Il 13 dicembre ha coinciso con il decennale della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata appunto il 13 dicembre 2006. Il documento impegna le 192 Nazioni che compongono l’Assemblea Generale dell’ONU ad adottare leggi che proibiscano diversità basate su qualsiasi forma di handicap, dalla cecità alla malattia mentale.
La giornata di oggi rappresenta certamente un momento unico di incontro e di riflessione per tutti i movimenti italiani di e per i disabili, ma anche un’occasione per guardare fuori dei confini di casa nostra. Sono più di 650 milioni, infatti, i cittadini con disabilità del mondo [secondo alcune fonti si avvicinano in realtà al miliardo, N.d.R.], con seri problemi di integrazione sociale: questo il dato diffuso dalla WDU (World Disability Union), da sempre in prima linea nella lotta per la tutela dei nostri diritti. Si tratta dunque di una realtà molto importante e non certo da sottovalutare, perché numericamente viene “al terzo posto”, dopo le popolazioni di Cina e India.
Il primo ostacolo da abbattere è quello culturale, spingere cioè la società civile a volgere lo sguardo oltre il proprio cortile, oltre l’indifferenza che “acceca” la solidarietà, verso nuovi orizzonti di umanità. Un messaggio, questo, che tutte le nostre Associazioni devono lanciare con ulteriore forza e determinazione, chiedendo un confronto diretto e immediato col mondo politico, che deve ritrovare la propria natura, rimettendo l’uomo al centro della scena. Una “nuova alba” può sorgere, una “rivoluzione copernicana” può compiersi solo in un Paese civile che fa dei più deboli i protagonisti della collettività. Un percorso possibile, però, solo rovesciando la scala dei valori, che nell’epoca contemporanea vedono al primo posto la globalizzazione selvaggia e la “santificazione del denaro”.
La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ha senz’altro gettato le basi anche in Italia per una politica contro le disparità e le discriminazioni, e costituisce sicuramente tra le più grandi conquiste di civiltà degli ultimi anni. Un cambiamento culturale e legislativo di approccio alla disabilità, vista non più come un problema di salute, ma come una questione di “diritti umani”.
Riallacciandosi alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e riaffermando i diritti inalienabili che appartengono a ciascun individuo, essa pone la disabilità come una questione che riguarda l’inclusione, le pari opportunità. Disabili, quindi, non si nasce, ma si diventa ogni volta che si è esclusi, classificati, isolati. Non siamo noi a dover essere riabilitati, ma la società, nel momento in cui ci impedisce di avere beni e servizi, di essere garantiti.
Insomma, la Convenzione ONU, a mio parere, ha avuto e ha il grande merito di invertire finalmente i termini della questione disabilità, quando stabilisce che «ogni trattamento discriminatorio che non ha una giustificazione rappresenta una violazione dei diritti umani».
Pur tuttavia, a dieci anni di distanza, a proposito dell’inclusione sociale dei disabili in Italia, le considerazioni che vengono alla luce sono estremamente scoraggianti. Abbiamo una Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, abbiamo un Piano d’Azione del Consiglio d’Europa per la Promozione dei Diritti e della Piena Partecipazione delle Persone con Disabilità nella Società, incluso nella nella Strategia dell’Unione Europea sulla Disabilità 2010-2020 e la prosecuzione da parte delle Nazioni Unite degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Development Millennium Goals – Beyond 2015), che hanno partorito i diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals), ma concretamente siamo molto indietro. E tutto ciò specialmente a causa dei costanti tagli operati sul welfare nell’ultimo decennio dai vari Governi di ogni colore, in nome della spending review, relegando noi persone con disabilità italiane a un semplice ruolo di “cittadini di serie B”.
Eppure, l’avvenuta ratifica della Convenzione ad opera del nostro Parlamento, il 24 febbraio 2009 [Legge 18/09, N.d.R.], e dell’Unione Europea il 23 dicembre 2010, potrebbero costituire per noi un ulteriore salto di qualità e permetterci di prenderci il “nostro posto nel mondo”. Infatti, proprio su tali ratifiche si concentra la maggior parte delle aspettative dei disabili italiani.
Oggi, quindi, la vera sfida da affrontare e vincere è quella di rimettere al centro il rispetto della dignità di ogni uomo. Un fatto che diventa ancora più importante e cogente, in virtù degli atteggiamenti che, sfortunatamente, troppi Governi mondiali stanno ormai assumendo di fronte all’inarrestabile recente crisi finanziaria ed economica, riducendo alcuni interventi a un vero e proprio “optional”.
Purtroppo, di questi tempi, la disabilità rientra a pieno titolo nell’àmbito di questi “optional”. A mio modesto avviso, quindi, la sfida più grande è proprio a livello culturale, perché le barriere più grandi non sono quelle architettoniche, ma quelle calcificate da secoli nella mente di ognuno di noi.
E allora è giunto il momento di non rimanere più inerti e promuovere azioni concrete, collocando definitivamente la Convenzione ONU al centro dell’agenda politica anche del sistema Italia, come avviene ormai da un po’ di tempo per gli altri Stati più evoluti e civili del mondo, che vi dedicano risorse ed elaborano strategie.
In questo senso, sarebbe auspicabile che la politica italiana per la disabilità fosse pianificata con le tecniche del “management”, servisse per rafforzare il rapporto di conoscenza, fiducia, visibilità con tutta l’utenza e non soltanto con quella dei disabili e fosse finalmente considerata una funzione trasversale alle altre attività della Pubblica Amministrazione. Essa, infatti, è un’attività complessa, in quanto interseca svariati settori e impegna seriamente la classe dirigente sul fronte dello stato sociale, dell’accessibilità al web e alle nuove tecnologie, dell’inclusione scolastica, del lavoro, della formazione professionale, dell’accesso ai beni e ai servizi, della fruibilità degli spazi e degli ambienti e della “progettazione universale” (Universal Design).
L’inserimento di questi princìpi ispiratori della Convenzione ONU all’interno dell’agenda politica e delle pratiche di sviluppo del nostro Paese richiede indubbiamente da parte del Parlamento e del Governo, che ricoprono un ruolo chiave in ogni sua fase di attuazione, conoscenza appropriata del contesto interno ed esterno dell’“universo della disabilità”, pianificazione strategica e capacità di utilizzare e gestire le risorse umane e strumentali in modo davvero inclusivo per tutti e per ciascun cittadino.
Insomma, la grande conquista della Convenzione ONU sarebbe quella di “sdoganare” una volta per tutte anche in Italia gli interventi a favore delle persone con disabilità, non ritenendoli più un segmento residuale e marginale della nostra politica. Essi, invece, sono ormai da stimarsi come interventi strutturali e istituzionali della Pubblica Amministrazione e, per così dire, parte integrante di essa, in attuazione dei princìpi di «buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione», sanciti dall’articolo 97 della nostra Costituzione e, soprattutto, in ossequio ai diritti largamente presenti nella Costituzione stessa (si pensi al principio della solidarietà dell’articolo 2, a quello di uguaglianza dell’articolo 3 e a quello di assistenza dell’articolo 38).
Ma, trascorsi ormai dieci anni dalla fatidica data del 13 dicembre 2006, come intendono affrontare e magari vincere oggi e domani questa impegnativa ed esaltante sfida le Associazioni di e per persone con disabilità del nostro “Bel Paese”?
L’alternativa è tra una battaglia solitaria o in compagnia di altri soggetti sociali. Personalmente propendo per la seconda ipotesi: ritengo infatti che sia finito il tempo per le battaglie solitarie e che di fronte alla crisi finanziaria, economica, sociale, morale, politica e culturale che attraversa l’intero pianeta, sia necessario unire le forze, per ricacciare indietro tutti i tentativi in atto – anche nel nostro Paese – di esclusione sociale.
E tuttavia, per compiere il “miracolo” di questo obiettivo, dobbiamo creare una forte alleanza fra tutti coloro che credono nei diritti umani, nel diritto di avere i diritti, e siamo tanti: il mondo della disabilità, le loro famiglie, il mondo del volontariato, il Terzo Settore…
Al riguardo, una risposta adeguata del nostro Ministero del Lavoro mi pare essere stata la nascita dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, istituito dalla Legge 18/09, quale conseguenza della ratifica italiana e in attuazione della Convenzione ONU. L’Osservatorio, infatti, rappresenta forse oggi il livello più alto e qualificato di incontro tra pubbliche autorità statali e locali, organizzazioni sindacali e datoriali, strutture e servizi di volontariato, associazioni di rappresentanza delle persone con disabilità.
A testimonianza dell’impegno profuso da tale organismo, le attività del Piano d’Azione del Consiglio d’Europa sono state inserite nel Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità, approvato nel 2013 dal nostro Governo [DPR del 4 ottobre 2013, N.d.R.].
Ma ciò non basta. Da parte nostra, infatti, continuiamo a sottolineare, nelle sedi istituzionali e non, l’importanza di includere esplicitamente e di fare attuare concretamente i già citati diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’ONU lo scorso anno, al fine di non rendere l’Osservatorio un mero “iperuranio” e un’occasione sprecata ma, soprattutto, per garantire alle persone con disabilità il pieno ed eguale godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Soltanto così la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006 potrà indicare realmente, e non solo sulla carta, la “strada maestra” che il nostro Paese deve percorrere, per garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale di tutti i cittadini con disabilità.