Piccola, pianeggiante e con una buona presenza di servizi. È Ravenna, così come viene vissuta dalle donne con disabilità o madri di figli con disabilità, che hanno partecipato al progetto Stare di casa nella città: donne con disabilità [se ne legga la nostra ampia presentazione, pubblicata nel mese di febbraio di quest’anno, N.d.R], promosso dall’Associazione Liberedonne che gestisce la Casa delle Donne di Ravenna e finanziato dal Comune della città romagnola.
Gli aspetti della città che sono risultati “facilitanti” per chi ha una disabilità, sono paradossalmente anche la fonte delle criticità segnalate dalle partecipanti. «Ravenna è piccola, alle sette di sera si spegne e pur essendoci molte proposte culturali, si svuota, con conseguente insicurezza e difficoltà a muoversi perché non ci sono i mezzi di trasporto – ha spiegato all’Agenzia “Redattore Sociale” Piera Nobili, architetta, direttrice tecnica del CRIBA Emilia-Romagna (Centro Regionale di Informazione sul Benessere Ambientale) e socia della Casa delle Donne di Ravenna -, è pianeggiante, ma la poca manutenzione su strade e marciapiedi la rendono di difficile accessibilità per chi ha una disabilità sensoriale o motoria. Infine, i servizi ci sono, ma spesso non sono collegati tra loro, costringendo chi ha una disabilità a doversi informare per capire come approcciarsi a questi e spesso a dover ripetere procedure già fatte».
Ma quanto è inclusiva e sicura la città per le donne con disabilità o per le madri di figli con disabilità? Come sono vissuti spazio e tempo in relazione alla fruizione della città? Cosa significa organizzare la vita quotidiana, socializzare, partecipare alla vita cittadina? Queste le domande da cui è partito il progetto.
Dopo la presentazione pubblica, nel mese di febbraio scorso, ci sono state interviste di gruppo a donne con disabilità e con figli con disabilità («Non è stato facile intercettarle perché per loro non è semplice partecipare, per motivi legati a imprevisti della vita quotidiana, per la difficoltà di organizzare il quotidiano per sé o per la mancanza di qualcuno che le accompagnasse nel luogo dove si svolgevano le interviste»), e infine interviste narrative a cui hanno partecipato ventiquattro donne. «Il campione non è numericamente significativo, ma diventa tale è se pensiamo ai motivi di cui ho parlato prima e, al di là dei numeri, sono uscite riflessioni importanti», ha aggiunto Nobili.
Il 3 dicembre scorso, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, sono stati quindi presentati i risultati.
Casa, sicurezza, lavoro sono alcuni dei temi usciti dalle interviste. «La casa è vissuta come luogo protetto in cui muovere in libertà ed essere autonome, ma anche come gabbia – ha spiegato Nobili -, perché se la città di sera e di notte non dà sicurezza per il fatto di essere donne e avere una disabilità, quindi fragili, la casa diventa una “gabbia” da cui non si esce se non in compagnia. Una valutazione che le donne spesso fanno a prescindere dalla disabilità».
Il tema della vigilanza è emerso, «ma non in termini di maggiore presenza di autorità – ha precisato l’architetta -, tutte le donne hanno parlato di fiducia, socializzazione, vivibilità come risorse per rendere la città più sicura. Questo dimostra una grande maturità».
Una delle partecipanti, madre di un figlio con disabilità che ha vissuto il terremoto in Emilia del 2012, ha sottolineato l’urgenza del tema della sicurezza in emergenza per le persone fragili. “Il lavoro, in particolare per le madri di figli con disabilità, è un’àncora di salvezza, sia dal punto di vista economico che come spazio fuori dalla relazione con il figlio, uno spazio che le restituisce a loro stesse – ha affermato Nobili -. Queste madri si identificano con i figli e rinunciano a parlare di sé: è una gabbia costruita culturalmente, ma che ci si fa sentendo un gran senso di responsabilità nei confronti dei figli».
Parcheggi, manutenzione dei marciapiedi, arredo urbano e panchine, trasporti, servizi, sicurezza: sono alcune delle priorità segnalate dalle partecipanti nei due World Cafè realizzati in novembre. «Da due anni – ha sottolineato Nobili – vicino alla stazione e in alcune vie del centro storico di Ravenna sono state tolte le panchine, decisione della precedente Amministrazione per evitare che chi è in strada, senza dimora o migranti, facesse capannello o vi dormisse. La cosa è grave in sé, ma lo è ancora di più perché questa decisione non ha tenuto conto delle persone con disabilità che, pur deambulando, si stancano presto e cercano punti di appoggio in cui potersi sedere. Un bisogno che è anche un desiderio, perché muovendosi poco da casa, la panchina è un luogo di ritrovo che permette loro di partecipare, anche solo guardando, alla vita cittadina e, perché no, di incontrare altre persone».
Un’altra proposta riguarda l’accessibilità degli stabilimenti balneari e dei servizi sanitari, ospedale e CUP (Centro Unico di Prenotazione) in primis. «Quello che manca – ha concluso Nobili – è un progetto sull’accessibilità: basta pensare alle piste ciclabili sui marciapiedi senza una separazione che permetta, ad esempio, alle persone ipovedenti di capire dove si trovano. Ecco perché è importante la formazione, perché solo così si diventa consapevoli che le persone con disabilità esistono e che sono cittadini come gli altri. Conoscerle porta a una maggiore attenzione e a non offendere. La formazione avvantaggia le relazioni». (CERPA Italia-Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità)
Ringraziamo Simona Lancioni per la segnalazione.
È disponibile il documento completo riguardante i risultati del Progetto Stare di casa nella città: donne con disabilità. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: casadelledonneravenna@gmail.com.