Riflessioni sul terzo bagno

«Terzo bagno sia - scrive Claudio Arrigoni, riferendosi ai servizi igienici presenti nei luoghi pubblici o privati aperti al pubblico - ma non sia “per disabili”». «Attenzione però alle “fughe in avanti” - replica Giulio Nardone - che possono risultare pericolose, se adottate nella progettazione reale, proprio per quella “accessibilità per tutti” che si dichiara di voler perseguire»

Targhetta di toilette con loghi di maschio, femmina e persona con disabilitàBen volentieri e per gentile concessione di InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it», riprendiamo – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – alcune riflessioni di Claudio Arrigoni sui “terzi bagni” degli edifici pubblici o aperti al pubblico, dedicati alle persone con disabilità.
Quanto meno interessante e incisiva, poi, ci sembra la replica di Giulio Nardone, presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), oltreché vicepresidente dell’INMACI (Istituto Nazionale per la Mobilità Autonoma di Ciechi e Ipovedenti).

Il mistero del terzo bagno (e non sia per disabili)
di Claudio Arrigoni

Agatha Christie o Ellery Queen. Ma forse ci vorrebbe Isaac Asimov, perché pare di entrare in una nuova dimensione. Chissà se loro riuscirebbero a capirne qualcosa. È un mistero che sembra impossibile svelare. Entrate in un edificio aperto alla gente, pubblico o privato che sia, dal centro commerciale allo spazio comunale. Eccolo lì, che svetta fiero. Anche le indicazioni lo mostrano trionfanti: è qui! Il terzo bagno. Quello per i disabili. Gli asessuati. Diversi da maschi e femmine. Per gli altri ce ne sono due, per loro no: uno e si accomodino tutti. Edifici nuovi e vecchi, ristrutturati o appena costruiti. Non ha importanza. Lui c’è. E ce ne si fa un vanto: vedete come siamo bravi, pensiamo a tutti, anche a loro! Loro, sì. Le persone con una disabilità. Che ne farebbero volentieri a meno. Che preferirebbero non avere strade preferenziali, ma usare quelle di tutti. Basta che queste siano utilizzabili. E allora ecco la domanda: perché? Effettivamente, pensandoci anche solo un poco, non si comprende quale possa essere il motivo per cui si costruisce un luogo solo per chi ha disabilità: non sarebbe più semplice fare in modo che siano accessibili a tutti i consueti bagni per maschi e femmine?
«Colpa di una situazione di ignoranza paradossale», spiega Fabrizio Vescovo, uno dei padri della legge contro le barriere architettoniche e direttore del Master Progettare per tutti all’Università La Sapienza di Roma: «Da nessuna parte è scritto che deve esserci un bagno per disabili, che è un errore, ma almeno uno accessibile. C’è una lettura disattenta e sbagliata».
Rendere accessibili i bagni divisi per sesso non porterebbe a costi più alti. «Rendere il bagno confortevole e utilizzabile per tutti, con qualsiasi difficoltà motoria, è bello e possibile. Non è una questione di spazi o di investimenti», dice Luigi Bandini Buti, “guru” italiano del Design for All [“progettazione per tutti”, N.d.R.], docente al Politecnico di Milano. Infatti, imprenditori che hanno fatto la scelta dell’accessibilità, non se ne sono pentiti. «La struttura è migliore in assoluto, non solo per chi ha disabilità. Ed è bella anche esteticamente, non solo nella fruizione. Si amplia la possibile clientela, è un investimento positivo, conveniente per il mercato», racconta Nicola Rondinelli, che nel Villaggio Turistico Sira Resort, in una Basilicata sempre più turistica, ha realizzato alloggi con servizi igienici comodi per tutti.
«Nella progettazione occorre recuperare il buon senso e dare risposte ai bisogni reali delle persone. Ci si nasconde spesso dietro le norme, ma queste sono ottime: non sono basate sui numeri, ma sulla persona. Mettiamo al centro la persona, con la diversità di ognuno, e la bellezza. Si può, quando e se si vuole. Nella progettazione inclusiva non vi sono dettagli, tutto è importante», spiega Dino Angelaccio, direttore del Laboratorio Accessibilità Universale all’Università di Siena ed esperto di progettazione inclusiva e multisensoriale.
L’accessibilità dovrebbe pretendere risposte più alte, anche nei colori e nella scelta dei materiali. Eppure nel terzo bagno ci sono ancora maniglioni da ospedale («inutili e brutti», secondo Angelaccio); water troppo alti («pericolosi, per tutti, ma specie per chi deve fare il trasferimento da una carrozzina», dice Vescovo; «non servono a nulla», rincara la dose Bandini Buti); lavandini troppo alti («almeno facciano appoggiare i gomiti a tutti», sottolinea Bandini Buti).
Quindi: non c’è una questione economica (anzi, il contrario: gli spazi accessibili in strutture per il pubblico farebbero addirittura guadagnare, aumentando la ricettività); non si tratta di problemi strutturali; non ci sono elementi estetici negativi. Nulla. Il mistero si infittisce, allora. Vediamo se qualcuno lo ha risolto nella pratica.
Autogrill Villoresi, poco oltre Milano sull’autostrada che porta ai laghi lombardi. Ha fatto dell’accessibilità il suo fiore all’occhiello. Perché l’accessibilità vuol dire luoghi per tutti, non riguarda solo la disabilità. Fra coloro che lo hanno ideato c’è Bandini Buti, ma anche Andrea Stella, velista paraplegico, che gira l’Italia e il mondo a mostrare il mare senza barriere, con il suo catamarano completamente accessibile, adatto a ogni condizione, non solo di mare e vento, ma anche delle persone. Oltre a posteggi per disabili e famiglie, banconi e tavoli in cui non ci sono problemi per chi è in carrozzina, ecco i bagni. Orrore, ce ne sono tre! Vuoi vedere che anche Bandini Buti e Stella ci sono cascati? Eh no. I bagni per maschi e femmine hanno postazioni normali, L e XL, per tutti. Ci sono water più piccoli e ribassati, per i più piccoli, anche di statura, non solo di età. Lo stesso per i lavandini. Ma allora perché quel bagno a parte? «Serve per situazioni speciali», spiega Bandini Buti. Il papà che accompagna la figlia piccola in bagno, dove deve andare? O la mamma con un bimbo? La società è cambiata. Ci sono anche i papà a utilizzare i fasciatoi. Ecco un luogo pulito e accogliente. Non solo. Le persone che aiutano anziani e anziane, anche per lavoro, dove lo accompagnano quando sono di sesso diverso? In aeroporti e stazioni, dove sono sempre più i luoghi di culto inter-religiosi, chi è di religione islamica deve avere la possibilità di svolgere l’abluzione dei piedi. Ecco dove porre il lavapiedi. E magari anche il bidet, che sta lentamente scomparendo dai bagni degli edifici per il pubblico. Eppure il primo è conservato ancora alla Reggia di Caserta.
Svelato il mistero: terzo bagno sia. Ma non per chi ha disabilità. E nemmeno per le persone transessuali, come qualcuno vuole, e non solo negli States, dove Obama ha indicato che nelle scuole gli studenti usino i bagni che vogliono scegliendo in base alla loro identità di genere e non al sesso.

Il “terzo bagno” e il pericolo delle fughe in avanti
di Giulio Nardone*

È un saggio di ottimo stile giornalistico, quello di Claudio Arrigoni, che unisce la sua voce a quella di illustri progettisti nel criticare quello che viene definito ironicamente come il “bagno del terzo sesso”, senza peraltro riferirsi ai trans, bensì alle persone con disabilità. Peccato che i concetti espressi da lui e da alcuni esperti citati nel pezzo risultino pericolosi, se adottati nella progettazione reale, proprio per quella “accessibilità per tutti” che si dichiara di voler perseguire.
Tutto nasce una decina di anni fa da un «nuovo concept del bagno indifferenziato» esposto trionfalmente da Centostazioni, Società del Gruppo Ferrovie dello Stato, che ha improntato a tale filosofia alcuni progetti di ristrutturazione di stazioni di media grandezza, progetti che purtroppo sono stati anche realizzati, malgrado l’opposizione dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), in pieno accordo con l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e con la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
È evidente che se due delle più attive Associazioni di non vedenti e una Federazione che riunisce una trentina di Associazioni comprendenti tutte le tipologie di disabilità, hanno espresso la loro netta contrarietà, qualche motivo valido ci deve essere. E ciò, senza appellarsi al principio, pur sacrosanto, sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che prescrive il coinvolgimento delle Associazioni di categoria nelle decisioni che riguardano le persone con disabilità stesse.
E il motivo è tanto semplice quanto intuitivo, purché non si sia un attimo distratti dall’esigenza di fare notizia o di eseguire la cosiddetta “fuga in avanti” che, se i calcoli sono sbagliati, può portare a rovinosi scontri con la realtà. Veniamo dunque al concreto.
Nessuno dubita che in un albergo di buon livello l’ideale sia che tutte le camere abbiano bagni accessibili e che nella zona dei servizi comuni vi siano due bagni, distinti per sesso, ma spaziosi e muniti di tutti i comfort utili a tutti, compreso il lettino ribaltabile necessario ad alcune tipologie di disabilità e gli altri sanitari a misura variabile, come nei servizi igienici veramente lungimiranti progettati da quell’eminente esperto nel Design for All che è il professor Bandini Buti. Ma è necessario che tali rest rooms – cui si attaglia bene l’espressione anglosassone – siano appositamente contrassegnati, magari con un simbolo onnicomprensivo delle situazioni di disagio, che comprendono anche il genitore con il neonato e la persona anziana, e che soprattutto ad essi si acceda tramite un ingresso diretto e non attraverso un antibagno differenziato per genere. E ciò perché, come ha perfettamente intuito lo stesso professor Bandini Buti, mentre qualcun altro non ci ha pensato, una persona con disabilità accompagnata dal coniuge si trova (oggigiorno dobbiamo dire “di solito”) in imbarazzo a scegliere se dover trasgredire, lei o il compagno, all’indicazione del cartello.
D’altra parte i “bagni H” sono più frequentemente liberi rispetto agli altri e ciò è molto importante per le persone anziane, spesso affette da incontinenza, e sono di solito più puliti, quando non sono però adibiti a deposito delle scope. E perché dovremmo privarci di questo piccolo vantaggio, forse a beneficio di una demagogica “non diversità”?
Fortunatamente le Ferrovie dello Stato hanno mutato decisamente rotta e nelle Linee Guida emanate da RFI (Reti Ferroviarie Italiane) hanno prescritto che gli ingressi dei servizi igienici per le persone con disabilità siano indipendenti. Ma nel frattempo l’errore è passato dal computer alla muratura e sono state ristrutturate diverse stazioni che presentano la difficoltà sopra evidenziata. Così accade ad esempio che nella Stazione di Padova non si trovino i “bagni H”, ma nelle due aree differenziate per genere vi siano degli stanzini “per tutti”, più ampi dei soliti cubicoli, ma privi del lavandino! Come se le persone con disabilità, particolarmente quelle in situazione di maggiore gravità, potessero fare le loro abluzioni nell’antibagno comune. Ma questa è un’altra storia di ordinaria follia progettuale.

*Presidente nazionale dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap); vicepresidente dell’INMACI (Istituto Nazionale per la Mobilità Autonoma di Ciechi e Ipovedenti).

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