L’affermazione frequente che chi vuole rovesciare questa situazione esprime una “politica dell’invidia” è, in realtà, di un egoismo e di un’indifferenza al dolore e alla miseria umani spaventosi. In questi ultimi tre decenni, i ricchi e i potenti hanno utilizzato i sistemi economici e le relative strutture (anche attraverso l’espansione del settore della finanza) a proprio vantaggio e a discapito di altri. Hanno allargato il ricorso al cosiddetto rent seeking, cioè alla ricerca di rendita attraverso comportamenti improduttivi (denaro da denaro).
È poi gravissima la loro azione esercitata per ridurre il proprio giusto carico fiscale, occultando gran parte delle ricchezze e trasferendole nei “paradisi fiscali” (aree offshore, esentasse e pressoché segrete fino ai recenti Panama Papers). Questa è un’ingiustizia attiva globale enorme, poiché sottrae risorse alle società, necessarie per finanziare i servizi pubblici e le infrastrutture essenziali per tutti, e ostacola la redistribuzione delle risorse e le politiche pubbliche di contrasto alle disuguaglianze.
Per questo Ofxam [una delle più importanti confederazioni internazionali nel mondo specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo, N.d.R.] propone, nel suo ultimo rapporto, di mirare ad un’economia equa e inclusiva innanzitutto attraverso una riforma fiscale globale, utilizzando la spesa pubblica per combattere le disuguaglianze, rendendo più dignitosi i salari e riducendo il loro divario dagli stipendi scandalosi dei manager, promuovendo la parità economica delle donne e i loro diritti, tenendo sotto controllo democratico l’influenza delle élite, cambiando il sistema globale di ricerca e sviluppo e di determinazione dei prezzi dei medicinali, per renderli universalmente disponibili a prezzi accessibili.

11. La fratellanza: rivolta ed eccedenza d’amore
È dinanzi o dentro il male che gli uomini riescono, con maggiore profondità e urgenza, ad avvertire il sentimento della fratellanza, dell’appartenenza a un’unica grande e – avverte il poeta – fragile famiglia.
Ci dice Ungaretti, dalle trincee della Grande Guerra, che quando l’uomo riconosce, o è costretto a riconoscere, la sua fragilità, non si incrina solo il suo narcisismo o la sua cieca volontà di potenza; quello che accade è una rivolta, un po’ come raccontava Albert Camus dell’uomo dinanzi all’assurdo. Dunque, cercare la fratellanza/sorellanza, chiamare l’altro fratello/sorella è assumere una posizione di ribellione, specie di fronte alla fragilità umana accentuata dai mali e dalle ingiustizie prodotti dall’uomo stesso: la fratellanza è allora davvero la rivoluzione della nonviolenza.

William Golding
William Golding, autore del “Signore delle mosche”

Afferma il professor Roberto Mancini, e io concordo con lui, che possiamo imparare a riconoscere il mistero della dignità umana, il suo valore incondizionato e universale all’interno della finitezza dell’esistenza e del mondo, come una forma di trascendenza. Dinanzi al mistero della dignità umana, allora, la libertà va assunta come una forma di vita che ci impegna a garantire il rispetto di ognuno e a costruire una convivenza sororale e fraterna. La fratellanza, a sua volta, rende più potente e luminosa la nostra libertà, ci trae fuori dalle secche dell’individualismo e dalle paludi nichilistiche. La fratellanza è una sovrabbondanza di legame amoroso, un’eccedenza di bene in azione, di integrità, di generatività, di creatività.

12. Educarci ad essere fraternità
Nel suo romanzo più feroce, lo scrittore inglese William Golding, Premio Nobel per la Letteratura nel 1983, racconta un apologo negativo sul destino umano. Il signore delle mosche, infatti, è l’inquietante e torbida vicenda di un gruppo di ragazzi inglesi naufraghi su un’isola deserta.
In questa sorta di Eden, ben presto il Male si insedia nella minisocietà adolescenziale, producendo gerarchie di potere, abusi, dolore e perfino morte. Golding è spietato nel mostrarci che il Bene è ammantato di ipocrisia e che l’uomo, senza una potente educazione, è destinato all’eterna ripetizione della vicenda di Caino e Abele.
Quando arriva una nave a salvare i ragazzi, l’ufficiale britannico che ne ascolta la storia commenta: «Avrei pensato che un gruppo di ragazzi inglesi sarebbero stati capaci di qualcosa di meglio».
Senza doverla pensare come Golding, ma rammentando almeno il Freud del Disagio della civiltà, non possiamo non sottolineare che all’interno dell’educazione civile alla libertà e all’uguaglianza, ai diritti e alla democrazia, occorre fare spazio, molto spazio all’educazione alla fratellanza. Le radici del Bene sono profonde nell’anima umana, ma vanno innaffiate, coltivate, sviluppate costantemente, come incita a fare il monaco buddhista Thich Nhat Hanh con la sua proposta di “essere pace” che noi potremmo convertire in “essere fraternità”.
Per tanti aspetti, è questa la visione sottesa alle azioni dell’AIFO, ma soprattutto è la meta irrinunciabile di ogni essere umano per il compimento della propria vita. Assumendo in pieno il compito di costruire fratellanza e unendoci agli altri, in gruppi e collettività operanti per l’ecologia integrale e la giustizia sociale, entriamo consapevolmente in quella rete mondiale di cambiamento che è stata definita come «una moltitudine inarrestabile». E viviamo la bellezza di contribuire alla gestazione del mondo nuovo.

Medico specialista in Psichiatria e psicoterapeuta, già presidente dell’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau). Intervento presentato al XXVI Convegno Internazionale dell’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), dedicato al tema “Costruire fratellanza. Per un mondo dei diritti per tutti e una società dell’inclusione”, Pompei (Napoli), 23-24 aprile 2016.

Medico specialista in Psichiatria e psicoterapeuta, coordinatore regionale dell’AIFO Puglia (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau), organizzazione di cui è stato presidente nazionale, Francesco (Franco) Colizzi è direttore del Centro di Salute Mentale di Brindisi e insegna Psichiatria ai Corsi di Laurea in Scienze Infermieristiche e Fisioterapia dell’Università di Bari (Polo di Brindisi).
Ha pubblicato numerosi scritti, tra i quali i volumi Inseguendo le cose, Danzatori e orchestrali, Un potere più grande, Eutopia e L’aggiustatore di destini.
Con l’AIFO ha partecipato a numerose missioni tecniche e di verifica per progetti di cooperazione sanitaria internazionale e attualmente segue come consulente volontario un progetto di salute mentale di comunità in Cina.

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