Ci sono vicende in cui i fatti (e le Leggi) parlano da sé. Per questo abbiamo deciso di dare spazio integralmente alla lettera inviataci dal professor Gennaro Iorio, persona non vedente e già “firma” apprezzata anche del nostro giornale, lettera riguardante la sua recente partecipazione al cosiddetto “Concorsone”, ovvero al Concorso 2016 per Docenti della Scuola. Così ci ha scritto:
«Questa è una di quelle storie che t’implodono dentro, che ti umiliano così tanto che non puoi fare altro che scrivere. Mi fa quasi male farlo, perché devo raccontare ciò che ho subìto e nel fare questo mi vergogno. Sono un professore di filosofia e storia e ho partecipato al Concorsone della Scuola. Avrei voluto sostenere la prova scritta come tutti: sedermi davanti a un computer, leggere i quesiti e scrivere le risposte. Io, la prova e il tempo. Invece, la storia è andata diversamente: ho compilato il campo della modulistica del MIUR [Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, N.d.R.] in cui mi si chiedeva di quale ausilio necessitavo per sostenere la prova. Ho scritto che avevo bisogno di un computer attrezzato con sintesi vocale e barra braille, ho specificato che il formato della prova fosse accessibile e ho chiesto una persona di fiducia per un’eventuale copia del mio elaborato scritto. Poi, ho contattato con sciocca fiducia l’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia-Romagna, per avere conferma che le mie semplici ed economiche richieste fossero state, come legge prevede, soddisfatte. Invece, era l’inizio di una brutta storia italiana.
Il CINECA [Consorzio Interuniversitario senza scopo di lucro, formato da settanta Università italiane, cinque Enti di Ricerca Nazionali e il MIUR, N.d.R.] non si era preocupato di rendere accessibile il formato della prova, ignorando una Legge dello Stato approvata nel 2004, la maledettamente ignorata “Legge Stanca” [Legge 4/04, “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, N.d.R.]. Il MIUR non ha sentito il dovere di controllare e di impedire questa illegalità. L’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), non ha avuto la forza, la capacità di fare nulla né prima né dopo. L’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna non ha avuto l’autorità e la capacità di accettare le soluzioni che ho proposto per uscire da questo contesto d’illegalità.
E così alla fine la storia si sta chiudendo, il sipario piano piano sta calando. Ho dettato le mie prove, ho ascoltato le mie domande, l’ho fatto mediante l’unica cosa concessami, insieme al tempo aggiuntivo, ovvero una persona di fiducia.
Nel 2016, dunque, non ho avuto il diritto di scrivere e leggere in autonomia. Nel 2016 ho dovuto affrontare la fatica immane di dettare unità didattiche e lezioni senza poterne avere un riscontro; ho dovuto rispondere a quesiti di comprensione di un testo in lingua inglese, senza poter leggere il testo stesso.
In una delle domande ho citato l’articolo terzo della Costituzione Italiana («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»), meglio, l’ho dettato, e mentre lo facevo sorridevo con un’amarezza sconfinata e ho pensato a come il sorriso confini con il pianto.
La storia è finita, non ho superato la prova, ho perso la battaglia; ho troppa stima di me per ipotizzare risultati diversi se fossi stato messo alla pari di tutti. So che non ho avuto il diritto di scrivere e leggere. So che quando ai miei alunni spiegherò l’articolo terzo della Costituzione, sorriderò, come ho fatto in quella mattina di maggio».
Fin qui la denuncia di Gennaro Iorio, che nei primi giorni di agosto ha ottenuto una discreta eco, anche in testate generaliste come «Il Fatto Quotidiano» e «la Repubblica». Proprio all’edizione di Bologna di quest’ultimo quotidiano, ha affidato la propria replica l’Ufficio Stampa del Ministero, precisando «che per il professor Iorio non c’è stata alcuna penalizzazione. Nessun handicap aggiunto all’handicap. Il MIUR, nel suo caso come in quello di altri docenti non vedenti che hanno affrontato il concorso, ha fornito il supporto necessario, secondo disposizioni contemplate dalla legge. Alla domanda di ausili da parte del professor Iorio, l’Amministrazione ha accordato più tempo per rispondere alle domande e un tutor che lo accompagnasse. Informazione ovviamente fornita al docente prima dello svolgimento della prova, non il giorno stesso. Il ricorso al tutor, contemplato dalla legge, è stato scelto dall’Amministrazione per garantire supporto ai candidati interessati con una soluzione comune e facilmente approntabile per tutte le tipologie di disabilità. Altre metodologie assistive, come tastiere braille esterne o computer con tastiera braille installata, avrebbero potuto svantaggiare i candidati stessi nel caso di un “crash” del pc: sarebbe stato impossibile avere una postazione di emergenza in aula per ciascun candidato con disabilità, mentre erano presenti postazioni in più utilizzabili da parte di tutti i candidati in casi di emergenza. Esistono inoltre differenti tipi di ausilio per una stessa disabilità. Nel caso specifico, il professor Iorio ha avuto 90 minuti in più, come giusto che fosse, per completare la prova, accompagnato da un tutor di sua fiducia.
Il MIUR tiene a smentire la teoria secondo la quale nessuno aveva pensato prima ai candidati diversamente abili: il software utilizzato prevede fra le sue funzioni proprio quella per garantire tempo aggiuntivo a chi sostiene la prova».
Ancora una volta è arrivata la controreplica – stringente e chiara – di Gennaro Iorio, ripresa anch’essa dall’edizione bolognese di «Repubblica».
«Il comunicato del Ministero – ha scritto – mi ha ferito come individuo e come cittadino. Con esso, infatti, il Ministero stesso dichiara di aver scelto consapevolmente di non essersi occupato di rendere accessibile il software della prova scritta. In questo modo si confonde il diritto all’accessibilità con la scelta che una persona può fare consultando un menù di un ristorante.
Io avevo segnalato al MIUR, all’atto dell’iscrizione online, che per sostenere la prova avevo bisogno di un computer attrezzato, di una prova resa nel suo formato fruibile, del tempo aggiuntivo e di una persona di fiducia. Ovviamente al momento della domanda online ho inserito preventivamente anche la presenza di una persona di fiducia sperando che non fosse necessaria. Ma se il software fosse stato a norma di legge, io non avrei avuto bisogno di nessuno.
Scrivere che il software era accessibile perché si poteva programmare il tempo aggiuntivo è un’affermazione che manifesta una radicale ignoranza su cosa significhi accessibilità e il relativo diritto ad essa. Scrivere che si è scelto di non attrezzare un computer perché non era possibile prevederne uno di riserva è un argomento dalla logica misteriosa. Se il software fosse stato reso accessibile, ogni computer lo sarebbe stato di conseguenza. Abbiamo svolto le prove in laboratori d’informatica, non era cosa difficile prevedere l’installazione in rete del programma di lettura e scrittura per persone cieche, oppure la sua stessa installazione non avrebbe chiesto un lavoro eccessivo di fronte alle ipotizzate “catastrofi informatiche”.
Il MIUR non comprende che costringere un docente a dettare unità didattiche, ad ascoltare quesiti complessi, a rispondere a domande di lingua straniera, senza avere la possibilità di fare tutto questo in autonomia, significa far svolgere un lavoro in condizioni peggiori. Provate a chiedere a un architetto di dettare un progetto grafico anziché disegnarlo; provate a chiedere a un giornalista di dettare i propri articoli, senza poterli rileggere da solo. Provate e capirete cosa significa chiedere a un docente di scrivere unità didattiche, però dettandole.
Sulla prova in lingua straniera, poi, è fin troppo evidente il danno che ho subìto: comprensione del testo significa leggerlo e non ascoltarlo».
Era il 13 dicembre 2012, quando in occasione della Giornata Nazionale del Cieco, Gennaro Iorio aveva co-firmato, sul nostro giornale, un articolo intitolato Un Paese ancora bendato, di fronte ai problemi dei ciechi. Da allora sono passati quasi quattro anni… (S.B.)