Decreto sull’inclusione: un eccesso di delega?

«C’è un aspetto – scrive Carlo Giacobini – che sembra essere sfuggito ai primi commenti sullo schema di Decreto per l’inclusione scolastica prodotto dal Governo e approdato all’esame delle Camere. Cogliendo infatti l’occasione della delega sull’inclusione, l’Esecutivo mette mano, in modo più complessivo, sulle più complessive procedure e competenze in materia di riconoscimento dell’handicap. E l’esame dei testi, oltre a fare emergere un vero e proprio “corto circuito” legislativo, porta all’ipotesi che in questa materia vi sia stato effettivamente un eccesso di delega»

Viso di uomo con mano sul volto ed espressione di sconforto

Secondo Carlo Giacobini, la parte dello schema di Decreto sull’inclusione dedicata alla certificazione degli alunni con disabilità e alle Commissioni Mediche, dà vita a un vero e proprio “corto circuito”

Al momento c’è un aspetto che sembra essere sfuggito ai primi commenti sullo Schema di decreto legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, l’Atto del Governo n. 378 approdato all’esame delle Camere in questi giorni. Questa lacuna è comprensibile, visto che il testo desta perplessità per altri aspetti a tutta prima più rilevanti.
Veniamo subito al punto: cogliendo l’occasione della delega sull’inclusione scolastica, l’Esecutivo mette mano, in modo più complessivo, sulle più complessive procedure e competenze in materia di riconoscimento dell’handicap (Legge 104/92). L’eventuale eccesso di delega è questione che spetta ad altri rilevare e, se del caso, frenare. Qui ci limitiamo ai testi.

All’interno del Decreto, dunque – che vorrebbe appunto promuovere l’inclusione scolastica -, vi sono due articoli, il e il , che trattano di Certificazione e valutazione diagnostico-funzionale e delle Commissioni Mediche preposte a tale attività. L’intento espresso vorrebbe essere quello di garantire un maggiore rigore e una maggiore omogeneità nella definizione del quadro diagnostico e funzionale. Ma l’altro intento è quello di garantire una razionalizzazione delle risorse e un’omogenea distribuzione delle stesse in relazione al fabbisogno di assistenza, sostegno, trasporto. Insomma, evitare abusi.
E in tal senso il Legislatore pensa bene di prevedere una modifica della Legge 104/92, sostituendo il comma 5 dell’articolo 12, che ora quindi andrebbe a recitare: «All’accertamento della condizione di disabilità degli alunni e degli studenti ai sensi dell’articolo 3, fa seguito una valutazione diagnostico-funzionale di natura bio-psico-sociale della disabilità ai fini dell’inclusione scolastica, utile per la formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEl) che è parte integrante del progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328»; e sopprimendo i commi 6, 7, 8 dello stesso articolo 12, per aprire la strada a una diversa impostazione e procedura.
Merita solo di appuntare che la mera valutazione diagnostico-funzionale è ben lontana dalla valutazione bio-psico-sociale vagheggiata dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Ed è lontana anche da un’applicazione completa dell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Essa, infatti, si limita alla valutazione delle limitazioni delle strutture e delle funzioni corporee e non entra nei domini dell’attività e della partecipazione, né in quello dei fattori ambientali. In tal senso, i termini «bio-psico-sociali» appaiono come giustapposti e incongruenti, contraddizione che ritroviamo già nel comma successivo, laddove si profila la definizione dei criteri per la definizione della disabilità (attenzione: non solo di “alunno con disabilità”).
Il primo richiamo è prettamente medico: la Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (ICD) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; quindi “bio”, tutt’al più “psico”, ma per nulla “sociale”.
Il secondo richiamo lascerebbe sperare, non tanto nella garanzia dei diritti umani, ma almeno in una più ampia lettura scientifica della disabilità. E invece ci si riferisce sì al citato ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma, ancora una volta, per la sola valutazione diagnostico-funzionale. Attività, partecipazione, fattori ambientali e relativi indicatori e qualificatori restano fuori, assieme a una scientifica definizione dei facilitatori. Ma tant’è.

E veniamo al tema dell’omogeneità, che viene “risolto” affidando all’INPS la competenza, in accordo con Ministero della Salute, di definire le relative linee guida operative valide su tutto il territorio nazionale. Ma chi svolgerà le attività di accertamento? Lo farà una nuova Commissione, rimpiazzando, in parte, quelle esistenti. Per comprenderlo, però, bisogna mettere assieme le modifiche legislative proposte.
Nella legislazione vigente, l’accertamento di riferimento è quello previsto dalla Legge 104/92. L’articolo 4 di quella norma, infatti, ci spiega come dev’essere costituita la Commissione, ricordando che gli accertamenti «sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all’articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie». Nel ’92, quindi, si pensò di integrare le Commissioni di accertamento delle minorazioni civili, con un operatore sociale e un esperto nei casi da esaminare. Ma come erano (e come sono) composte quelle Commissioni? Ce lo diceva appunto la citata Legge 295/90, ancora in vigore: «Un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro», e precisava (attenzione): «Sono di volta in volta integrate con un sanitario in rappresentanza, rispettivamente, dell’Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili, dell’Unione italiana ciechi, dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordi e dell’Associazione nazionale delle famiglie dei fanciulli ed adulti subnormali, ogni qualvolta devono pronunciarsi su invalidi appartenenti alle rispettive categorie».
Pertanto, come da Legge 104/92, la Commissione ad oggi è così costituita: un medico legale, altri due medici, un sanitario in rappresentanza delle Associazioni di categoria, un operatore sociale, un esperto nei casi da esaminare. Sei professionisti a cui si aggiunge obbligatoriamente, dal 2011 un medico INPS.
Che cosa cambia? Lo schema di Decreto licenziato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri introduce, all’articolo 6, una novità che pone parecchie perplessità o, ad essere ottimisti, dubbi applicativi. In sostanza, si aggiunge un nuovo periodo all’articolo 4 della Legge 104/92, scrivendo: «Nel caso in cui gli accertamenti riguardino soggetti in età evolutiva, le Commissioni Mediche di cui alla legge 15 ottobre 1990, n. 295, sono composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici, dei quali uno scelto tra gli specialisti in pediatria e l’altro tra gli specialisti in neuropsichiatria infantile. Le Commissioni sono obbligatoriamente integrate dal medico lNPS come previsto dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 19, comma 11».
Dunque, nel caso in cui si tratti di un adulto o di un anziano, continua a valere la disciplina già vigente. Nel caso invece di età evolutiva si cambia, con gli specialisti di medicina del lavoro che sono – comprensibilmente – sostituiti da neuropsichiatri e pediatri. Ciò che tuttavia non è chiaro è se permangano gli altri componenti già aggiunti dalla Legge 104/92: l’esperto nel caso da esaminare e l’operatore sociale. E già il fatto che non sia chiaro non è un buon segnale di qualità regolamentare.

Prima però di far comprendere questo vero e proprio “corto circuito”, leggiamo anche il comma successivo dell’articolo 5 dello schema di Decreto. Esso prevede che la Commissione sia integrata «da un terapista della riabilitazione, da un operatore sociale e da un rappresentante dell’Amministrazione scolastica con specifiche competenze in materia di disabilità, nominato dall’Ufficio scolastico regionale competente per territorio e scelto tra i docenti impegnati in progetti e convenzioni di rilevanza culturale e didattica».
Lasciamo da parte i dubbi sul terapista della riabilitazione (perché non un logopedista? Un terapista occupazionale? Un esperto in tiflodidattica? ecc.). Lasciamo perdere anche l’inquietante annotazione che tali figure dbbano essere integrate «nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente», le quali tendono allo zero… Poniamoci invece nuovamente la domanda: quale sarà la nuova composizione? La vecchia Commissione come da Legge 295/90 in cui i due medici del lavoro sono sostituiti da neuropsichiatra e pediatra e integrata dalle nuove figure? Oppure la vecchia Commissione come da Legge 104/92, con il neuropsichiatra, il pediatra e tutte le altre figure già previste e quelle nuove? Nel primo caso la Commissione finale sarebbe composta da sette operatori: medico legale, neuropsichiatra, pediatra, operatore sociale, terapista della riabilitazione, rappresentante dell’Amministrazione Scolastica, medico INPS e un sanitario in rappresentanza delle Associazioni di categoria. Nel secondo caso, invece, avremmo una commissione composta da dieci operatori: medico legale, neuropsichiatra, pediatra, operatori sociali (due), esperto nel caso da esaminare, terapista della riabilitazione, rappresentante dell’Amministrazione Scolastica, medico INPS e un sanitario in rappresentanza delle Associazioni di categoria.
Sarcasticamente: quali possono essere le performance di un ragazzino osservato da venti occhi? Amaramente: sotto il profilo tecnico è un vero e proprio pastrocchio.

Ma perché inizialmente abbiamo ipotizzato un eccesso di delega? Osservando ciò che la “nuova” commissione dovrebbe produrre, notiamo che non si limita certo a quella enfatizzata valutazione diagnostico-funzionale di cui si è sopra accennato, né si limita all’àmbito scolastico. Infatti: «a) individuano per ciascun soggetto e successivamente alla predisposizione della valutazione diagnostico-funzionale, le tipologie di prestazioni sociali e sanitari e le quantificano; b) accertano il diritto al sostegno didattico, fermo restando quanto previsto ai commi 4 e 5 del presente articolo».
Lo scombiccherato comma successivo restituisce la confusione del quadro: «4. L’individuazione e la quantificazione di cui al comma 3, lettera a) e il fabbisogno assistenziale e per il trasporto nonché l’accertamento del diritto di cui al comma 3, lettera b), sono effettuati esclusivamente sulla base della valutazione diagnostico-funzionale che è distinta dall’accertamento della condizione di disabilità di cui agli articoli 3 e 4 della legge n. 104 del 1992».
Ciò lascerebbe intendere che i sostegni – di qualsiasi natura – derivano da una limitazione delle strutture o delle funzioni corporee, non certo da una valutazione del profilo di funzionamento (quindi contesto, attività, partecipazione, ostacoli, facilitatori).
E in ogni caso, qualunque sia la supposizione, di certo questa nuova procedura ha, per le persone in età evolutiva, ricadute immediate su aree di vita, agevolazioni, sostegni che vanno oltre l’àmbito scolastico. E su questo l’Esecutivo, nella Legge 107/15, non aveva delega.
In questo modo, infine, sono evidenti le fughe dalla necessità – sancita anche dal secondo Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità, che è in via di pubblicazione – di una profonda e ben più ragionata riforma dell’intero sistema di riconoscimento della disabilità (quella vera, non la minorazione come in questo caso).

Direttore editoriale di «Superando.it».

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