Mi sveglio di soprassalto. Cerco di scoprire le mie braccia da sotto la coperta, ma qualcosa mi trattiene. Non capisco cosa. Poi, nella penombra, vedo il mio grande armadio bianco muoversi in modo anomalo. In sottofondo sento un insieme di suoni cupi e sinistri. Subito riconosco quella “voce” che viene da sottoterra.
«Non è possibile, non può essere di nuovo», penso.
Avverto un dolore al basso ventre, che si fa via via più intenso. Nausea. Paura.
Sono secondi interminabili. Come in quel lontano 6 aprile 2009. Lontano nel tempo, ma vivo nel cuore. Oggi come allora. Impotente, senza la possibilità di scappare. Prego e chiudo gli occhi. Prego affinché quel “mostro” da sottoterra non mi prenda con sé. Anche questa volta è andato via, lasciandomi nel panico.
Sono le 3.36 del 24 agosto 2016. Un’altra data che non dimenticherò. Resto a letto, sebbene sia estate, fuori fa freddo. Non posso stare al freddo. Rischio di ammalarmi e per la mia precaria salute potrebbe essere peggio di un terremoto. I miei polmoni sono deboli, provati.
Affrontare un terremoto è una cosa difficile. Per tutti. Ma per chi vive una disabilità e non può scappare, lo è mille volte di più.
«Non posso scappare», questo è il mio pensiero più grande.
Quel “mostro” mi ha ricordato che c’è ed è sempre lì. Sottoterra. Mi ha ricordato che la natura è più forte di noi. Può prendersi tutto, senza nemmeno chiedere. Può portarsi via quello a cui teniamo di più e lasciarci senza difesa alcuna.
Siamo tutti vittime di un mondo che crediamo ci appartenga.
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