Nei mesi scorsi è stato pubblicato sul giornale online e sui «Corrieri» dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) un pezzo di chi scrive dal titolo Scuola “speciale” per bambini ciechi? No Grazie!. In tale articolo, a nome del Consiglio di Amministrazione della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi, rivolgevo i ringraziamenti più sentiti e fervidi al nostro collega Claudio Cassinelli, presidente del “glorioso” Chiossone di Genova, per la decisione presa dal “suo” Istituto di fuoriuscire dalla Fondazione Guderzo, dopo l’annuncio da parte della medesima di voler realizzare a breve una scuola “speciale” per bambini ciechi.
Nei giorni scorsi, poi, ho letto sulle prestigiose pagine di «Superando.it» che, a un anno dalla pubblicazione del libro L’attrazione speciale di Giovanni Merlo, proprio su di esso e sulle ragioni ivi esposte, che indurrebbero alcune famiglie di ragazzi con disabilità a scegliere le scuole speciali per i propri figli, sarebbero stati centrati alcuni incontri promossi in Lombardia e nelle Marche.
Premetto subito che il progetto di ripristinare le “scuole speciali” è ritenuto da noi della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi un “pericoloso” ritorno al passato e soprattutto una falsa soluzione e un inganno rispetto ai reali bisogni educativi e al corretto percorso di crescita di cui necessitano i “ragazzi ciechi” nella scuola di tutti.
Pur tuttavia, a quasi quarant’anni dal varo della Legge 517 del 1977, che ha avviato in Italia il sistema scolastico inclusivo, non va comunque sottaciuto il fatto che sono ancora tante le carenze e deficienze che caratterizzano il sostegno degli alunni con disabilità visiva e con disabilità in generale. Di fronte a tali criticità, l’UICI e i suoi Enti collegati si sono adoperati con tutte le loro energie e le risorse economiche disponibili, per dar vita a “centri di servizio”a supporto della scuola “comune”.
Si tratta dei Centri di Consulenza Tiflodidattica (CCT), istituiti dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi Regina Margherita ai sensi della Legge 284/97. Oggi i CCT sono diciassette, distribuiti su tutto il territorio nazionale e si prefiggono il compito di fornire consulenza tiflodidattica e di far conoscere gli strumenti e i materiali tiflodidattici agli insegnanti di sostegno, agli operatori scolastici, ai genitori e agli alunni della scuola di ogni ordine e grado [la tiflodidattica è la scienza che studia le problematiche di persone con disabilità visiva nella sfera dello studio, N.d.R.].
A dire il vero, vi sono altresì le “famose” UTC (Unità Territoriali di Coordinamento), che costituiscono delle strutture regionali di coordinamento tra i CCT, i centri autonomi rispetto ai nostri Centri di Consulenza Tiflodidattica, le Sezioni Provinciali dell’UICI, le ASP e gli Uffici Scolastici Provinciali e Regionali, ossia tra tutte le Agenzie che operano nel territorio a sostegno dell’integrazione scolastica degli studenti minorati della vista.
Dunque, il “vero” problema del sostegno degli alunni/studenti con disabilità visiva in Italia non sta nella mancanza di “centri di supporto” alla scuola – che ci sono e sono anche parecchi – quanto piuttosto nella totale assenza di una loro “visione d’insieme” e di un loro fattivo e sinergico collegamento, elementi che sarebbero al contrario indispensabili per un proficuo processo di inclusione dei nostri ragazzi nella scuola di tutti.
Anzi, io sono fortemente persuaso che proprio tale assoluta “scolleganza” in materia di politica scolastica tra l’UICI e i suoi Enti collegati sia stata la causa principale del nostro attuale “male scolastico” e cioè dell’inadeguata e precaria preparazione e formazione degli operatori che, a vario titolo, si occupano del sostegno degli studenti non vedenti e ipovedenti.
Consapevole di ciò, il Coordinamento degli Enti collegati dell’UICI, su proposta del presidente nazionale dell’Unione Mario Barbuto, ha recentemente deliberato di costituire un Network per l’Inclusione Scolastica (NIS) tra l’UICI, tutti i CCT della Federazione Pro Ciechi e quelli della Biblioteca Regina Margherita e l’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione), nella convinzione di dover coinvolgere in questo nuovo organismo anche i CTS periferici (Centri Territoriali di Supporto) del Ministero, per una loro effettiva ed efficace “messa in rete” al servizio dell’inclusione scolastica dei ragazzi minorati della vista (al riguardo, rimando ad un mio recente contributo pubblicato su queste stesse pagine).
Questo ambizioso progetto dell’UICI punta dunque a pervenire, entro i primi mesi del nuovo anno, alla sottoscrizione di una Convenzione con il Ministero, perché il NIS venga riconosciuto ufficialmente da esso, configurandosi come una vera e propria “Authority della Tiflologia”.
Il Network rappresenta uno “strumento tecnico” al servizio dell’UICI, costituito da un Board (gruppo di lavoro) molto snello, composto da alcuni esperti del settore e aperto anche ai contributi del mondo della ricerca e dell’università, ed è deputato prioritariamente a definire il percorso formativo e il profilo professionale dei “famosi” assistenti alla comunicazione (di cui all’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92) e dei veri e propri “convitati di pietra” del sostegno degli alunni minorati della vista e cioè i tiflologi…
Oggi, infatti, la “figura” del tiflologo non esiste per legge e non dispone di un apposito albo professionale, così come, d’altra parte, molti assistenti alla comunicazione sono improvvisati e privi di un’idonea preparazione. Pertanto, con la nascita del NIS si intende garantire agli assistenti alla comunicazione degli alunni disabili sensoriali e ai tiflologi “diritto di cittadinanza”, un’idonea formazione e una “vera” e concreta spendibilità del loro titolo, potendo finalmente far impegnare le Regioni – alle quali compete l’assistenza scolastica e/o domiciliare – ad “obbligare” gli Enti e le Cooperative che erogano tale servizio ad avvalersi di educatori finalmente e adeguatamente specializzati sulla disabilità visiva.
Altro tema caldo è quello della modesta preparazione e dell’indifferibile e ineludibile necessità di una maggiore specializzazione dei docenti di sostegno italiani. Infatti, come detto sopra, nonostante siano trascorsi quasi quarant’anni dalla “sacrosanta” Legge 517/77, tante sono ancora le ambiguità e le precarietà che connotano il sistema del sostegno in Italia.
Mi riferisco ovviamente all’ambiguità e precarietà del “ruolo” stesso del sostegno. L’insegnante di sostegno ha l’obbligo di restare in tale àmbito solo per cinque anni, tra l’altro non necessariamente nella stessa scuola, e non fa parte dell’organico di diritto delle istituzioni scolastiche, ma di un organico provinciale. Tale suo “non ruolo” è il fattore determinante che favorisce la provvisorietà e occasionalità della scelta degli insegnanti di sostegno, che preferiscono “fuggire” presto da questa “ibrida” classe di concorso, per passare invece nei ruoli ordinari di docenza. Tutto ciò naturalmente provoca scarsa motivazione, poco interesse all’aggiornamento da parte dei docenti di sostegno e gravissime ripercussioni per la continuità didattica per i nostri ragazzi.
Di ambiguità e precarietà si può parlare anche relativamente alla funzione dell’insegnante di sostegno. Da uomo della scuola, mi è abbastanza chiaro come i docenti di sostegno non abbiano ancora ben compreso se la loro funzione sia quella di insegnare la disciplina agli alunni privi della vista e verificare i loro apprendimenti nelle aule (tra l’altro troppo spesso isolate dalle altre, con la creazione delle tristemente note “aule del sostegno”) o piuttosto quella di supportare il Consiglio di Classe e l’intero contesto scolastico a progettare modelli e percorsi inclusivi a favore dei ragazzi disabili visivi.
Infine, l’ultima e più dannosa ambiguità e precarietà che caratterizza il sistema inclusivo italiano è l’inadeguata e scadente preparazione e formazione dei docenti di sostegno. Dagli opinabili (seppure apprezzabili) corsi polivalenti, si è infatti passati a corsi contraddistinti dall’eccessiva genericità, dall’essere quindi “generalisti” e poco attenti alle specificità e specialità di ciascuna singola disabilità.
Ora, malgrado tali evidenti e strutturali criticità e carenze del “sistema”, io non credo che togliere il sostegno agli alunni minorati della vista e disabili in generale sia la “panacea” e il rimedio giusto. Infatti, nonostante tutto, il nostro sistema inclusivo ci viene invidiato un po’ dappertutto e specialmente in Europa, dove ad esempio in Germania esistono ancora le scuole “speciali” per ciechi e in Francia il cosiddetto “sistema misto” non “vince” né convince.
L’attuale sistema scolastico inclusivo italiano non va spazzato via o eliminato tout court, rifugiandosi magari nelle facili scorciatoie delle “scuole speciali”, va invece riordinato e riformato. E di questo, secondo quanto riferitoci da Raffaele Ciambrone, funzionario del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, durante l’ultima seduta del Consiglio d’Amministrazione della Federazione Pro Ciechi, si sta discutendo in queste settimane in sede ministeriale a proposito dei vari Decreti Attuativi della cosiddetta Legge della Buona Scuola [Legge 107/15, N.d.R.], anche tenendo conto dell’ormai ben nota Proposta di Legge n. 2444 sul sostegno e l’inclusività, promossa dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e dalla FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità).
Tale Proposta di Legge – che noi della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi condividiamo in toto – prevede, lo rammento, le seguenti significative novità sul sostegno: l’obbligo di un semestre di formazione universitaria iniziale per tutti i futuri docenti curricolari; l’obbligo di un’apposita nuova specializzazione dei futuri docenti per il sostegno di durata triennale, successiva a una laurea triennale come avviene per tutti; l’obbligo dell’aggiornamento in servizio sia dei dirigenti scolastici, sia dei docenti curricolari e per il sostegno, che per i collaboratori scolastici e per gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione; l’obbligo di alcune ore mensili di programmazione congiunta di tutti i docenti, come da sempre avviene per i docenti di scuola dell’infanzia e primaria e sino ad oggi assente per i docenti di scuola secondaria; la costituzione di appositi ruoli per il sostegno, distinti per ordine di scuole, dai quali si possa uscire solo per passaggio di cattedra.
Due sono infatti i punti qualificanti su cui dobbiamo insistere in queste settimane di “intenso” dibattito al Ministero sulla riforma del sostegno e cioè: una formazione di base sulla disabilità in generale di tutti i docenti disciplinari e la maggiore specializzazione dei docenti di sostegno con la creazione di un’apposita loro classe di concorso e di un loro “specifico” ruolo.
La formazione di base sulle più disparate tematiche della disabilità di tutti gli insegnanti curricolari è infatti fondamentale per evitare il perverso e fin troppo frequente meccanismo scolastico della “delega” dell’alunno con disabilità – e dunque anche minorato della vista – al solo docente di sostegno, perché in realtà del processo di inclusione si deve far carico l’intero “contesto”.
A tal proposito, “sfruttando” il comma 124 della Legge 107/15, che ha finalmente trasformato l’aggiornamento degli insegnanti in «obbligatorio, permanente e strutturale» (e l’imminente avvio del Piano di Formazione dei docenti sembrerebbe suffragarlo) e approfittando della cosiddetta “Carta del Prof”, le sedi locali dell’IRIFOR dell’UICI, magari integrandosi con la rete dei Centri Territoriali per il Supporto e dei Centri Territoriali per l’Inclusione Provinciali, stanno per attivare diversi corsi formativi, per fornire ai docenti curricolari e di sostegno un’adeguata preparazione di base sulla disabilità visiva.
Invece, la maggiore specializzazione dell’insegnante di sostegno e la costituzione di un suo ruolo “ordinario” potrà finalmente dotarlo di quelle competenze pedagogiche, didattiche, tecniche e metodologiche (nel caso della cecità e dell’ipovisione, ad esempio, la conoscenza della tiflodidattica, della tifloinformatica e del braille), capaci di “trasformarlo” in un “progettista” e attuatore di modelli inclusivi, volti a rendere efficaci gli insegnamenti e gli apprendimenti degli studenti privi della vista in un ambiente veramente “accogliente”.
Per quanto finora argomentato, l’UICI e tutti i suoi Enti collegati ritengono che togliere gli alunni con disabilità visiva dalla scuola “normale” possa lasciare il tempo che trova. Un errore imperdonabile della Pedagogia moderna è quello di pensare che, dopo la Legge 517/77, l’inclusione scolastica e l’educazione speciale si elidano reciprocamente, piuttosto che integrarsi tra loro. La nostra soluzione è invece quella di potenziare l’attuale sistema di inclusione scolastica, definendo una volta per tutte i profili delle figure professionali dell’assistente alla comunicazione e del tiflologo e creando una rete tra tutti i “centri di supporto” al sistema scolastico del sostegno (vedasi la costituzione del NIS) e, soprattutto, un ruolo “specifico” del sostegno nella scuola di tutti e di ciascuno.
Solo così potranno essere fugate le tentazioni di ritorni anacronistici alle “scuole speciali”, garantendo veramente accoglienza e inclusione a tutti gli alunni con disabilità visiva.