A proposito di un articolo recentemente apparso sulla «Sicilia», a firma di Carmen Greco, intitolato Dal giudice per dare un’istruzione a mia figlia autistica, riguardante una Sentenza del Tribunale di Catania che ha garantito a una ragazza con disabilità l’insegnante di sostegno per l’intero orario curricolare, non posso concordare con il plauso espresso per tale provvedimento.
Il commento di Carmen Greco, infatti, ha un incipit del tutto condivisibile, ove denuncia l’alternarsi “criminale” di docenti per il sostegno nel corso dei primi mesi dell’anno scolastico; poi, però, si parla esclusivamente della “vittoria” ottenuta tramite il conseguimento di tante ore di sostegno quante sono le ore di insegnamento e questo tema – che con la sacrosanta denuncia della discontinuità didattica non ha nulla ha che fare – non mi trova concorde. Perchè?
Presto detto: l’inclusione scolastica, così come l’abbiamo voluta e realizzata negli ultimi Anni Sessanta e nei primi Anni Settanta, si è basata sul principio che gli alunni con disabilità siano alunni della classe e quindi dei docenti della classe, come tutti gli altri. Inizialmente, infatti, non esistevano i docenti per il sostegno, che cominciarono ad operare di fatto alla fine del ’75 e poi legalmente con la Legge 517/77. Il progetto di vita inclusivo era predisposto e realizzato sostanzialmente dai docenti curricolari, che non avevano classi affollate e per i quali il Ministero di allora aveva organizzato moltissimi corsi di aggiornamento sulle esperienze e gli studi iniziali di didattiche inclusive, avviati tra i primi da Andrea Canevaro dell’Università di Bologna.
Purtroppo nei decenni successivi le classi sono diventate sempre più affollate, anche con la compresenza di più di un alunno con disabilità, e i corsi di aggiornamento si sono ridotti di numero; contemporaneamente i docenti curricolari, approfittando della crescente presenza di docenti per il sostegno che venivano specializzandosi, hanno iniziato a ritrarsi da quegli iniziali interventi didattici, delegandoli sempre più ai docenti per il sostegno. Ciò, con l’andar del tempo, ha fatto sì che tutta la presa in carico del progetto inclusivo gravasse esclusivamente, specie nelle scuole secondarie, sui docenti per il sostegno, specializzati o meno.
Di conseguenza, quando a causa dei crescenti tagli alla spesa pubblica il numero di ore di sostegno è andato sempre più riducendosi, gli alunni con disabilità sono stati abbandonati sempre più a se stessi in fondo alla classe o raggruppati nelle cosiddette “aule di sostegno”. Tutto ciò ha costituito una palese crescente violazione della lettera e dello spirito della normativa sull’inclusione scolastica, donde le giuste reazioni dei genitori, rivoltisi sempre più ai Giudici, per ottenere un crescente numero di ore di sostegno, sino a pervenire a Sentenze, come quella prodotta dal Tribunale di Catania, che ritengono di garantire il diritto all’inclusione, assegnando lo stesso numero di ore di sostegno pari al numero di ore di lezione. E questo sta producendo un totale disinteresse dei docenti curricolari per il progetto inclusivo e una mancata inclusione sostanziale degli alunni con disabilità, tanto è vero che sempre più genitori parlano del “proprio” docente per il sostegno.
Può darsi che le famiglie più giovani ritengano l’attuale situazione e le Sentenze come quella del Tribunale di Catania un passo avanti nella conquista del diritto all’inclusione scolastica; io però la penso diversamente, poiché ho sperimentato, da minorato della vista, l’inclusione nel “profondo Sud”, a Gela in Sicilia, negli Anni Cinquanta, quando la normativa inclusiva era inesistente anche nella mente del Legislatore, e ho realizzato tale inclusione solo con i miei docenti curricolari di allora e con i miei compagni di classe, con i quali ancora, a quasi ottant’anni, mi ritrovo a parlare, in forza dell’amicizia nata tra i banchi di scuola e poi all’università.
Mi permetto pertanto, rivolgendomi a chi voglia accogliere il consiglio di un vecchio, di non brindare a questi falsi successi, ma di battersi per una seria ripresa della formazione iniziale e in servizio dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive. Sia chiaro, non penso assolutamente a rinunciare alle preziose figure dei docenti per il sostegno, ma, come dice la loro stessa denominazione, essi devono essere “di sostegno” ai colleghi curricolari, per l’inclusione tra loro degli alunni con e senza disabilità. Oggi invece – e sfido chiunque a smentirmi – essi sono divenuti i sostituti dei veri artefici dell’inclusione, che debbono essere appunto i docenti curricolari. E Sentenze come quella del Tribunale di Catania rafforzano purtroppo nelle famiglie, nell’opinione pubblica e,addirittura negli stessi docenti curricolari, l’idea che più sono le ore di sostegno assegnate, più cresce la qualità dell’inclusione.
Voglio dunque sperare che il piano nazionale di formazione obbligatoria in servizio avviato dal Ministero a seguito della Legge 107/15 (Buona Scuola), riesca a colmare il vuoto lasciato nella formazione delle didattiche inclusive dei docenti curricolari e che gli indicatori di qualità dell’inclusione, che l’emanando Decreto Delegato sull’Inclusione dovrà individuare, permettano di tornare a misurare il livello dei valori iniziali dell’inclusione scolastica realizzati quotidianamente nelle classi di oggi.
Ho ragione di ritenere in tal senso che sia la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), sia la FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), ovvero le due principali Federazioni di Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari la pensino come me.