Alcune settimane fa l’Unesco l’ha inserito nella lista dei Patrimoni orali e immateriali dell’umanità. È solo l’ultimo capitolo della millenaria storia dello yoga, una storia sospesa tra mito e realtà.
Narra la leggenda che un pesciolino curioso origliò il dio Shiva mentre rivelava alla sposa Parvati i segreti della pratica. Il piccolo pesce nuotò per le acque del mondo, sperimentando su di sé gli insegnamenti della divinità. Tappa dopo tappa, passò attraverso il percorso evolutivo della disciplina e si trasformò in un uomo, il primo yogin [chi pratica lo yoga], grazie a cui l’essere umano oggi conosce lo yoga.
Una simpatica favola antica, e tuttavia è vero che le origini dello yoga si perdono nella notte dei tempi. Le prime testimonianze sono arrivate a noi dall’India sotto forma di disegni su monete, tavolette e sigilli del 5000 avanti Cristo. Allora il maestro insegnava al discepolo e la trasmissione del sapere era unicamente orale; per trovare un testo scritto sull’argomento, infatti, bisognerà aspettare il 3000 avanti Cristo.
Lo yoga era inteso come un insieme di tecniche meditative per esplorare la natura dell’anima, raggiungere la consapevolezza e gestire le emozioni. È all’inizio del Ventesimo Secolo che incominciano ad essere presi in considerazione i molteplici benefìci che se ne possono trarre. Agli effetti positivi sulla salute dello spirito, oltre che del corpo, si deve negli ultimi anni l’enorme diffusione in Occidente e l’interesse in ambiente scientifico che comincia a studiarlo con attenzione. Non è la panacea di tutti i mali, né un medicinale (nessun insegnante yoga ve ne parlerebbe in questi termini), gli vengono tuttavia riconosciute interessanti potenzialità per favorire il benessere.
Anche coloro che non hanno mai frequentato un corso specifico, sanno che yoga, nell’accezione tradizionale, è sinonimo di posizioni a volte semplici, altre più “contorte”, e in ogni caso, ad occhi profani, impossibili per le persone con disabilità. Niente di più sbagliato: si può essere yogin anche in presenza di una disabilità. Anzi, proprio in quest’àmbito si possono trovare applicazioni sorprendenti. Yoga, infatti, non è il raggiungimento della posizione perfetta, poiché esso abbraccia tutte le dimensioni dell’essere, il corpo, la mente, l’energia e lo spirito, come suggerisce la radice sanscrita del nome, Yuj, ovvero “unione”. In presenza di una disabilità, diventa uno strumento di inclusione che valorizza le differenze e consente a ognuno di relazionarsi con i propri limiti, assecondandoli. La natura non competitiva della disciplina permette alla persona di sentirsi libera di essere esattamente com’è, senza paura del giudizio altrui. Migliora pertanto l’autostima, senza contare l’amicizia che si crea nel gruppo, un valido strumento di socializzazione, per uscire dal proprio guscio di timori.
Per uno yogin, il corpo è un “laboratorio” per ricercare un equilibrio; va da sé che in presenza di un corpo con “blocchi” imposti dalla disabilità, la pratica costante aiuta a fare un viaggio introspettivo per conoscersi e accettarsi, fino a raggiungere l’armonia interiore. Yoga è cognizione del movimento in accordo con il respiro, progressione nel rispetto delle limitazioni che tutti noi, in maniera diversa, possediamo. Dal punto di vista fisico, eseguire le asana (le “posizioni”) e le tecniche di respirazione (pranayama), supportati da qualche accorgimento per aggirare gli ostacoli oggettivi dovuti alla disabilità, assicura una migliore circolazione sanguigna, stimola le funzioni nervose e sviluppa i muscoli deboli.
Se ancora guardate con “diffidenza” lo yoga per disabili, le parole di Gian Piero Carezzato potranno demolire le vostre ultime barriere.
Milanese classe 1969, Gian Piero è un uomo con disabilità. Ha incontrato lo yoga a 22 anni e da allora non l’ha mai lasciato. Nel 2008 si è diplomato insegnante, proprio con una tesi su Yoga e disabilità. Iscritto all’Albo Insegnanti della Federazione Italiana Yoga, ha partecipato, anche in veste di relatore, a numerosi festival e convegni. Oggi insegna a Milano presso il Centro Yogabile, un luogo aperto a tutti, dove la base della pratica è il rispetto del proprio limite.
Gian Piero Carezzato, come si è avvicinato allo yoga?
«Mi sono avvicinato allo yoga all’età di 22 anni per un forte stress emotivo legato alla mia condizione di disabilità, stress emotivo dovuto alle pressioni che il mondo esterno recava su di me. Ricordiamoci che la disabilità è qualcosa di culturale, se non ci fossero pressioni da parte del mondo esterno che ci fanno sentire “diversi”, non avremmo alcun disagio da dover gestire interiormente. E non mi riferisco solo alla disabilità di nascita, ma a tutte le disabilità che riguardano tutti gli esseri umani che, non sentendosi accettati per quello che sono, vengono “giudicati diversi”, in quanto non aderenti a una “forma” omologata.
Lo yoga mi ha insegnato che è sbagliato farsi “definire” da qualcosa che è esterno a noi. Tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno per sentirci bene è dentro di noi, è in noi, siamo noi, con tutte le nostre differenze che sono ricchezza».
Quante sono in Italia le persone con disabilità di diverso genere che lo praticano? E i centri dove si insegna questa disciplina ai disabili?
«Onestamente non so darle una risposta. Credo che l’offerta sia legata alle iniziative dei singoli insegnanti. Da me vengono parecchie persone con disabilità che frequentano il mio Centro Yogabile, ma tutte queste persone con disabilità sono in realtà “normodotati” che hanno grandi difficoltà nell’eseguire le asana (posizioni a corpo libero), grandi difficoltà ad accettarsi per quello che sono e come sono. Come vede la soglia tra ciò che ci definisce persone con disabilità e normodotati è veramente sottile, come il soffio di un respiro».
Nel caso di una disabilità fisica, esistono ausili o adattamenti particolari che possono aiutare la persona ad avvicinarsi ad una postura il più possibile corretta?
«In questo caso gli adattamenti e gli ausili sono legati all’esperienza dell’insegnante, alla sua sensibilità e voglia di mettersi a disposizione del praticante, rimanendo in profondo “ascolto” per cogliere, “sentire” e capire le varie esigenze. L’insegnante si deve mettere in “discussione” imparando dall’allievo. Non esiste un prontuario o un protocollo da seguire. Siamo tutti “diversi” e abbiamo tutti esigenze “diverse”. Lo yoga ti guida all’ascolto, nel trovare una “soluzione” di fonte a una difficoltà, ti accompagna nel trovarla».
In presenza di una disabilità visiva, quali accorgimenti deve prendere il maestro?
«È molto importante maturare, da parte dell’insegnante, una buona esperienza nel descrivere e nel guidare con la voce la posizione. La presenza fisica dell’insegnante è molto importante, e mentre corregge la posizione con la sua presenza fisica, è importante che si impegni a spiegare verbalmente cosa sta facendo fare, così da dare sempre una traccia chiara, assieme alla sua presenza fisica».
Molti pensano che per praticare lo yoga sia necessario un corpo “snodato” e perfetto, ma se così fosse i corsi sarebbero seguìti da ben poche persone. Altri miti da sfatare?
«Lo yoga non è mai una posizione da prendere e tenere in modo perfetto, ma è una possibilità da scoprire, una possibilità che è in noi, è già presente in noi, e che va solo lasciata esprimere. Si fa un gran parlare di yoga riferendosi solo alle asana, ovvero le posizioni fisiche a corpo libero (terzo gradino dello Yoga Regale Di Patanjali). Ma lo yoga è molto di più, è una via graduale di profondo rispetto dei propri limiti. Le posizioni non vanno né prese né tenute, vanno “com-prese”, perché nel momento in cui comprendo quella posizione comprendo me stesso. Ma ho bisogno di tempo, mi devo dare tempo. Il tutto e subito nello yoga non esiste. Non ci sono obiettivi nello yoga, ma il vissuto di quello che stiamo “facendo”, il vissuto della nostra azione, di tutte le sensazioni che si stanno manifestando in questa azione. Le posizioni a corpo libero vanno respirate, in quanto nello yoga il respiro è il cuore della pratica. I limiti, più che superati, vanno affrontati gradualmente, così da scioglierli attraverso il respiro e trasformarli in opportunità che fanno emergere il nostro potenziale. Le posizioni non solo possono essere modificate in base alle esigenze, ma è proprio attraverso questo adattamento della posizione alle nostre possibilità, e il nostro adattamento alla posizione, che si instaura quel processo di risveglio che trasforma “il dover raggiungere la forma esteriore perfetta”, spesso associata a stereotipi, in una possibilità di liberarsi da questo pregiudizio, e concedersi finalmente la possibilità di essere semplicemente ciò che siamo.
Lo yoga è attraversare le soglie del nostro essere grazie al respiro, andando a sciogliere tutte le varie ipotesi di ciò che siamo, i nostri abiti mentali, i pregiudizi, passare dal “fare” all’essere».
Si può quindi dire che questa disciplina, tra le tante potenzialità, ha anche il potere di farci comprendere che “tutti sono un po’ disabili”?
«Rischio di ripetermi con quanto ho detto sopra. Il confine tra persona con disabilità e “non” è veramente sottile. Noi rimaniamo persone con disabilità quando ci identifichiamo con le immagini mentali e stereotipate che si sono costruite in noi nel tempo, attraverso le nostre esperienze e i vari input ricevuti. Non ci sono mai limiti definiti né possibilità definitive, ci sono i nostri percorsi per scoprire chi realmente siamo, senza mai farci definire da qualcosa di esterno a noi, ma nemmeno ci dobbiamo definire noi stessi».
A livello mentale e spirituale, i suoi allievi con disabilità quali miglioramenti hanno ottenuto?
«Le rispondo con quello che lo yoga mi ha fatto capire: ho compreso che dovevo scoprire il mio corpo (senza rifiutarlo) per comprendere il “perché” del mio corpo e capire chi ero. Grazie allo yoga, ho avuto la possibilità di conoscere il significato di ogni sua stratificazione. Adesso la spiazzerò dicendole che lo yoga è innanzitutto “sapere di non sapere”, dunque io stesso sono ancora “in cammino”. Da un punto di vista molto concreto, lo yoga riduce lo stress emozionale che può “assediare” costantemente una persona con disabilità, sciogliendo nel tempo l’aspetto totalizzante che la condizione di disabilità reca.
Le ripeto, a mio avviso il problema culturale della disabilità è ancora tutto da affrontare nel suo nucleo. Lo yoga ci offre la possibilità e l’opportunità di rivedere profondamente noi stessi rispetto a che cosa sia o non sia la disabilità, ed è un percorso che anche noi persone con disabilità dobbiamo compiere, per liberare noi stessi dal bagaglio di trama culturale che ci condiziona. Infatti, come le dicevo, lo yoga è molto di più delle posizioni, è respiro, concentrazione, meditazione. Sono tecniche e strumenti che ci consentono di cambiare ritmo interiore, ridurre la soglia di allarme sempre presente, ridurre il senso di inadeguatezza e aumentare l’autostima, relativizzare e ridimensionare ciò che è fuori rispetto a ciò che è dentro, sono tecniche di pranayama (respirazione), mantra yoga, concentrazione e meditazione. È un universo molto vasto quello dello yoga, che ci consente di trasformare la soglia del limite (ovvero mancanza) in potenziale di base da cui poter iniziare un nuovo viaggio alla scoperta di se stessi (ovvero pienezza).
Non posso dirle esattamente quali miglioramenti possano avere ottenuto i miei allievi dalla pratica, perché la pratica è strettamente personale; mi auguro più serenità e la possibilità di accettarsi, liberandosi così dalle aspettative del “mondo” esterno».
A lei cosa ha regalato lo yoga?
«Serenità, autostima, potenziale, ma soprattutto libertà. Libertà di essere ciò che io sono, senza che nessuna immagine stereotipata o etichetta possa incasellarmi. È un viaggio che richiede anche tanta responsabilità verso se stessi, in quanto lo yoga, per agire, ha bisogno di noi, della nostra costanza nella pratica».
Per ulteriori approfondimenti: yogabile@gmail.com.
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