Sulle lacunose “prestazioni essenziali” in capo allo Stato, alle Regioni e agli Enti Locali e sui carenti criteri di valutazione in materia di inclusione scolastica, previsti dallo Schema di Decreto Legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (Atto del Governo n. 378), approvato lo scorso 14 gennaio e sottoposto ora a parere parlamentare, intendo soffermarmi in un mio prossimo contributo. Qui intendo invece occuparmi della delicata e spinosa questione della continuità didattica da garantire agli allievi con disabilità, in merito alla quale il sopraccitato e neonato Schema di Decreto poteva fare certamente di più.
A tal proposito, dopo avere letto in «Superando.it» quanto affermato da Giovanni Battista Pesce, presidente dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), nel testo intitolato Quella presa in giro sulla continuità didattica, non posso che condividere e associarmi al suo rammarico e all’amarezza nell’avere appreso e dovuto prendere atto della mancata previsione del vincolo per i docenti per il sostegno di permanenza con il medesimo alunno/studente disabile per tutto il suo segmento d’istruzione. Infatti, se è vero, come sopra accennato, che l’articolo 12 di quello Schema di Decreto obbliga i docenti specializzati a rimanere sul posto di sostegno per dieci anni, prima di transitare sul posto comune, e non più per soli cinque, è altrettanto vero che durante questi dieci anni, purché restino in quel comparto, essi potranno senza limiti chiedere di essere trasferiti da Torino a Napoli o da Trento a Palermo, senza doverne rendere conto all’alunno con disabilità, ai loro genitori, alla loro scuola.
È dunque questa la continuità didattica prevista dalla legge e richiamata ripetutamente dalla ministra Valeria Fedeli? Una domanda, questa, che mi sorge spontanea e che nei giorni scorsi si è posta preoccupata anche la testata specializzata «Tuttoscuola», la quale, con un suo dossier, ha posto appunto il dibattito sullo «tsunami nelle classi di sostegno». I numeri prodotti sono allarmanti: se oltre 2 milioni e mezzo di alunni (il 33% dell’intera popolazione scolastica) si trovano quest’anno con almeno un insegnante nuovo in classe, è andata ancora peggio agli alunni con disabilità, perché, secondo «Tuttoscuola» – almeno 100.000 di loro (il 43% dei 233.000 alunni con disabilità presenti quest’anno nelle classi di ogni ordine di scuola) hanno cambiato il docente di sostegno.
Questa grave situazione determina di fatto l’impossibilità di assicurare agli allievi con disabilità quella continuità didattica che risulta essere un fattore determinante per favorirne il successo formativo e tale pronlema, a mio parere, scaturisce dal fatto che numerosi posti di sostegno sono attribuiti a docenti con contratto a tempo determinato: in tal senso la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha stimato lo scorso anno che quasi il 40% dei posti siano coperti tuttora da docenti precari.
A ciò si aggiunga che il Piano Straordinario di Immissione in Ruolo, previsto e realizzato dalla Legge 107/15 [“La Buona Scuola”, N.d.R.], non ha risolto, con le circa 25.000 assunzioni effettuate sui posti di sostegno, il suddetto problema.
Un’ulteriore delusione è arrivata inoltre dal numero dei posti che sono stati banditi per il sostegno con l’ultimo concorso: 5.766 (in tre anni), quando se ne aspettavano almeno il doppio, senza parlare ancora delle tantissime mancate ammissioni di quest’ultimo concorso – il cosiddetto “Concorsone” – e dell’enorme domanda di insegnanti di sostegno (circa 120.000 in servizio di cui il 60% circa di ruolo), che hanno letteralmente mandato in tilt il sistema scolastico territoriale.
Si ricordi a tal proposito la Nota Ministeriale Protocollo n. 24306 del 1° settembre 2016, che recitava testualmente: «In caso di esaurimento degli elenchi degli insegnanti di sostegno compresi nelle graduatorie ad esaurimento, i posti eventualmente residuati sono assegnati dai dirigenti scolastici delle scuole in cui esistono le disponibilità, utilizzando gli elenchi tratti dalle graduatorie di circolo e d’istituto, di prima, seconda e terza fascia». Migliaia di cattedre di sostegno sono state perciò affidate a docenti senza alcun tipo di specializzazione, costringendo in tal modo le famiglie di persone con disabilità a ricorrere sempre più spesso ai giudici per dare un’istruzione adeguata ai loro figli.
A questo punto temo proprio che stante così il Decreto sull’inclusione e cioè senza alcuna modifica parlamentare o governativa, i numeri sopra riportati e il mancato vincolo del docente per il sostegno con il suo alunno/studente con disabilità per l’intero grado di istruzione non potranno garantire di certo un’effettiva continuità didattica e faranno in modo che si perpetui il sistema attuale, sulla base del quale la maggior parte degli allievi con disabilità sono costretti, ogni anno, a cambiare docente di sostegno e a ricominciare tutto da capo (relazione educativa, nuovo metodo di insegnamento, relazione docente-classe-alunno disabile…).
Un’“ancora di salvezza” potrebbe arrivare dall’assunzione di un numero maggiore di docenti, in modo da abbassare considerevolmente l’attuale percentuale di posti attribuiti a supplenza. Infatti, se la previsione dell’articolo 12 del nuovo Decreto sull’inclusione, relativamente al vincolo decennale per i docenti specializzati su loro posto, va finalmente nella sacrosanta direzione di evitare di utilizzare la via del sostegno come scorciatoia per anticipare i tempi di immissione nei ruoli ordinari dell’insegnamento, sono tre, a mio modesto avviso, le condizioni necessarie e ineludibili, senza le quali risulterà impossibile garantire la tanto declamata continuità didattica:
1. La modifica dei criteri di costituzione degli organici dei docenti specializzati a livello nazionale.
2. L’assunzione di un numero elevato di docenti di sostegno.
3. L’obbligo del docente specializzato di seguire l’alunno per l’intero segmento d’istruzione (infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado).
Il vincolo, pertanto, oltre che essere legato a un numero predeterminato di anni (e l’obbligo di permanenza decennale ci va benissimo), deve corrispondere anche e soprattutto al percorso dell’alunno con disabilità: un docente per il sostegno della scuola primaria, ad esempio, dovrebbe poter chiedere la mobilità professionale e/o territoriale dopo cinque anni, o un insegnante specializzato della scuola media potrebbe chiederla dopo che l’allievo con disabilità abbia conseguito la licenza (anzi “non conseguito”, come pare dovrebbe sorprendentemente succedere per gli allievi con grave disabilità e come puntualmente sottolineato su queste stesse pagine da Flavio Fogarolo, tramite l’ulteriore Schema di Decreto sulla valutazione degli alunni, l’Atto di Governo n. 384, approvato lo scorso 14 gennaio… Ma questa è un’altra triste storia!).
Ebbene, credo che solo attuando concretamente le tre condizioni “strutturali” di cui sopra, sarà possibile garantire un’effettiva continuità didattica e realizzare pienamente l’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità del nostro Paese.
La certezza è che – di fronte a tali evidenti carenze e criticità dello Schema di Decreto appena partorito dal Governo – la FAND (Federazione Italiana tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), la FISH e le famiglie degli allievi con disabilità non rimarranno inerti e neutrali in questi giorni di discussione del testo presso le Commissioni competenti di Camera e Senato. Tutti insieme, infatti, dobbiamo innalzare la bandiera della “resistenza” e batterci per una diversa visione dell’inclusione scolastica, che rovesci i meccanismi “perversi” dell’attuale sistema e ponga finalmente l’alunno/studente con disabilità, con la sua dignità e i suoi bisogni educativi, al centro di un modello di reale “Buona Scuola”, veramente di qualità e inclusiva per tutti e per ciascuno.
In conclusione, tengo tuttavia a sottolineare – come ho già fatto altre volte sulle pagine di questo giornale – che noi Associazioni di e per le persone con disabilità, insieme ai loro genitori, potremo sottoporre in questi giorni alle Commissioni Parlamentari tutte le modifiche possibili e immaginabili allo Schema di Decreto n. 378, ma se non capiremo finalmente che sono la scuola tutta e il “contesto” a fare la qualità dell’inclusione scolastica, non riusciremo mai a garantire il successo formativo degli alunni/studenti con disabilità.
L’inclusione, infatti, potrà essere piena ed effettiva” solo in una scuola dove la didattica inclusiva non sia un’eccezione o un “incidente di percorso”, ma dove sia invece normale, strutturale e appunto “di contesto”. Soltanto in un contesto scolastico veramente inclusivo e accogliente, dove il Piano Annuale per l’Inclusione (PAI) sia parte integrante della progettazione, della didattica e della valutazione delle Istituzioni scolastiche italiane e, dunque, anche dei loro Piani Triennali dell’Offerta Formativa (PTOF), si potranno realisticamente garantire per tutti e per ciascuno quelle condizioni di pari opportunità nel raggiungimento del massimo possibile dei traguardi d’istruzione, tanto decantate da tutta la più recente legislazione italiana sull’autonomia scolastica.
Da questo punto di vista, oltre alle necessarie modifiche al neonato Schema di Decreto n. 378, dovrà essere particolare cura del Ministero mettere tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado nelle reali condizioni di sfruttare al meglio tutti gli strumenti che la normativa già esistente sull’autonomia (fino alla recentissima e criticatissima Buona Scuola) loro consente, per implementare e migliorare la qualità del processo di inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità, creando strutture organizzative flessibili e più confacenti alle effettive esigenze formative dei diversi alunni e utilizzando in modo funzionale l’organico potenziato per la progettazione e la realizzazione di percorsi personalizzati e individualizzati, di insegnamenti aggiuntivi e opzionali, per classi aperte e parallele, per gruppi omogenei ed eterogenei e di attività didattiche laboratoriali e curricolari ed extracurricolari integrative.
Credo insomma che solo un contesto così strutturato, ancor più dell’auspicabile continuità didattica da realizzare con la permanenza decennale del docente per il sostegno nel suo ruolo o legata all’intero ciclo di istruzione del suo alunno con disabilità, possa favorire e promuovere una didattica finalmente inclusiva e for all.